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32. Il segreto di Simone ✓

«Baciami, stupido!» Subito dopo aver pronunciato queste parole, Simone mise una mano sulla bocca per trattenere una risata.

Poi, senza alcun preavviso, tolse la mano e si sporse in avanti, socchiudendo le labbra. Tiziano fece appena in tempo a scansarsi.

La testa di Simone proseguì la sua traiettoria e finì per appoggiarsi sulla spalla di Tiziano.

Erano così vicini. Tiziano chiuse gli occhi e posò la guancia sui suoi capelli rossi.

È colpa mia...

«Mi devi aiutare... nnh... io devo capire.»

«Cosa devi capire?» chiese Tiziano.

«Quello che mi sta a succede.»

«E cosa ti sta succedendo?»

Sei diventato improvvisamente gay. Il tuo mondo si è capovolto. Hai perso ogni certezza. E tutto perché io, mentre ero ubriaco, meno ubriaco di quanto tu sia adesso, ho giocato con un potere che non dovrebbe mai essere messo in mano a un essere umano.

«Mi fa un effetto... uhm...» rise «strano...» Si tirò su e guardò Tiziano negli occhi. «Gianluca sha 'n ber culo, ve'?» Rise di nuovo e soppresse un rutto. «Questa è una punizione... Una punizione divina... Per tutto... tutto... E l'altra sera ti ho preso in giro... l'altra sera, non avrei dovuto...»

Tiziano lo allontanò e lo guardò negli occhi. Di cosa stava parlando? Del pompino alla bottiglia?

«Io stavo scherzando» disse Simone. «Ma il destino... mi punisce...» Simone prese un respiro intermittente. «...e adesso... devo capire... se mi dai un bacio, forse capisco...» Il pianto irruppe, disperato, con singhiozzi, sospiri e lamenti. Tiziano l'abbracciò, Simone si fece abbracciare, si abbandonò a lui.

Voglio tornare indietro nel tempo. E annullare tutto.

Vorrei non aver mai avuto questi maledetti desideri!

Rimasero lì per qualche minuto, abbracciati, finché il pianto di Simone non si calmò.

Gli occhi di Tiziano erano completamente asciutti, e il battito del suo cuore lento e misurato. In quel momento l'unico sentimento che provava era disgusto verso se stesso, e verso quello che aveva fatto. In che stato si era ridotto Simone per colpa sua?

Faccio schifo. Schifo.

«Andiamo» disse. «Ti riaccompagno in camera.»

«Non me lo dai un bacio? Non vuoi?» insisté l'altro.

«Sei ubriaco. Domani... vedrai che domani tutte queste idee strane ti saranno passate» mentì Tiziano. Poi cercò di alzare Simone in piedi, riuscendoci a fatica.

«No, no... sono... due giorni... forse di più... non mi ricordo... non va via... queste sensazioni... questa... questo...» biascicò Simone.

Sono esattamente due giorni, Simone. Da quando ho espresso il desiderio.

Simone si appoggiò a Tiziano e uscirono insieme dalla baracca. Soffiava una brezza fredda e umida che si infilava nei vestiti e sembrava voler penetrare nelle ossa. L'aria era carica di pioggia.

Camminarono in silenzio e quando arrivarono davanti alla porta del Ranuncolo, la stanza di Simone, Tiziano si ricordò chi era il suo compagno di stanza: Stefano. Un beta. Se lo vedeva in quelle condizioni avrebbe saputo degli alcolici, l'avrebbe detto agli altri due beta e la cosa poteva finire male.

«Ci ho sonno...» si lagnò Simone.

«Vieni» disse Tiziano spingendolo verso la porta della Genziana.

Ok, l'avrebbe visto Claudio. Simone si era raccomandato di non far sapere a Claudio degli alcolici e Claudio, vedendo Simone in quello stato, probabilmente avrebbe fatto un sacco di domande. Ma Claudio, per lo meno, era amico di Simone, a differenza di Stefano e degli altri beta. Claudio non avrebbe messo Simone nei guai. O almeno così Tiziano sperava.

«Dove mi porti?» borbottò Simone.

«In camera mia. È meglio.»

Simone fece due passi aiutato da Tiziano poi si fermò e sbarrò gli occhi terrorizzato. «Ma c'è anche Claudio?»

«Certo che c'è, è il mio compagno di stanza.»

Simone scosse la testa un paio di volte, con gli occhi ancora sgranati. «No, no... ti prego, voglio dormire in camera mia!»

«Se ti vede Stefano in questo stato mette nei casini te e pure me. Andiamo da me.»

«Portami da un'altra parte» implorò Simone.

«Non dire cazzate, dove vuoi dormire, nel baraccone sul pavimento? Andiamo.» Tiziano lo trascinò.

Simone non oppose resistenza, ma continuò a protestare, sottovoce. «Poi si incazza... no, te prego...»

Arrivarono alla Genziana, con Simone che continuava a piagnucolare invano. La luce nella stanza era ancora accesa e filtrava da sotto la porta.

Entrarono. Claudio era in piedi accanto al letto di Tiziano, che sfogliava il libro di Kuper.

«Oh, ma che rottura de palle è 'sto...» non finì la frase. Guardò I due ragazzi e la sua espressione cambiò: un misto di sorpresa e preoccupazione. Quasi gli cadde il libro di mano.

«Simone non si sente bene, ha...» cominciò Tiziano, ma Claudio lo interruppe.

«Non ci posso credere» disse, come inebetito.

«Guarda... non ho bevuto tanto... è solo che...»

«Ma hai davvero il coraggio di raccontarmi per la centesima volta 'sta fregnaccia?!» gridò Claudio sbattendo il libro per terra.

«Eddaje... non...»

«Finiscila. Coglione.» Claudio lo fissò a labbra strette, con gli occhi lucidi e infiammati dalla rabbia.

Tiziano, vedendo la reazione di Claudio, capì.

Tutto quello che era successo in quei giorni, la rabbia di Claudio di fronte all'ubriachezza di Tiziano, i litigi con Simone, le mezze parole al telefono con la madre... il puzzle si compose e Tiziano, improvvisamente, vide chiaramente la verità.

Non è la prima volta.

Stava sbirciando sotto una tenda, una pesante tenda che fino a quel momento aveva nascosto ai suoi occhi la vita di Simone.

Quella domanda che ho fatto a Claudio: "quante volte ti sei trovato in questa situazione?" "Ho perso il conto." Non stava parlando di se stesso.

Stava parlando di Simone.

Claudio diede loro le spalle, come se non riuscisse a sopportare di vederli.

Ecco perché ha capito subito che era stato Simone, a farmi bere.

«Eddaiii, quante storie fai sempre...» disse Simone.

«Ho detto finiscila!» sbraitò Claudio. Simone si zittì.

Tiziano ricordò improvvisamente anche uno strano scambio di battute con Claudio: mentre era ubriaco, gli aveva chiesto perché fosse triste, e lui gli aveva risposto di farsi i cazzi suoi. Era quello il motivo? Era triste a causa di Simone?

«Mettilo a dormire sul tuo letto. Tu vai di sopra sul mio, io dormo per terra» disse Claudio rivolgendosi evidentemente a Tiziano.

Tiziano aiutò Simone a sedersi. Lui si lasciò cadere sul materasso, mugugnando.

«Ehm... ti devi svestire...» disse Tiziano.

«Ci ho sonno...» si lamentò lui, che sembrava sul punto di addormentarsi in posizione seduta.

Claudio sbuffò, si voltò finalmente verso di loro e si avvicinò. Senza dire niente cominciò a togliere le scarpe a Simone, che lo lasciò fare senza minimamente collaborare. Proseguì slacciandogli i jeans, gli arti di Simone cadevano a peso morto, ogni tanto qualche accenno di lamento a far capire che era ancora vivo. Claudio si muoveva con sicurezza, come se l'avesse fatto un milione di volte. Simone sembrava già praticamente addormentato, ma aveva le sopracciglia deformate in un'espressione di sofferenza.

Io non so niente di lui. Io non lo conosco.

Il principe azzurro di cui era innamorato da due anni aveva dei segreti, e dei problemi, e una vita forse più buia di quel che poteva sembrare incontrandolo solo un paio d'ore a settimana sul campo da gioco.

Aveva dato il colpo di grazia a un ragazzo che nemmeno conosceva. Un ragazzo che per lui era solo un'immagine idealizzata e perfetta.

Si sentì stupido da star male.

«Cazzo fai lì impalato? Va' a dormì. Finisco da solo.»

Tiziano annuì meccanicamente. Si sfilò le scarpe e i calzini. Era già in tuta, non gli serviva cambiarsi.

Dormirò nel sacco a pelo di Claudio, constatò mentalmente mentre saliva la scaletta. L'idea lo lasciò indifferente.

Dal piano di sopra del letto a castello, mentre si sistemava nel sacco a pelo, Tiziano sentiva gli scossoni di Claudio che sistemava il corpo moribondo di Simone.

«Claudio? Sei tu?» sussurrò a un certo punto Simone, emergendo dal coma.

«No, sono Diletta Leotta.»

Simone rise. Anche Tiziano sorrise, silenziosamente, alla battuta.

«Dormi coglione. Domani mattina parliamo» disse Claudio.

«Me lo dai un bacio?» sussurrò Simone.

Il cuore di Tiziano perse un battito. Ci mancava solo che, nel delirio alcolico, Simone confessasse a Claudio di essere diventato improvvisamente e inspiegabilmente gay.

«Cretino, non sono veramente Diletta Leotta» ribatté Claudio.

Poi sentì il letto scuotersi per dei movimenti concitati.

«Ma che cazzo fai?» disse Claudio. Lo vide allontanarsi con uno scatto dal letto. Si stava toccando la guancia con una mano. Simone aveva provato a baciare anche lui? Lo sguardo di Claudio incrociò quello di Tiziano, ma solo per un istante. Il ragazzo voltò subito gli occhi e levò la mano dalla guancia, come imbarazzato.

«Ho le idee confuse...» La voce di Simone, dal piano di sotto, era lagnosa e impastata.

Claudio guardò il suo amico per qualche secondo, scuotendo mestamente la testa. Poi spense la luce e, al buio, Tiziano lo sentì salire la scaletta. Si tirò su a sedere allarmato. «Ehm... non dovevi...?»

«Ho cambiato idea, il pavimento è scomodo. Girati verso il muro, io mi giro dall'altra parte.» Si mise in ginocchio accanto a lui. «Esci dal sacco a pelo. Si apre tutto, lo usiamo come coperta.»

Tiziano obbedì e passò il sacco a pelo a Claudio, mentre si stendeva di nuovo, lasciando spazio per l'altro e rivolgendo la faccia al muro.

Si disse che avrebbe dovuto protestare con Claudio, essere imbarazzato, o eccitato all'idea. Ma c'erano altri pensieri, in quel momento, nella sua testa. Sentì il sacco a pelo trasformato in coperta posarsi sulle sue spalle. Ne afferrò un lembo, lo si sistemò, mentre Claudio gli si stendeva accanto, anche lui dandogli le spalle. Non lo vedeva ma lo percepiva.

Dormire con un ragazzo.

In una situazione normale sarebbe rimasto sveglio per tutta la notte, canticchiandosi mentalmente la sigla della Signora in Giallo per cercare di calmare l'eccitazione. Ma era talmente stanco, preoccupato per Simone e disgustato da se stesso e da tutto ciò che era successo, che accettò apaticamente la cosa, senza un fremito, senza un battito di ciglia.

La schiena di Claudio era poggiata contro la sua. Non gli faceva alcun effetto.

Passò circa un minuto, in cui i due ragazzi si sistemarono come meglio potevano in quel giaciglio stretto. Poi, nel silenzio della notte, quando entrambi si erano calmati, Claudio borbottò: «E nun me fà vede l'arzabandiera pure domattina.»

Come faceva ad avere sempre voglia di scherzare? Ma Tiziano lo capì: non era indifferenza o insensibilità, era desiderio di sdrammatizzare. Di far sembrare meno tragica la situazione.

E la frase riuscì a strappare a Tiziano uno stanco sorriso.

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