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La vita

La vita

Nacqui durante l'inverno tra il freddo, la pioggia prepotente di quell'anno e i buoni propositi del capodanno già passato. Per il resto non dispongo di ricordi, di foto e di cimeli da riportare. Non trovai nulla che mi portasse a conoscenza di quei momenti. 

Mi piace pensare che qualcuno sia entrato in casa dei miei per rubare le cose più preziose, ovvero le mie foto da piccolo, il primo dentino caduto o il mio primo paio di scarpe. Infondo i soldi sono soltanto dei fogli a cui noi diamo un valore speciale. Carta, nient'altro che carta. Ricordo di aver avuto un peluche preferito. Si chiamava Ghigu. 

Ghigu era il cavaliere bianco che mi proteggeva dai mostri durante la notte quando la copertina troppo corta non bastava a tenerli lontani da me. Ghigu era l'affetto che mancava nella mia infanzia. Tornavo dall'asilo e cercavo lui per poterlo stringere. Era un amico fedele e una figura a me tanto cara. Ho avuto amici immaginari, ma quel peluche andava oltre tutto. E voi avevate un peluche? Avevate una copertina? 

Tornando dal primo giorno di scuola  mia madre mi disse di aver buttato Ghigu perché uno della mia età non poteva avere un peluche. Fu un distacco violento. Fu un addio non vissuto. Avrei voluto essere io a riporlo nella scatola dei ricordi. Avrei voluto crescere, capire di lasciare i miei amici immaginari per averne di veri. Mi fu tolta la possibilità di passare dall'infanzia all'adolescenza. Mi fu portato via un amico. Mi fu tolta la possibilità di lasciarlo in soffitta per anni per poi ritrovarlo e rivivere quei momenti.

Mi chiamo Emiliano, sono un ragazzo che definiresti scapestrato, fuori dalle righe, da non lasciare uscire con i tuoi figli. Non mi fido di nessuno e spesso tendo a fregare il prossimo solo per il gusto di aver tolto qualcosa a qualcuno. Starete pensando che io sia menefreghista? 

Alzi la mano chi di voi non lo è mai stato e io smetto di parlare. La legge della sopravvivenza ci impone in alcuni momenti di pensare più a se stessi che agli altri. Fate mente locale miei cari e vedrete che non sono poi così diverso da voi. 

Non sono poi così mostro come pensiate. Mi hanno insegnato a prendere ciò che voglio senza alcun limite morale. Ciò che per molti rappresenta un tabù per me non lo è. Il fine giustifica i mezzi. Riponete i vostri indici accusatori in tasca, siamo tutti simili tra noi. Ovvio, ogni tanto qualcuno esce dagli schemi della sopravvivenza e diventa uno stinco di santo, Gandhi docet. 

Non vi descriverò il mio aspetto fisico, la mia faccia, le mie espressioni tipiche o quante rughe io abbia. Il mio aspetto fisico non ha mai giocato un ruolo importante nel mio essere.Sono state rare le volte in cui mi sono fermato dinnanzi uno specchio ad ammirarmi. Immaginate la mia barba come meglio vi possa sembrare. I miei zigomi scolpiti dal vento quelle volte dove correre era l'unica salvezza. I capelli biondi, castani, ricci, lisci, lunghi o corti, sono solo un immagine di me che vi accompagnerà finché non svanirò. Potrei essere diventato calvo per quello che ne so, un bel mastro lindo sorridente. Facile sorridere se molte donne ti scelgono. 

Tornando serio, ricordate di me l'emozioni che vi ho fatto provare. Cogliete ogni briciola di quel che sono attraverso le mie parole fino a diventarne sazi. Sono un ragazzo che va oltre i soliti stereotipi, oltre gli standard. Vivo tra alti e bassi come se fossi un ascensore che lavora da decenni senza mai fermarsi in maniera permanente. Diciamo che i piani su cui pigiano di più le mie emozioni sono il piano terra e l'ultimo piano. Da un estremo ad un altro. Ecco, io sono un passeggero in costante moto tra quei due piani. Dalla gioia al dolore, dalla felicità alla tristezza, dall'odio più radicato all'amore più sincero. In bilico tra due estremi. Vorrei tanto essere come tutti, accontentarmi. Chi si accontenta è felice? Chi si accontenta gode appieno l'essenza della vita?

Non credo che la vita debba essere un accontentarsi, non è vita. Se l'uomo si fosse accontentato non saremmo mai arrivati sulla Luna o non avremmo mai raggiunto tutti quei traguardi. L'uomo è sognatore per natura e se reprime i suoi sogni non è più se stesso, si è accontentato. Provate a pensare se un albero si accontentasse e smettesse di crescere e di radicarsi sempre più. Dopo l'ennesima tempesta finirebbe per spezzarsi o essere spazzato via. La natura stessa ci insegna a non accontentarsi mai. Io non mi accontento mai, ne adesso ne in passato. Alla ricerca del massimo, dell'estremo. Preferisco lanciarmi giù dal precipizio piuttosto di non sapere cosa c'è alla fine.

Della mia infanzia ho ricordi poco precisi, gli strizza cervelli dicono che ho rimosso tutto per autodifesa. Cosa ne sanno loro? Pensano di entrare nella tua testa ogni volta che lo ritengono opportuno per farsi un giro scavando negli angoli nascosti e trovare una spiegazione o una soluzione. Tutti intenti a dare un nome al tuo problema, a programmare un piano per reintegrarti nella società. Entrare in punta di piedi non rientra tra le loro competenze. Entrano, scrutano e poi escono. Ciò che lasciano è un disordine mentale degno del peggior squilibrio e figlio della schizofrenia. Ti devastano dentro. Curarsi dei tuoi limiti è un utopia che annichilisce la ragione.

Sono affascinati dai tuo drammi. Penso che molti di loro li collezionino come vecchie polaroid.


Calvi, capelloni, uomini o donne, li ho girati tutti. Dal professore universitario che fuma la pipa con la forfora perenne sopra le spalle della sua giacca alla signora di mezz'età trasandata con capelli unti pronta a bozzare le speranze altrui gettando chiunque nell'abisso di psicofarmaci. Un infanzia che forse ho rimosso perché spinto a non godermela del tutto. Tra un rimprovero a non giocare più con le macchinine per andare a comprare la spesa e l'immagine del mio letto senza il mio peluche.  

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