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37. Qualcosa di buono ✓

Tiziano entrò in cucina. Avrebbe voluto chiudersi in una bolla insonorizzata, abbracciarsi le ginocchia e non uscirne più. Guardò con indolenza i ripiani sporchi e disordinati, ripensando a ciò che era appena successo. A ciò che gli aveva detto Claudio.

Stava sulle palle a tutti. Su questo punto Claudio aveva indubbiamente ragione. Non aveva amici. Aveva sempre saputo di non averne, e non aveva mai voluto farsene, almeno non tra i suoi compagni di spogliatoio. Ma quel pensiero, adesso, lo faceva stare inspiegabilmente male.

Non aveva voglia di piangere, però. Era un dolore asciutto, apatico.

Si diresse al lavello per prendere uno strofinaccio. Il lavoro manuale forse l'avrebbe distratto.

«Tiziano...» La voce di Karen risuonò inattesa alle sue spalle.

«Voglio stare solo» Tiziano aprì il rubinetto. Sentì i passi della ragazza avvicinarsi a lui.

«Simone c'entra qualcosa, vero? Lo stai coprendo?»

Tiziano si voltò a guardarla. Sbatté le palpebre un paio di volte.

Simone, sempre Simone.
Non voglio pensare a Simone, adesso.
Non voglio pensare a quello che gli ho fatto.

«Non capisco di cosa stai parlando» mentì Tiziano.

«Aveva bevuto anche lui, la sera in cui ci siamo baciati. Lo so. L'ho capito. Non ne ero sicura... La gomma, il dentifricio... Ma adesso l'ho capito. E sono quasi sicura che avesse bevuto anche il giorno dopo: l'ho visto strano, ieri mattina. E oggi? Riconosco una faccia da hangover

«Sono stato io. Finiscila. Li ho rubati io. Ora, se non ti dispiace, dovrei pulire.»

«Se assomigli ancora a quel bambino che conoscevo, non ti credo. Sì, avevi bevuto la prima sera, ma non sei un ubriacone. E non sei un ladro.»

Tiziano schioccò la lingua. «Ma che cazzo ne sai, tu? Credi di conoscermi perché tiravamo insieme quattro calci a una palla quando eravamo piccoli?»

«Un po' sì. Un po' credo di conoscerti.»

«Lasciami in pace.»

«Perché l'hai fatto?» Karen pronunciò questa frase in un sussurro. «So che sei un ragazzo buono, ma questo... questo sacrificio va oltre...»

Tiziano non rispose, si finse impegnato, ma si rese conto che stava sciacquando e strizzando lo strofinaccio sotto il rubinetto per la terza volta, senza ancora aver pulito niente. La fasciatura che aveva sulla mano sinistra, la fasciatura che gli aveva fatto Claudio, si era inzuppata d'acqua. Tiziano la sciolse con gesti rabbiosi, la gettò a terra, la calpestò.

Ti odio, Claudio.

«Sei... sei innamorato di lui?»

Per un attimo, Tiziano pensò che Karen si stesse riferendo a Claudio, perché era a lui che stava pensando, in quel momento, e quella frase di Karen lo spaventò, gli strinse lo stomaco. Ma gli ci vollero solo pochi istanti per capire che stava parlando di Simone.

«Ancora questa storia? Non sono gay.» Tiziano alzò gli occhi al cielo, cercò di fingersi divertito. «E l'altro giorno eri convinta che mi piacesse Claudio.» Strinse i denti. «Quel bullo di merda...»

«Forse ti piacciono entrambi» disse lei.

«Questa conversazione finisce adesso.»

«Be', se vuoi un consiglio, tra Simone e Claudio...»

«Non lo voglio!»

«...concentrati sul secondo. Perché il primo è uno stronzo, e non ti merita.»

«Concentrati sul secondo?!» Tiziano si accorse di aver gridato. Prese un respiro per calmarsi e abbassò la voce a un volume normale. «Ma hai sentito cosa mi ha detto? Hai visto come mi ha trattato?» Sbatté lo strofinaccio bagnato sul ripiano e schizzò acqua tutto intorno. Karen si asciugò una gocciolina dal braccio e accennò un sorriso.

«Sì, ho visto tutto. E... ha sicuramente sbagliato, nei modi. È stato brusco, cattivo. E forse non avrebbe dovuto dirtelo davanti agli altri. Ma non ha tutti i torti, nella sostanza.»

Tiziano scosse la testa, incredulo. Diede le spalle a Karen e cominciò a strofinare con lo straccio un ripiano che sembrava perfettamente pulito.

«Io non ti conosco così bene, ovviamente...» proseguì lei.

«Appunto.»

«...ma ti conoscevo. E ti ho riconosciuto, nel ritratto che ha fatto Claudio.»

Tiziano strofinò più forte, cercando di eliminare una macchia immaginaria. Perché ce l'avevano tutti con lui? Sembrava una gara a chi lo prendeva a pugni più forte.

«Ma non capisci che l'ha detto per cercare di aprirti gli occhi?» Karen batté un piede a terra.

«Tu non conosci me, e conosci ancora meno lui» disse Tiziano. «È uno stronzo. Un bullo. Ha detto quelle cose perché ha visto la sua preda preferita in difficoltà e ha azzannato. Voleva solo ferirmi.» Si morse un labbro con violenza, facendosi male. «Voleva solo umiliarmi.»

«No. Non voleva farlo. Era quasi più sconvolto di te.»

Tiziano scosse di nuovo la testa.

«Ci sono dei rancori passati, tra di voi, mi pare di capire. Ma...»

Tiziano interruppe Karen. «Non parlare di cose che non sai.»

«Ascoltami, un attimo! Ti prego. Tu hai un difetto, Tiziano, l'hai sempre avuto, anche quando eri piccolo. Sei buono, sei intelligente, ma... sei troppo chiuso. Ti isoli. Non mi stupisce che pensino di te quelle cose. Le pensavo anch'io, quando ero piccola.»

«E perché stavi sempre lì a cagarmi il cazzo, allora?» Tiziano risentì le proprie parole e si pentì di averle dette.

Ma Karen non parve offesa. «Mi piacevi. Eddai... lo sai anche tu, avevo una specie di cotta, per te. Ma non era solo quello, comunque. Non ero una bambina disperata che sbavava dietro a un bambino crudele. Io mi divertivo, con te. Eri simpatico, quando non facevi il presuntuoso. Ed è questo, il punto: quando si riesce a farti scendere dalla tua torre, si scoprono tutti i tuoi lati positivi, ma se continui a startene chiuso là in cima, a guardare tutti dall'alto in basso...»

«Io non guardo nessuno dall'alto in basso...» disse Tiziano in tono sconsolato. Si voltò, finalmente, a guardare Karen. «Io non sono un presuntuoso. Presuntuosa è una persona che crede di essere più di ciò che è. Io... io sono semplicemente consapevole di ciò che valgo. È un peccato? Dovrei fingermi più modesto?»

«No» disse Karen. Sorrise. «Non lo so. Non conosco abbastanza bene la situazione del tuo spogliatoio, quindi non posso darti consigli. Ma... per esempio... se è vero che quei tre bulli ti prendono di mira, perché non chiedi aiuto a qualcuno? Mi sembra che ci siano dei ragazzi a posto, lì in mezzo, dei tipi simpatici. Anna ci sta parlando benissimo di Andrea. Il suo amico pure sembra un tipo in gamba, e non lo dico perché abbiamo lo stesso colore di pelle. E anche Claudio...»

«Basta!» sbottò Tiziano. «Finiscila di difendere Claudio! Te l'ho detto: lui è il loro maschio alfa! È il loro capo! Le vessazioni partono sempre da lui! Sempre!»

«Mi sembra... mi sembra che ne sia pentito.»

«Ti prego... non sai niente. Niente di quello che ho passato. Lascia perdere. Puoi... puoi lasciarmi da solo? Questa conversazione mi sta estenuando.»

Karen sembrò arrendersi. Annuì mestamente, si voltò e uscì dalla cucina, senza aggiungere altro.

Claudio non è mio amico. Non potrebbe mai esserlo.
Io non piaccio a lui. E lui non piace a me.

Tiziano si appoggiò al ripiano della cucina. Sentiva il bisogno di riprendere fiato.

Lui mi ha sempre odiato. Me lo ricordo bene.

Ripercorse le sue memorie d'infanzia. Era entrato tardi in squadra, quando i gruppi e le amicizie tra gli altri erano ormai tutti già formati. L'allenatore lo aveva posizionato in attacco, dove giocava insieme a Claudio, prima che le sue turbe psicologiche rovinassero tutto.

Claudio l'aveva sempre trattato con antipatia. Si lamentava continuamente del fatto che Tiziano gli passava poco la palla e preferiva le giocate solitarie. Tiziano aveva sempre pensato di essere nel giusto: non l'aveva mai fatto per presunzione o manie di protagonismo, ma perché pensava, sinceramente e oggettivamente, di avere più possibilità dell'altro di segnare o di portare avanti l'azione. Ma in quel momento si rese conto di come quel particolare fosse perfettamente coerente coi ritratti di Karen e di Claudio. Si rese conto, forse per la prima volta in vita sua, di come dovevano sempre averlo visto gli altri: il bambino solitario, il presuntuoso. Che gioca da solo a fare il fenomeno. Da solo in cima alla sua torre.

«Non battere la fiacca» disse Valerio entrando in cucina con un vassoio colmo di piatti e tazze vuote. Posò il vassoio accanto al lavello e puntò i pugni ai fianchi. «Stiamo sparecchiando io e Gianfranco, di là, perché ti voglio risparmiare le occhiate penose dei tuoi compagni.»

Tiziano fece un sorriso strafottente. «Grazie!»

Sei contento che finalmente ti ringrazio?

«Non essere arrogante!» sbottò Valerio.

Tiziano ricominciò il suo lavoro a testa bassa.

«Adesso lavi tutto. Tutti i piatti, le caraffe, le pentole. Poi pulisci la cucina. Anche per terra. Quando hai finito, passi ai bagni.»

Valerio perse altri cinque minuti per spiegare a Tiziano cosa avrebbe dovuto fare durante la giornata, mentre i suoi compagni si sarebbero allenati (non aveva mancato di sottolinearlo). Seguì una lunga ramanzina sull'alcol, sui furti, sulla gioventù sbandata, che Tiziano ascoltò a viso duro senza emettere un sussurro, ma senza veramente seguire il filo del ripetitivo discorso.

Finalmente l'allenatore se ne andò, e Tiziano cominciò subito a fare ciò che gli era stato ordinato.

La giornata fu orribile. La monotona e poco complessa attività di pulizia gli svuotò completamente la testa, e tra le pareti del suo cervello pensieri, recriminazioni e rancori furono liberi di rimbalzare e ingigantirsi fino al parossismo.

Finì alle dieci di sera. Si sentiva stremato. Quando passò in camera a recuperare le sue cose per radersi e lavarsi, la luce sotto la porta gli disse che Claudio era ancora sveglio. In quel momento provò quasi vergogna, all'idea di affrontarlo.

Lo trovò insieme a Simone.

Vedere Simone riaccese il senso di colpa, che si era sopito durante il pomeriggio, passato a pensare ai propri comportamenti e all'odio dei compagni.

Come sono egocentrico. Egocentrico ed egoista.
Ti ho sconvolto la vita e ho passato la giornata a pensare a me stesso.

Il ragazzo sembrò volergli dire qualcosa, ma Tiziano tenne gli occhi bassi, prese rapidamente beautycase e accappatoio e uscì senza che nella stanza volasse una singola parola.

Chissà cosa sta pensando, ora.
Chissà se è ancora tormentato dagli effetti del mio desiderio.
Certo che lo è.

Tiziano si prese del tempo per cercare (invano) di rilassarsi un po', in bagno e sotto la doccia. Quando tornò finalmente in camera per dormire, Simone se n'era andato e Claudio era già al buio. Tiziano cercò i vestiti da notte alla cieca dentro l'armadio.

«La poi accende, la luce.»

Tiziano esitò qualche istante, prima di dirigersi all'interruttore. Non guardò l'altro. Lasciò la luce accesa solo per il tempo strettamente necessario a trovare una tuta nell'armadio. Si vestì e s'infilò nel sacco a pelo al buio.

Trascorsero almeno cinque minuti. Cinque minuti di oscurità e silenzio. Poi Claudio ruppe quel silenzio pronunciando una semplice frase: «Ci sono andato giù pesante.»

Non era una domanda, era un'affermazione.

«Sì» disse Tiziano.

L'altro rimase zitto per qualche secondo. «E sto per andarci giù pesante di nuovo: sei un coglione.»

Tiziano non rispose.

«Perché ti sei preso la colpa? Cosa... cosa speravi di ottenere? Non se lo merita. Nun lo dovevi fà.»

Tiziano si sforzò, per rispondergli. «Sì che dovevo farlo. Era la cosa più logica, tutti sospettavano già di me. E poi così è meglio per tutti. Adesso Simone rimarrà in squadra e non passerà le giornate a... fare quello che temevi.»

«Dovevi immaginare che Valerio ti avrebbe cacciato.»

«E non sei contento? Che lo scarso maestrina cacacazzi finalmente se ne va dalla squadra?»

«Non fare la vittima, adesso.»

«Non faccio la vittima. Sono tranquillissimo.» Tiziano fece spallucce, al buio, steso nel letto, come se l'altro potesse vederlo. «E non mi interessa di essere stato cacciato. Con Valerio ero sincero, prima: ci avevo già pensato, di mollare. Vi sto sul cazzo, ok, ma non è per quello. Sono scarso e non ho speranze di migliorare. Devo prenderne atto.»

«Due anni...» sussurrò Claudio. Lasciò la frase in sospeso per qualche istante. «Due anni, ci hai messo, ad arrenderti... Io pensavo... quando ti ho visto ad allenamento, venerdì scorso... e poi sabato alla partita... nun ce potevo crede. Pensavo che dopo due anni ti fossi stancato, di sbattere la testa contro il muro, e delle nostre angherie. E invece eccoti lì, puntualissimo, sempre il primo ad arrivare e l'ultimo ad andare, con la tua faccia seria, e la tua schiena dritta, e la tua... la tua passione del cazzo!»

Tiziano non riuscì a frenare la lingua. «Ma tu perché mi odi così? Che t'ho fatto di male?»

Perché gliel'ho chiesto?
Per farmi umiliare di nuovo?

«Io non ti odio» rispose Claudio. «E tu non mi hai fatto niente. Un cazzo di niente.» La sua voce suonava così stanca. «La verità è... che... me la sono sempre presa con la persona sbagliata.»

Tiziano non comprese ciò che voleva dire, non capì a chi si stava riferendo. Ma fu colpito da quelle parole.

Stai provando a chiedermi scusa, Claudio?
O sto cercando, per l'ennesima volta, qualcosa di buono, in te, che forse non esiste?

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