Una notte o forse mai più
Passai la serata con conoscenti assieme a Davide cercando di farlo ridere il più possibile. Qualcosa mi turbava e nonostante mi trovassi in mezzo a discorsi con l'attenzione di tutti addosso continuavo a tornare esattamente a quel momento con Chiara. Aveva catturato la mia attenzione come un ragno cattura le prede nella sua ragnatela. Poche basilari parole mi fecero dimenticare della rissa, dell'astinenza da droghe e da altre mille cose. Stavo seduto sul divanetto con le braccia lungo i fianchi, nessun gomito sopra al tavolo, non gesticolavo nel parlare. Non stavo più invadendo lo spazio altrui per dominare il discorso e rendere gli altri semplici partecipanti. La confusione nella mia testa era tale da farmi notare cose assurde che prima non avrei mai visto. Notai un neo sulla tempia di Davide, dimensioni molto piccole, ma se fossi in lui lo farei controllare perché pare abbia una forma sospetta. Spostai il piede destro sotto al tavolo e diedi un calcio a una bottiglia di acqua tonica che finì nel corridoi tra i piedi di una conoscente che indossava tacchi rossi sgargianti, credo portasse un 38. Vidi un tizio al bancone vicino al tavolo in cui ero seduto indossare una giacca della quale continuava a sistemare le maniche forse perché un pò lunghe, forse una giacca presa in saldo giusto perché di marca. Quando non era intento a guardarsi in torno e sistemare la sua giacca dall'alto del suo sgabello prendeva in mano il bicchiere sul bancone e sorseggiava un cosmopolitan. Sono certo che fosse un cosmopolitan dal suo colore, le luci della disco non raggiungevano il bancone e il terzo faretto sopra il bancone illuminava esattamente il nostro curioso tizio.
Le mie mani incrociate e poggiate sopra le gambe iniziarono a tremare e decisi di andare a fare due passi alzandomi dal tavolo senza dire nulla. Nessuno mi domandò dove stessi andando in quanto abituati ai miei vari giri in discoteca. Sparivo praticamente sempre per poi riapparire. Dovetti fare slalom tra persone di cui non sapevo il nome che mi fermavano per parlare di piccolezze come "che pezzo metti stasera", "grande Emiliano, sono venuto solo per sentire te". Tutti volevano farsi vedere mentre parlavano con me. Dopo l'ennesimo calcio all'ennesima bottiglia di acqua tonica decisi di dover uscire a prendere una boccata d'aria lontano da tizio che non conoscevo, droghe e dannate bottiglie abbandonate per terra. Un sentito pensiero va anche a tutti quei cocci di vetro sparsi per il pavimento che furono bicchieri che a sua volta contenevano drink. Poveri drink caduti in battaglia di una guerra combattuta a ritmi house.
Aprii la porta dell'uscita e due passi dopo sentii la musica diventare docile una volta chiusasi alle mie spalle. Finalmente per terra non trovai più bottiglie sebbene dovetti calpestare svariati mozziconi di sigarette sedotti e abbandonati sulla ghiaia davanti lo Skyliner. Presa una birra al bancone esterno, cercai qualcuno a cui chiedere una sigaretta e un accendino in prestito che non avrei mai più restituito. Si dice che ci siano accendini che abbiano fatto il giro del mondo. Misi in bocca il filtro della sigaretta e innescai la fiamma dell'accendino quando vidi dietro la sagoma della fiamma arrivare Chiara in mia direzione.
-Perdonami per prima. Sono andata via di soppiatto.
Misi l'accendino in tasca facendolo diventare di mia proprietà e diedi una pacca sulla spalla a quel ragazzo.
-Tranquilla. So reggere bene certi discorsi.
Esalavo il fumo verso il cielo con la faccia all'insù mentre un piede dopo l'altro passeggiavo di fianco a Chiara che sembrava seguirmi. D'un tratto Chiara si fermò e afferrò un mio polso facendomi fermare.
-Posso chiederti una cosa?
La guardai bene e notai i suoi tacchi neri medio alti, una gonna di media lunghezza nera e la maglia bianca. Aveva gli occhi castani più profondi che avessi mai visto e portava capelli ondulati, quasi ricci, castani con riflessi sul biondo.
-Dimmi! Rispondo a patto che tu non sparisca di nuovo.
Lasciò il mio polso e con l'altra mano mi tolse la sigaretta dalle labbra. La lasciai fare per capire fino a dove potesse arrivare. Mi stava tenendo testa e Dio solo sa quanto mi piaccia chi sa farlo. Gettò la sigaretta nel posacenere vicino a noi subito dopo averla spenta per poi ritornare da me. Sistemò una ciocca di capelli che le copriva l'occhio destro, morse il suo labbro inferiore e mi guardo dritto negli occhi.
- A te piace tutto questo? Tutto quello che ci circonda adesso? La musica, le sigarette, i cocci di vetro, quelli che fanno finta di conoscerti pur di farsi notare, l'alcol e tutto il resto? La pochezza in cui stiamo vivendo.
Io adesso non so voi, ma una ragazza che in discoteca mi pone una domanda del genere dopo quanto accaduto poco prima suscita in me curiosità. Le risposi con un "no" secco senza doverle dare una motivazione e lei mi rispose facendo arrivare il livello di curiosità della mia mente alle stelle.
-Andiamo allora! Ti porto nel mio posto.
Tenevo in mano una bottiglia di birra strozzata da uno spicchio di lime. Mi guardai in torno. In cielo c'era mezza luna e pensai a quell'altra metà così scura. Mi venne in mente Virginia con la sua paura del buio e capii che stavo vivendo sul lato illuminato della luna in bella vista, tanto lodato da poeti e cantautori. Dovevo andare verso il buio, lasciarmi andare senza paura. Tirai fuori dalla tasca anteriore dei jeans le chiavi della macchina sollevandoli ad altezza occhi. Non dovetti dire nulla e ci capimmo immediatamente.
Gettai la bottiglia nel bidone, entrai nel locale e dissi al dj prima di me di coprirmi per quella sera. Quella ragazza non voleva fare del sesso con il ragazzo dal cuore di ghiaccio nella sua auto. Una volta usciti senza dire niente a nessuno mi disse di mettere il telefono su modalità aereo. Tutto era così strano, così insolito. Una ragazza apparentemente di ceto alto che fa richieste insolite a me che ho appena scatenato l'inferno? Decisi nuovamente di assecondarla e una volta in macchina mi disse dimettere in moto e di seguire le sue indicazioni.
Volete un dialogo figo? Non ho dialoghi per voi. Il viaggio in auto fu una cosa molto semplice. Chiara si limitò a darmi indicazioni stradali e nient'altro. Teneva il cellulare sulle sue gambe con il volume del navigatore alto e di tanto in tanto scrutava il cielo fuori dal finestrino. Io guardavo morbosamente in giro per cercare di capire dove stessimo andando senza alcun risultato.
Ci avventammo in una stradina di campagna e dopo un po mi disse di lasciare l'auto sul ciglio della strada e spegnere il motore. Scese dall'auto e mi chiese di seguirla. Presi una copertina che tenevo in auto per le notti in cui dormivo fuori e la seguii. Dormivo con una coperta perché il sacco a pelo mi ricordava la sola volta in cui andai in campeggio con mio padre che passò tutto il tempo sul suo portatile.
Arrivammo in un posto isolato con due alberi molto vicini con alcuni rami che si intrecciavano tra loro. Lì vicino scorreva un ruscello e si intravedevano delle canne venire fuori da esso. Una volta li sotto mi disse di guardare su e notare come un albero fosse vittima della stagione e l'altro fosse molto più attivo. Uno parve appassire e l'altro parve ravvivarsi. Erano un castagno e un ciliegio, due alberi totalmente diversi in tutto, ma così vicini da avere i rami intrecciati. I germogli di uno sfioravano i rami insecchiti dell'altro. Pazzesco come due alberi si possano essere uniti in una cosa sola. Uno appassiva e l'altro fioriva chissà da quanti anni. Si aspettavano continuamente come se si sostenessero nei momenti peggiori e migliori. Una coppia di anziani innamorati reduci di una generazione dove l'amore era duraturo. Noi schiavi degli smartphone cosa ne potevamo sapere di tutto ciò? Nulla, se non sostenerci con dei like e cambiare lo stato sentimentale sui social.
Chiara seduta affianco a me spiegò perché quello era il suo posto.
-Questo è il mio posto magico dove io mi nascondo da tutto il resto quando mi sento sola e abbattuta. Ci venivo sempre con mia nonna. Pare che la sua trisavola seminò questi due alberi.
Sembrava molto emozionata per quello che mi aveva appena detto. I suoi occhi erano lucidi e la luce della luna li faceva luccicare come gemme.
-Perché li mostri a me? Perché hai portato proprio me qui?
Le presi una mano e con l'altra le diedi una carezza. Qualche goccia le scese dagli occhi.
-Perché tu sei entrambi questi alberi. Vivi vite parallele che continuano ad appassire e rifiorire.
Il silenzio calò tra di noi e le misi la copertina sulle sue spalle. Avevo trovato qualcuno che pur non conoscendomi sapeva cosa io fossi. Ero letteralmente scioccato. Non ci furono molte parole dopo quella risposta. Baciarci non sembrava la soluzione più azzeccata in quel momento.
Ritornammo nell'auto e subito dopo al club. Nel tragitto la guardai parecchio e il suo profilo ero semplicemente perfetto. Cercavo di non far grattare il cambio e di non far sollazzare l'auto nel ripartire dal semaforo. Non volevo mostrare alcun segno di cedimento, anche se quella ragazza aveva catturato la mia attenzione e la mia mente, facendomi passare ogni pensiero. Arrivati al parcheggio scese dalla macchina senza dire una parola portando con se la copertina e salì su di un taxi per poi svanire velocemente.
Rimasi in macchina a cercare una spiegazione a quanto accaduto prima. Niente, nessuna logica, nessun nesso dava pace alle mie sinapsi. Riaccesi il telefono e trovai svariate chiamate dei miei due amici, di Vanessa e altre persone. Salì in macchina Bianca, mi diede il suo solito bacio sulla guancia e mi disse di accompagnarla lontano da lì perché non stava bene. Feci chiamare Davide da Bianca per rassicurare tutti. Bianca scoppiò in lacrime e mi disse di aver assunto una pasticca. Fermai la macchina inchiodando, scesi, andai nel lato passeggero, aprii lo sportello e la feci vomitare ficcandole due dita in gola.
Scusate per i vari dettagli a volte esagerati. So di essere minuzioso e precisino, non ho scelto io. Quando ero piccolo mia madre aveva l'ossessione di tenere la casa in ordine talmente tanto da non farmi giocare in cameretta.
La presi in braccio e la portai sopra una panchina vicino l'auto. Iniziai a piangere come un bambino. Piansi molto mentre stringevo forte a me Bianca.
-Mi spieghi perché l'hai fatto? Non puoi stare male, non tu. Sono io quello che sbaglia. Sono io il tossico. Non tu.
Continuai ad accarezzare Bianca e darle baci sulla fronte. Non rispose al mio sfogo e incominciò a piangere anche lei.
-Se becco chi ti ha dato quella roba smette di vivere. Non farlo mai più. Non puoi farlo tu.
Aspettai che si riprendesse per accompagnarla in casa, nel proprio letto, senza far sentire nulla ai suoi genitori. Bianca per me significava molto. Una sorellina, un amica, una ragazza da proteggere. Decisi di non dire nulla a nessuno a patto che lei smettesse di frequentare brutte compagnie. Le lacrime in una notte folle mi liberarono di anni e anni di repressione. Prima di allora le lacrime furono cosa assai rara.
Giunto nel mio appartamento gettai la droga nella spazzatura. Qualcosa in me si muoveva. La serata particolare, Chiara e poi Bianca. Vidi attraverso Bianca quanto la droga possa fare male. Non avrei più dovuto cedere a quel mostro. Avrei dovuto dare il buon esempio a Bianca, avrei dovuto proteggerla. Buttai molti grammi di fumo, qualcuno di coca e una pasticca di ecstasy. La droga aveva toccato qualcuno che non doveva nemmeno sfiorare. Quella sera diedi un taglio netto al vecchio Emiliano.
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