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41. Rispetto e dignità ✓

«Voglio che Tiziano diventi una schiappa a calcio.» Simone stava di nuovo piangendo. Tiziano non voleva guardarlo. C'era ancora Claudio, inginocchiato davanti a lui, che copriva quasi tutta la sua visuale. Lo sguardo di Tiziano perse la messa a fuoco e il viso del ragazzo divenne una macchia confusa di colore.

Aveva sempre creduto si trattasse di un blocco psicologico. Perché le cose semplici riusciva ancora a farle. Era quando tentava di velocizzare, o quando cercava il colpo più complicato, era lì che tutto si bloccava e il panico lo assaliva. Aveva sempre pensato fosse un problema di panico. Era persino andato da uno psichiatra, per cercare di risolverlo. E invece... Tutti quegli anni passati a tirare palloni contro il muro, a studiare video di Ronaldo, Ronaldinho, Ibrahimovic, Messi... e persino dei grandi del passato, Maradona, Cruyff, Baggio... ad allenarsi sotto la pioggia, da solo, a tirare punizioni... tutti gettati al vento in un solo istante per colpa del desiderio di un ragazzino invidioso.

«Ho usato proprio queste parole. E la luce rosa si è spenta, e ho pensato che non sarebbe successo niente, che erano tutte cazzate, che il Casio illuminato era un giocattolo, che io ero un cretino...» Singhiozzò per qualche secondo. «E il giorno dopo... avevi il provino. E...» Singhiozzò di nuovo.

«Sai qual è la cosa più terribile? La più terribile di tutte. Che io ero contento. Non riuscivi più a muoverti in maniera coordinata ed elegante, lisciavi i tiri più facili, ti si incrociavano le gambe ogni volta che tentavi un dribbling. Ti vedevo confuso, disperato, non capivi... e io ero contento! Godevo come un matto, pensavo che te lo meritavi, che finalmente sapevi come si sentono le persone normali, quelle senza talento.»

Tiziano si prese il viso tra le mani. Ogni parola era una pugnalata.

«E poi... e poi non mi sono fermato. Ero esaltato all'idea di avere altri due desideri, di poter fare quello che volevo. E io volevo il tuo posto, volevo un provino con la Roma e ragazze ai miei piedi, allora ti ho rubato il talento. Come seconda cosa ho desiderato di avere tutto il talento che avevi perso. E per qualche giorno sono stato in paradiso! Da solo, a casa, con la palla. Provavo qualcosa, e quel qualcosa mi riusciva. Ero esaltato. Mi sentivo Messi. Mi sentivo un dio! Ad allenamento sono stato attento. Sono andato per gradi, mi trattenevo, giocavo male apposta. Non volevo che vi insospettiste.»

Era migliorato così in fretta, Simone. Tiziano ricordava di essere stato stupito dalla rapidità dei suoi progressi. Tiziano ricordava anche di essere stato felice, per quei progressi. Perché Simone era il suo principe buono, che meritava tutto il bene del mondo.

«Ma mi mancava ancora una cosa: Beatrice. Credevo di volere solo lei, era così bella, così allegra... Ma continuava a stare con te. Sembrava innamorata. Non potevo farla innamorare coi desideri, così, ho pensato: la deve mollare lui. Devo far disamorare lui. Ed è allora che mi è venuta in mente la soluzione geniale.»

Tiziano tolse le mani dal viso, fulminato dall'improvvisa intuizione su quale fosse il terzo desiderio di Simone.

Lo guardò.

Simone. Il suo principe decaduto, il suo malvagio aguzzino.

«Il mio terzo desiderio è stato: voglio che Tiziano diventi gay.»

«Non è possibile...» disse Tiziano con un filo di voce. «Io sono sempre stato gay.»

«No,» disse Simone, «ti sembra. È una giustificazione razionale che ti sei dato a posteriori. Come quella del blocco psicologico. Tu non eri gay. Ti ci ho fatto diventare io. Per rubarti l'ultimo pezzo di vita che non ti avevo ancora rubato: la tua ragazza.»

Tiziano cercò di ricordare. Gli sembrava che Beatrice non gli fosse mai piaciuta. Però, effettivamente, quando si era messo con lei era ancora un po' confuso, sulla sua sessualità. O così forse gli sembrava. Forse c'era stato un periodo della sua vita in cui era davvero stato etero, e ora l'aveva rimosso. Aveva riorganizzato i suoi ricordi, le sue impressioni, per darsi una coerenza. Il disegno di Mark Lenders... era davvero il suo personaggio preferito. Il suo personaggio preferito, e basta.

«E pochi giorni dopo l'hai lasciata! La mia felicità era al massimo, la mia vita non è mai stata tanto bella e perfetta come in quei giorni. Io sapevo che Beatrice aveva un debole per i ragazzi di successo. Dovevo solo avere pazienza, mostrare ogni giorno un po' di più il talento che ti avevo rubato e lei mi avrebbe ammirato, l'avrei conquistata. E così è stato, infatti. Sembrava tutto così bello. Non mi rendevo conto di quello che avevo fatto, non me ne rendevo minimamente conto. Era tutto... come una specie di sogno, era come se la cosa non avesse avuto conseguenze negative, dal mio punto di vista. Tu eri solo una presenza odiosa, non eri un essere umano, nella mia testa.»

Tiziano si artigliò il petto, all'altezza del cuore. Strinse i denti per trattenere una crisi di pianto.

«Poi» continuò Simone, «la rivelazione è stata improvvisa. E devastante. È una sensazione che ho portato dentro ogni giorno della mia vita per due anni, fino a oggi, e me la porterò dentro per sempre. E ho cercato di soffocarla, aiutandoti, quando e come potevo, o ubriacandomi, quando mi rendevo conto che aiutarti non serviva a niente.» Si fermò per prendere un respiro.

«Alla fine di un allenamento, dopo la doccia, era autunno, era buio, faceva un freddo cane, ma tu eri rimasto lì, in campo, che tiravi punizioni storte. E nel mio petto... questa sensazione di senso di colpa che inizia a farsi strada. Qualcuno ti grida qualcosa, forse era Paolo, una presa per il culo, e mi dà fastidio. Penso: quando era bravo non si sarebbero mai permessi di prenderlo per il culo. Ma inghiotto tutto. Tiziano è quello stronzo, mi dico, il presuntuoso, il cagacazzi. Se lo merita. Però mi avvicino. Sono attratto da te come una calamita, i miei piedi si muovevano quasi contro la mia volontà. Ehi Tizio, ti dico, guarda che Valerio deve chiudere. Tu ti giri. La tua faccia mi uccide. Bam. Eri disperato. Devastato. Che ci hai? Ti chiedo. Non voglio sentire la risposta, ma te lo chiedo lo stesso.»

«Mi ricordo...» disse Tiziano. «Mi ricordo quel giorno...»

«Tutti i sacrifici che ho fatto, mi dici, non sono serviti a niente. Quali sacrifici?, ti chiedo. E tu: tutte le ore passate ad allenarmi, tutta la passione che ci ho messo... E finalmente, in quel momento, ho capito. Mi ha travolto. Mi ha sconvolto. La consapevolezza di essere un ladro, di averti rubato la vita. L'enormità di quello che avevo fatto.»

«E ho visto il tuo viso diventare improvvisamente triste, sofferente» continuò Tiziano. «E ho pensato. Perché è triste? È una cosa mia, lui che c'entra? Non ero abituato che qualcuno si preoccupasse per me. Nessuno si era mai preoccupato per me, ero abituato a essere solo, isolato da tutti.»

«E te sei innamorato come un cojone» chiosò Claudio.

Tiziano annuì. «Sì. Io credo... credo che quel giorno ho cominciato a costruirmi nella testa quell'immagine di ragazzo ideale di cui mi sono innamorato.» Poi guardò Simone negli occhi, con odio, con rancore. «Un ragazzo che non è mai esistito!»

«Non è mai esistito» ripeté tristemente Simone. «Ho provato a rimediare al mio errore. La prima cosa che ho fatto è stata andare a cercare l'orologio rotto, l'avevo lasciato in un cassetto. Volevo provare a esprimere un quarto desiderio. Ma l'orologio non c'era più, mia madre l'aveva buttato.» Scosse la testa. «Mia madre è una compulsiva. Ha l'ansia di mettere sempre in ordine tutto, non era la prima volta che veniva a fare dei raid nei miei cassetti per buttare roba vecchia. E non è stata l'ultima. Ma quanto mi sono incazzato quella volta... E poi sono persino andato a ravanare nel cassonetto della spazzatura, come un disperato. Ma niente orologio.»

«Non sarebbe servito, anche se l'avessi trovato» disse Tiziano. «Ci ho provato anch'io. Dopo il terzo desiderio torna a essere uno stupido, inutile oggetto rotto.»

«Lo so. Poi l'ho scoperto. Sono stato dalla maga. L'ho cercata per mesi e alla fine l'ho trovata: vive nel bosco tra Ariccia e Nemi, insieme alla sorella, che è maga anche lei ed è una donna bellissima. In realtà tra le due la vera maga è lei, mentre la sorella, la pazza coi capelli di stoppa, è una specie di maga mancata, una matta, e io sono stato il suo esperimento. Voleva provare alla sorella che avrebbe potuto rendere felice una persona, regalandole il potere del genio.» Singhiozzò. «Il genio è una specie di entità magica che realizza i desideri, è considerato una maledizione. I maghi hanno il potere di evocarlo, ma non è mai esistito nella storia, o almeno così mi ha detto la maga, quella vera, non è mai esistito un uomo che non fosse stato perseguitato dai desideri che aveva espresso. Perché in realtà nessun uomo ha la consapevolezza di capire ciò che desidera davvero.»

Già, pensò Tiziano. Io stesso mi sono fatto trascinare dai miei capricci, dalle mie emozioni momentanee.

«Ho chiesto alla maga un quarto desiderio, ma mi ha risposto che il genio concede solo tre desideri. Tre e non uno di più a una singola persona. Allora le ho detto: sei una maga, rimedia tu al mio errore! Ma i maghi non hanno potere sul potere del genio. Hanno solo il potere di evocarlo.»

Tiziano ebbe l'impressione che il suo cuore si stesse frantumando in tanti piccoli pezzi.

«L'unico modo per annullare un desiderio è chiederlo al genio stesso. A questo punto ho provato a coinvolgere Claudio. Se lui avesse potuto esprimere un desiderio per me...»

«E non ti ho creduto» disse Claudio. «Ho pensato che fossi impazzito.» Rise. «E Maga Magò ci aveva pure provato! L'ho incontrata anch'io, mi aveva fatto la posta sotto casa, una volta. Ma mi sono cagato sotto, era una tipa troppo inquietante... e comunque non ci credevo, a tutte 'ste cazzate. Quindi sono scappato. E non l'ho mai più vista.»

«Quanto ti ho odiato quella volta... Non l'hai più vista perché la sorella è riuscita a tenerla sotto controllo. Sono tornato da loro e le ho pregate di darti i desideri, ma la maga mi ha detto che non avrebbe concesso altri desideri a nessuno, né al mio migliore amico, né a mia madre, né a mio padre. A nessuno. Mi ha detto che non capivo niente, che ero solo uno stupido ragazzino, che erano già stati fatti troppi danni. Ho insistito, l'ho implorata in ginocchio e lei...» Simone fece un sorrisetto triste e incredulo. «Lei e la sorella sono scomparse. Nel nulla. Letteralmente. Puff! Davanti ai miei occhi. Sono tornato nel bosco per mesi. Non le ho mai più trovate.»

«E dopo due anni la sorella pazza torna indietro e pensa di poter rimediare al suo errore regalando i desideri a me» commentò apatico Tiziano. «E io, invece di migliorare la mia vita, rovino la vita anche a te.» Guardò Simone. Lo odiava. Dio come lo odiava. «Come tu l'hai rovinata a me.»

«Se può farti sentire meglio» disse Simone tirando su col naso, «da quel giorno non è passato un minuto senza che mi sentissi in colpa per quello che ho fatto.»

«No!» gridò Tiziano. Si alzò in piedi, in preda a un attacco di ira furibonda. Prese Simone per la felpa, lo spinse sul letto, lo sovrastò e cominciò a scuoterlo con violenza, a sbatterlo sul materasso. «Non me ne frega un cazzo! Non mi serve a un cazzo il tuo dolore! Il tuo dolore non mi restituirà il talento che mi hai rubato!»

Il pianto di Simone (che da diversi minuti aveva alternato parole e singhiozzi) si intensificò.

«Era tutta la mia vita!» continuò Tiziano. «Tutto quello che desideravo fare da quando avevo sei anni! Diventare un calciatore professionista!»

Il pianto di Simone divenne quasi un urlo, un lamento straziante.

E Tiziano, inaspettatamente, provò pena per lui. Si rialzò in piedi, lo lasciò steso sul materasso a piangere.

«Sai... un po' ti capisco» disse. «Io mi sono sentito in colpa per qualche giorno e sono stato malissimo, posso solo immaginare come sia avere questo peso addosso per due anni.»

«Lascio la squadra» cominciò Simone. «Non posso continuare a...»

«Stai zitto!» sbraitò Tiziano irritato. «Smettila di frignarti addosso!»

Simone tirò su col naso, soppresse un gemito.

«Alzati in piedi» gli ordinò. Come lo odiava!

Simone si mise a sedere, lentamente, si pulì il naso con la manica della felpa.

«Muoviti, cazzo! Vieni qui!»

Simone scattò in piedi. Tenne la testa bassa, gli occhi puntati al suolo.

«Mi hai rubato il talento. Fammi un favore, se hai un po' di dignità, usalo.»

Simone sollevò lo sguardo, aggrottò le sopracciglia.

«Hai qualcosa di mio,» proseguì Tiziano a denti stretti, «qualcosa che non mi puoi ridare. Qualcosa per cui ho sudato, per cui mi sono impegnato ogni giorno per dieci anni della mia vita. E hai il coraggio di dirmi che vuoi mollare la squadra? Che vuoi rendere tutti i miei sacrifici completamente inutili?!» Il volume della sua voce aumentava a ogni frase. «Se hai un minimo di rispetto per me e un minimo di dignità, tu devi andare sul campo, subito, e metterci tutto te stesso. In ogni cazzo di partita e in ogni cazzo di allenamento. Correre finché i muscoli non ti fanno tanto male da vomitare, sudare, sputare sangue, provare un colpo finché non ti viene alla perfezione, fino alla nausea, fino al disgusto. Me lo devi, cazzo. Devi diventare un calciatore professionista e diventare il migliore. Perché è questo, che volevo diventare io. Il migliore!»

Simone lo guardava con gli occhi spalancati. Sembrava ammirato e spaventato allo stesso tempo.

Così. Così avrei voluto che mi guardassi.
E adesso che mi guardi come ho sempre voluto, non lo voglio più.

Tiziano si sentì improvvisamente stanco. Non voleva più vederlo. Non voleva vedere nessuno. Girò la testa, verso Claudio. Che era ancora lì, in piedi, presenza silenziosa. Si guardarono negli occhi per diversi secondi, Tiziano perché era troppo stremato per distogliere lo sguardo, Claudio, chissà. C'era molta emozione, sul suo viso, ma Tiziano non avrebbe saputo identificare quale.

«Esco,» disse, «mi faccio un giro. Voglio stare solo. E quando torno non ti voglio vedere.» Spostò lo sguardo su Simone. «E sto parlando con te, ovviamente.»

Senza aggiungere altro girò i tacchi e uscì dalla porta.

Aveva smesso di piovere, ma il cielo era carico di nuvoloni violacei.

C'era un temporale, in arrivo.

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