7. Video meliora proboque, deteriora sequor ✓
«A' Vale', te possino... Ma che t'ho fatto di male?»
Claudio stava protestando con l'aria di un bambino a cui è stata appena rubata l'ultima figurina per completare l'album Calciatori Panini. Simone guardava la scena con un sorriso divertito.
Tiziano, forse per la prima volta in vita sua, era d'accordo con Claudio. Cercò di intromettersi nella conversazione: «Valerio, seriamente: non è il caso.»
Valerio chiuse gli occhi, mise le mani avanti e scosse la testa. «Basta proteste, ragazzi. Non torno sulle mie decisioni. Claudio deve imparare a rispettare Tiziano, e Tiziano deve imparare a farsi rispettare.»
«Mettendomi in stanza con lui?!» gridò Claudio indicando Tiziano con gesti convulsi.
«Eddai, ci passerai insieme otto ore al giorno di cui sette e mezzo dormendo, che fastidio ti dà?» disse Simone poggiando una mano sulla spalla dell'amico.
«Se ti piace tanto stacci tu, in stanza da due con lui!» disse Claudio scacciando con un gesto brutale la mano di Simone.
Simone si strinse nelle spalle. «Per me non c'è problema. Valerio, perché non ci scambi?»
Al cuore di Tiziano mancò un battito. Simone gli lanciò un'occhiata e Tiziano sperò ardentemente di non avere un rivolo di bava che gli colava dalla bocca. «Tu saresti d'accordo?» gli chiese Simone.
«Certo!» esclamò Tiziano. Poi si rese conto di averci messo un po' troppo entusiasmo. «Cioè... pur di non stare con lui va bene chiunque.» Poi si rese conto di essere stato troppo ingeneroso nei confronti di Simone. «Cioè... tu mi stai simpatico.» Oddio, ma cosa stava dicendo? Tu mi stai simpatico? Aveva appena detto a Simone, davanti a tutta la squadra, "mi stai simpatico"?!
Desidero sprofondare, attraversare il pianeta Terra e riemergere sull'Isola di Pasqua, pensò, con in mente il cellulare magico sepolto in uno dei borsoni.
«Ahaha, che culo! Stai simpatico a Fiorellino!» commentò beta Stefano, il compagno di stanza designato di Simone.
Ovviamente Claudio aveva diffuso con efficienza impareggiabile il suo nuovo soprannome, e dal momento in cui Tiziano aveva messo piede sulla banchina della stazione di Albano non avevano fatto altro che chiamarlo in quel modo e cantargli la famosa canzone di De Gregori (variando spesso in modo fantasioso e osceno le strofe).
Ora si trovavano tutti insieme nella piazzetta centrale del villaggio scout in cui avrebbero alloggiato. Intorno a loro, una schiera di bungalow, delle sorte di piccole baite in legno che sarebbero state le loro camere per i successivi dieci giorni. Valerio aveva appena finito di assegnare le stanze. Le ragazze della squadra di calcio non erano ancora arrivate. In compenso nella zona nord del villaggio, in un complesso di casette un po' distaccato, si era insediata una piccola ma chiassosa divisione di scout adolescenti.
«Apprezzo la tua offerta da paciere,» disse Valerio a Simone, «ma ho deciso. L'anno scorso ho fatto l'errore di lasciare Claudio, Stefano, Federico e Paolo in stanza insieme, e sappiamo tutti cosa è successo...» si riferiva all'increscioso episodio della palpata al sedere della pallavolista, di cui ancora non era stato trovato il colpevole, ma si sapeva che era uno di quei quattro (la ragazza era stata palpata mentre passava davanti al loro tavolo, l'ultima sera a cena). «Quindi quest'anno vi separo, a voi quattro. E se tu» disse puntando un dito sul petto di Claudio, «vuoi dimostrare di meritarti la fascia di capitano, impara ad andare d'accordo con Tiziano.»
Claudio non protestò oltre. Sbuffò vistosamente, porse il palmo della mano a Valerio e, con la faccia rivolta dall'altra parte, disse: «E damme 'sta chiave.»
Valerio gliela consegnò, poi porse la seconda copia a Tiziano. «La genziana» disse indicando una baita alla sua destra: le casupole avevano tutte nomi di piante e fiori. Tiziano si chiese se i beta avrebbero trovato un modo per legare questo fatto al suo nuovo, meraviglioso soprannome.
«Oh, Claudio» beta Stefano richiamò l'attenzione del suo alfa, che già si stava incamminando. «Stanotte quanno annate a letto cantaje la ninna nanna: Buonanotte buo...»
Claudio bloccò la canzoncina sul nascere con un'occhiata da serial killer.
Tiziano raccolse i suoi bagagli e seguì Claudio, mentre Valerio smistava le chiavi agli altri ragazzi.
La casupola era un piccolo cubo con una porta d'ingresso e una finestrella quadrata sulla parete di fondo. Sulla destra, proprio accanto alla porta, un letto a castello senza lenzuola, sulla sinistra, un po' più avanti, un grosso armadio. Ai piedi del letto, di fronte all'armadio, un tavolino da campeggio con una sedia. Un piatto bianco che pendeva dal soffitto con una lampadina avvitata al centro era l'unica luce della stanza. Niente bagno.
«Io sto sotto» disse Tiziano, lanciando il suo sacco a pelo sul piano inferiore del castello, precedendo qualsiasi scelta di Claudio. Sapeva che l'alfa avrebbe scelto il letto superiore, ma non voleva dargli la soddisfazione di essere il decisore.
Claudio infatti lo guardò sorpreso. «Che ci hai paura de cadè dar letto?»
«Sopra è una rottura di palle» rispose Tiziano. «Basta che quello sotto muova un piede che si sente il terremoto.»
«Quanto sei frocio.» Claudio scosse la testa. «Sopra è sempre mejo. Nel sesso, come nella vita, come sui letti a castello» sentenziò.
«See...» disse Tiziano con l'aria di chi la sa lunga. «Voglio vedere se adesso arriva una strafiga, magari con una bella quinta» disse mimando due tette immaginarie che sballonzolavano davanti al suo petto. «Te salta addosso e te scopa a smorzacandela. Je dici de no?» Tiziano era bravissimo nel fingersi esperto di sesso eterosessuale e nell'imitare i discorsi grezzi dei suoi compagni di squadra. Quando i beta non erano impegnati a tormentarlo, con gli altri membri della squadra aveva delle interazioni che a un occhio esterno sarebbero potute sembrare quelle di un normalissimo, sanissimo, perfettissimo, irreprensibilissimo maschio adolescente eterosessuale.
Claudio fece schioccare la lingua, mentre dava un calcio al suo zaino sotto al letto. «Che cazzo c'entra. Certo che je dico de sì. Poi a metà scopata la pijo, la giro come 'n hamburger, la metto a pecora e je faccio vede chi comanda» disse mimando eloquentemente l'atto sessuale.
La giro come 'n hamburger. Claudio sa come essere sgradevole, pensò Tiziano disgustato. Cercò di trattenere qualsiasi reazione che svelasse i suoi pensieri, ma evidentemente non ci riuscì perché Claudio sollevò un sopracciglio e lo guardò storto. «Be'? È mo' che ho detto? Te sei offeso? Mica te devo scopà a te.»
Tiziano decise di non discuterci: «Lasciamo perdere.» Si mise a sistemare le sue cose in armadio. Claudio si avvicinò col suo borsone e lo imitò.
«Co' le femmine ce vole la mano forte» proseguì Claudio, ignaro. «A loro je piace l'omo deciso, tipo me. Je fanno schifo le fighette mosce, tipo te.»
«Te dicono no, ma in realtà ne vojono dde ppiù!» ribattè Tiziano, cercando di calcare il più possibile la cadenza romanesca.
«In ginocchio!» disse Claudio con entusiasmo.
Tiziano lo guardò perplesso: non aveva capito che lo stava prendendo in giro? Proseguì la provocazione, con un tono di voce quasi gutturale. «Fanno tanto le indipendenti de stocazzo, ma a letto je piace esse sottomesse!»
«Mocio in mano e via, a pulire pavimenti!» ribatté euforico Claudio.
Tiziano scosse la testa incredulo: «Ma ti senti?»
«Eh?»
«Stavo facendo la tua imitazione, se non l'avevi capito.»
Claudio fece un sorrisetto indeciso.
Tiziano scosse la testa. Ma perché lo stava provocando? Cosa sperava di ottenere? Doveva lasciar perdere. «Niente. Proprio non ci arrivi.»
Claudio ridacchiò. «Sei tu che non ci arrivi, coglione.»
Ribattere specchio riflesso senza motivo. Tipico dei cretini.
«Quando ce la togliamo la scopa dal culo?» proseguì.
Non gli rispondo.
«Social justice warrior de' me' cojoni.» borbottò.
Social justice warrior? Non avrebbe mai pensato che Claudio conoscesse quell'espressione. Gli sembrava troppo avanzata per lui.
«Non sono un social justice warrior, sei tu che sei un troglodita di merda.»
Troglodita di merda. Aveva detto proprio così e si stupì di se stesso. Non era riuscito a trattenere il disprezzo.
«E tu non capisci il gusto delle battute pecorecce.»
«Ah ah ah» scandì Tiziano senza entusiasmo. «Umiliamo le femmine, che ridere.»
«Ok, dobbiamo andare d'accordo? Sarò serio nei prossimi trenta secondi e quindi ascoltami bene, perché non ho intenzione di essere serio per i restanti sette giorni.»
Tiziano lo guardò perplesso: aveva appena pronunciato una frase in italiano corretto senza nemmeno mezza parola in romanesco? Aveva sentito bene?
«Io lo so che queste battute sono sbagliate. So che non si dice frocio, so che non si dice checca. So che le ragazze non sono nate per lavare i piatti e farsi scopare a pecora. Ok? Lo so benissimo. Stavo con Sara, fino a giugno, pensi che scopavamo solo a pecora? Che mi facevo pulire la stanza da lei? Che la usavo come zerbino? Chiediglielo, come la trattavo, se le mancavo di rispetto, non ho paura della risposta. L'ho lasciata io, per la cronaca. E sai perché? Perché ero innamorato di un'altra, e invece di continuare a usarla come buco per scopare, cosa che avrei potuto fare, se non l'avessi rispettata, pensa un po' che ho fatto? L'ho lasciata e sono tornato a tirarmi seghe davanti a Youporn. E tutte le battute sgradevoli che faccio qui, indovina? Le facevo anche con lei, e lei ne faceva di altrettanto sgradevoli con me, al contrario, su di me, sui maschi coglioni e zozzoni arrapati. E io lo so che voi benpensanti moralisti vi scandalizzate a sentirle, e le dico proprio per questo, con ironia, per scandalizzarvi. Ironia, sai cosa vuol dire? Io lo so, cosa vuol dire. E lo sanno anche Stefano, Federico, Paolo, e Simone, e tutti gli altri. Ma voi checche moraliste benpensanti (uuuh, ho detto checca!) non lo capite, e vi scandalizzate, e pensate che noi lo pensiamo veramente. E sai una cosa? L'idea che tu, che voi pensiate di me queste cose brutte brutte mi fa godere ancora di più, e mi fa venire ancora più voglia di fare battute sgradevoli. Tanto le persone intelligenti ci arrivano, che sto scherzando. Mi basta che mi capiscano loro.» Guardò l'orologio. «Ok, trenta secondi finiti.» Riprese a sistemare roba in armadio.
Tiziano rimase per qualche secondo a fissarlo con la testa in tumulto e una sgradevole sensazione di umiliazione e vergogna. Sapeva di aver ragione lui, sapeva che quelle battute erano sbagliate, sapeva che Claudio era un pezzo di merda, ma la sensazione rimaneva.
«Ironia?» disse dopo qualche secondo di silenzio. «Dimmi un po', quanta ironia ci mettete quando mi chiudete negli armadietti?»
Claudio ignorò la domanda, mantenendo sul volto un'espressione neutra, quasi annoiata, mentre continuava a sistemare la sua roba.
«E quando mi pisciate addosso? Anche quello lo fate con ironia?» Tiziano faticò a inghiottire il groppo che gli era salito in gola.
Claudio tenne gli occhi puntati sull'interno dell'armadio, ma la sua espressione non era più annoiata, ora. In qualche modo le parole di Tiziano lo avevano colpito, anche se il suo sguardo sembrava più arrabbiato che colpevole.
Tiziano avvertì un tremore ai muscoli delle braccia, tremore che rivelava il suo fortissimo desiderio di colpire Claudio con un pugno. Si trattenne e decise di cambiare aria. Uscì dalla stanza, sul porticato che faceva da ingresso alle varie baite, rimanendo vicino alla porta ancora aperta. Era la fine di agosto, e faceva caldo, ma una frizzante brezza montana faceva presagire un precoce autunno.
Ripensò a quello che aveva detto Claudio: Anche Stefano, Federico, Paolo, Simone e tutti gli altri.
Simone faceva parte del gruppo. Tiziano no. Non ne aveva mai fatto parte. Era sempre stato un tipo solitario, sin da quando era bambino. Non era un completo inetto sociale, sapeva interagire coi suoi compagni di squadra e di classe. Ma non aveva mai saputo farsi amici, stringere veri legami. La cosa più vicina a un rapporto di amicizia, nella sua vita, era stato quello con Karen, quando era piccolo. In squadra, i compagni l'avevano accettato finché era stato un bravo giocatore, ma quando aveva cominciato ad andare tutto storto il loro rifiuto nei suoi confronti si era fatto palese.
Tiziano avrebbe voluto trovare un amico, ma l'amico ideale esisteva solo nei suoi sogni. Spesso ci provava, a interagire amichevolmente con gli altri, ma come poteva farsi un amico se le cose che diceva e il modo in cui si comportava erano solo imitazioni apprese di modelli preconfezionati? Non riusciva a essere sincero. Non poteva essere sincero. Non aveva nulla in comune, con loro. Ascoltavano musica diversa, guardavano film diversi, leggevano libri diversi (se leggevano), avevano gusti sessuali diversi, e anche la loro passione per il calcio era diversa: più fisica e cameratesca quella degli altri, più tattica e intellettuale quella di Tiziano.
Gli altri non sapevano alcunché di Tiziano, e Tiziano non sapeva alcunché degli altri.
E soprattutto non sapeva alcunché di Simone. Simone, il buon principe perfetto che abitava le sue fantasie, forse non era un buon principe. Forse era solo un ragazzo come tutti gli altri, che ogni tanto, chissà perché, provava un po' di compassione nei suoi confronti.
Non aveva mai capito l'amicizia tra Simone e Claudio, e forse non l'aveva capita semplicemente perché non capiva Simone.
«E comunque,» disse Claudio da dentro la stanza, «ho detto che so la differenza tra giusto e sbagliato. Non ho detto che mi comporto di conseguenza.»
«Video meliora proboque, deteriora sequor» disse Tiziano. La frase di Claudio gli fece venire in mente quel motto latino: vedo il meglio e l'approvo, seguo il peggio.
«Nun me parlà inglese che nun lo capisco» ribatté Claudio.
Tiziano scosse la testa: «Non è inglese è...»
«Lo so che è latino, cojone» lo interruppe Claudio. «Stavo citando una battuta di Francesco Totti.»
Tiziano non rispose.
«Non trovi che sia appropriato? Tu che citi Ovidio, io che cito Totti?»
Tiziano si voltò lentamente verso l'interno della stanza. Aveva sentito bene? Claudio sapeva che quella era una frase di Ovidio?
«Molto in character, no?» Claudio guardò Tiziano e sorrise. Il suo solito sorrisetto sarcastico. Il suo solito sorrisetto da stronzo.
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