Che storia
A volte mi chiedo come faccia la gente a scappare dalla sofferenza. Cerchiamo di scappare da tutto quello che ci faccia del male. Siamo diventati intolleranti ai rimproveri e le disgrazie. Si studiano ogni anno modi diversi per evitare la sofferenza. I servizi sociali si attivano per uno schiaffo, le mamme infieriscono contro le maestre se rimproverano i loro figli, trentenni rimangono single pur di non soffrire per amore e così via. Soffrire non è più contemplato nel nostro modo di vivere. Siamo diventati persone capaci di viaggiare per il mondo in poche ore, ma timorosi della sofferenza. Forse starete dicendo "meglio così". Tutto sbagliato secondo me. Soffrire ti forma e ti da la spinta per andare oltre. Nel vaccino si trova un pò del virus per abituare il corpo a contenerlo e batterlo. Se non vi vaccinate contro la sofferenza non potrete mai affrontarla e sconfiggerla ed alla prima occasione difronte ad essa sarete sconfitti. Accettate il dolore perché fa parte della natura e serve per crescere.
Tornando alla narrazione Io e Chiara iniziamo a frequentarci e tutto sembrò andare per il verso giusto. Lei mi diede la spinta per tornare a studiare per diplomarmi e per trovare un lavoro più adatto a me che tardava ad arrivare per via della crisi economica di quell'anno.
I suoi genitori iniziarono a trattarmi come un membra della famiglia. La madre di Chiara, Lara, è una donna molto all'antica, casalinga ed amante della musica in quanto ex cantante di opera lirica. Si esibì nei più importanti teatri italiani interpretando la prima donna fino ad aver chiuso la sua carriera al San Carlo di Napoli dopo essere rimasta incinta di Chiara. Il padre, Fulvio, un uomo molto severo e saggio, professore presso l'università della città con una laurea in lettere.
La sorella minore di Chiara si chiama Noemi, non so dirvi molto su di lei. Sono poche le volte in cui in casa parliamo. Una ragazza che sta molto per le sue, educata, a modo. Frequenta le medie e passa le sue giornate tra corsi di canto, equitazione e tennis. Dicono che sia la più talentosa della famiglia. Molte aspettative spesso deludono. Lo ripeterò ancora una volta, chi sono io per dirlo?
La storia con Chiara portò dei benefici nel rapporto fra me e Vanessa. Iniziò a ricredersi su di me e mi diede delle speranze che sempre mi furono negate. Iniziammo ad uscire a quattro e fu tutto molto spensierato. Sapete, avevo fatto sesso con Virginia la mia prima volta, ma non avevo mai fatto l'amore. Nei libri o nei racconti senti molto parlare di rapporti che ti fanno trascendere verso il paradiso pur bruciandoti dentro come le fiamme dell'inferno. Io non avevo mai provato tutto ciò. Quel bruciare e trascendere lo provavo ogni volta che lo facevo con Chiara. Il mio sangue si fondeva con il suo. I nostri occhi ci spogliavano ancora prima che ci fossimo tolti i vestiti. Bastava un nulla per far scattare la scintilla, come le mani che si sfioravano. Fare l'amore è avere un orgasmo che parte dalla tua testa prima ancora che dallo sfregamento fisico. Non esistono punti G o altre stupide dicerie. Puoi avere molti orgasmi in vita tua, ma solo pochi saranno veri. Quelle volte capisci di fare l'amore se senti un brivido che parte dalla zona alta della colonna vertebrale, dal collo, che si sposta lentamente verso la zona bassa della tua schiena. Svanisce ogni sorta di stress o dolore. Non conti quanti minuti duri perché sono i minuti che contano.
La nostra prima volta fu semplice, semplicemente indimenticabile.
Entrambi capimmo di non aver mai avuto nulla di così intimo e travolgente. Un treno in piena corsa che ci trascinò con sé. Chiara prima di me stette con una ragazzo per quattro anni. Di lui so poco perché non le ho mai chiesto nulla non volendo riaprire vecchie ferite. Un giorno come un altro andai a prendere Chiara da casa senza dirle nulla per portarla a fare un giro. Ogni tanto sentivo il bisogno di prendere la mia auto e partire senza meta e senza destinazione, giusto per andare avanti senza voltarmi indietro. Era un lunedì, quindi quel giorno saltammo le famose lezioni che fino ad allora andavano avanti a vele spiegate. Una volta in auto strada con il volume al massimo ed i finestrini abbassati iniziammo a cantare. Nulla poteva farci vergognare finché stavamo insieme. Decisi di portarla in un posto, ma saltai l'uscita autostradale e così fu per le altre tre successive. Finalmente uscii dall'autostrada e finimmo in una zona di mare. Una volta arrivati a destinazione presi la famosa copertina che dal giorno in cui mi fu restituita non la portai mai in casa. Andammo sulla spiaggia ad ascoltare il rumore del mare.
Intorno a noi non c'era nessuno per chilometri e chilometri. Bastò uno sguardo di troppo per scatenare i nostri cuori. Vi evito i particolari perché certi ricordi devono restare segreti e perché voi possiate solo immedesimarvi in noi. Spero per voi che abbiate fatto l'amore almeno una volta. Basta una sola volta per spazzare tutte le altre.
Fare l'amore è come mangiare una pietanza nel miglior ristorante del mondo, nessun pranzo o cena dopo avranno più gusto.
Ogni volta fu come farlo per la prima volta e non importava dove, quando o come. Lei iniziò a fare parte della mia vita tanto quando i mostri che mi torturavano nel sonno. Volevo parlarvi della nostra storia nei minimi particolari, però preferisco saltare tutto per non annoiarvi. Successivamente iniziai a suonare il piano in maniera molto mediocre. Divenni un esecutore provetto. Mi diplomai come ragioniere in soli due anni uscendo con centodieci. Dopo decisi di inscrivermi all'università della mia città che vantava un ottima facoltà di giurisprudenza. Scelsi quell'indirizzo per ringraziare chi mi aveva donato una nuova vita, Davide. Tutto procedeva a gonfie vele, ragazza, scuola e lavoro.
Esatto, lavoro! Ricordate il biglietto sul parabrezza della mia auto che trovai quando comprai il portatile? Vi era un messaggio con scritto "chiamami" ed un numero di telefono. Chiamai e scoprii che il numero su quel foglietto era di Marco. Mi offrì un lavoro come pasticcere per insegnarmi il suo mestiere. Vidi di sfuggita mia madre un paio di volte e conobbi i miei fratellastri, ma di questo ne parleremo più in là.
Ogni volta che tutto va bene ricordate che la vita è una ruota e che tornerete giù. Gli scheletri nel mio armadio iniziarono a bussare sempre più forte le ante fino a distruggere tutto e saltare fuori. Le giornate felici presero una brusca frenata.
Vi ricordate di Ivan? Ivan si sentì messo da parte da me e Davide e iniziò a girare con brutta gente tanto da arrivare a conoscere l'uomo per cui io smistavo e rivendevo la droga. Il suo nome era Elis. Parlo al passato perché per me non merita di esistere. Molte persone si trovano sulla terra solo per far numero. A Elis non era mai andato giù il fatto che io fossi sparito. Una volta che venne a sapere della mia conoscenza con Ivan cercò di usarlo per convincermi a tornare a lavorare per lui. Avevo cambiato vita e non avevo intenzione di tornare ad i suoi piedi. Pur di farmi cambiare idea una sera mi bucò tutte e quattro le ruote dell'auto e giorni dopo fece forzare la serratura di casa mia solo per farmi capire di essere disposto a tutto. Di cascare alle sue minacce non ne avevo voglia, non ne ero capace. Le cose cambiarono quando una sera mandò Ivan a minacciare Noemi. Un mio amico minacciava la sorella della mia ragazza, un gesto che fece saltare ogni ponte costruito dentro me. Andai fuori di testa. Il vecchio Emiliano assorbì il nuovo. Andai da solo, senza avvisare nessuno, nel quartiere dove i suoi ragazzotti stazionavano di solito.
Chiesi spiegazioni a Ivan che per mostrarsi più forte mi schermì dinnanzi a tutti. Voleva farmela pagare per averlo messo in disparte. Voleva farmi sentire solo. Voleva che io mi sentissi fuori dal suo gruppo. Non capiva di essere soltanto un burattino guidato da un mangia fuoco senza scrupoli. Il paese dei balocchi in cui si trovava era una gabbia stretta dal quale poteva vedere la libertà senza mai viverla. Chi meglio di me poteva saperlo? Chi se non me poteva percepire ciò che provava? Sapevo cosa fare e quali mosse eseguire per poterli fare tornare nelle loro cucce come cani bastonati. Nei loro occhi leggevo una sicurezza fittizia. Avevo difronte quella squadra arrivata in finale con la convinzione di essere la più forte e di aver già vinto ancora prima di scendere in campo. Avrebbero dovuto restare sugli attenti perché io stavo per mostrare loro la mia parte peggiore. Stavo per mostrare l'Emiliano che non temeva nulla.
Arrivò anche Elis per prendersi gioco di me. Prima di prendere una decisione una mia insegnate all'asilo mi disse di contare con le dita fino a dieci ed io contai, ma giunto al nono dito la furia prevalse su di me. Diedi un pugno ad Ivan in pieno volto e subito mi accanì su di Elis per poi bloccarlo e puntare la lama di un coltellino diritta sulla sua giugulare. Nessuno tentò di reagire perché erano a conoscenza di ciò che io fossi capace di fare. Dissi ad Elis di dovermi lasciare in pace e che la prossima minaccia che avessi ricevuto avrei fatto male a chiunque fosse a lui caro. Andai via fissando Ivan con uno sguardo di odio misto a delusione. Un'altra persona da cancellare alla mia tanto breve lista. Avevo appena minacciato uno spacciatore davanti il suo gruppo e avevo rotto il setto nasale a un mio ormai ex amico. La sera stessa la mia macchina fu data alle fiamme, non dissi mai nulla a Chiara e Davide per non farli preoccupare. Parlai con Noemi per tranquillizzarla e le chiesi di mantenere il segreto. Come spiegazioni delle fiamme diedi quella di un corto circuito. La sera stessa ricevetti la chiamata di Elis che dichiarò di aver dovuto farlo per questione di rispetto e che sarebbe sparito. Furono parole ben spese visto che mantenne la promessa. Io e Noemi iniziammo ad avere un rapporto basato sulla complicità in cui ognuno confidava all'altro le varie malefatte senza essere giudicato. Stavo con la ragazza perfetta, avevo un ottimo rapporto con sua sorella e i suoi genitori mi volevano bene.
Mesi dopo lessi sul giornale che Ivan fu arrestato per spaccio di stupefacenti, colto sul fatto da sbirri in borghese. Quel ragazzo prese una brutta piega così come un tulipano si spezza spinto dal vento.
Il dispiacere per esso lascio posto alla delusione ed allo sgomento. Lo eliminai dalla mia mente, come mia madre, come mio padre, come chi non credette mai in me e come chiunque mi discrimino schermendomi. Il battito non mi dava più noia, divenne mio alleato. In un battito potevano accadermi molte più cose positive che negative. La mia esistenza era un manga ed io avevo sempre sbagliato il verso di lettura. Diedi il primo esame arrivando al punteggio di trenta su trenta. La sera andammo a festeggiare come mai avessi fatto. Chiara preparò una festa a sorpresa con le persone a me più care; i suoi genitori, Noemi, Vanessa e Davide. Tutto mi fu tanto caro quanto incredibilmente doloroso. Pensare di essere lì a festeggiare un traguardo importante senza nessuno a me caro. Non dissi nulla come sempre, ma l'incertezza che tutto ciò fosse tanto bello quanto incolore si presento davanti la mia anima. Possedevo tutto eppure non avevo nulla.
Si può stare bene da soli? Stare bene da soli è il primo passo per stare bene con gli altri?
Fandonie! Anzi, perdonatemi, cazzate! Esiste un periodo in cui vogliamo stare da soli, magari durate la giornata, durante la settimana o durante la crisi dei quarant'anni o ancora prima durante l'adolescenza.
Tutto chiaro e tutto allettante. Stare da soli è prendersi del tempo per se stessi e lavorare su se stessi, scolpire la nostra persona per creare un capolavoro. Siamo opere d'arte, tutti. Ogni difetto ci rende unici ed ogni perfezione ci lascia brillare. Come può un individuo scolpire se stesso con l'intento di stare bene in mezzo alle altre opere? Voi avete una risposta? Stare bene con gli altri è differente da stare bene da soli.
Io ho passato una vita da solo fino all'incontro con Chiara, eppure non so stare bene con gli altri.
Stare con gli altri è una sinfonia che funziona solo se tutti battono lo stesso tempo guardano sullo stesso spartito. Ancora più complesso è suonare le stesse note e seguire lo stesso direttore.
Suonando perfettamente non durerete comunque più del tempo destinato a voi. Ogni rapporto gode di un tempo ben preciso, non un solo secondo oltre quel limite.
Spesso tendiamo a forzare i rapporti o far finta di nulla pur di non rovinarli. A quale scopo? A quale prezzo?
Stare bene da soli è anni luce distante dallo stare bene con altri. Alfa e Omega, Terra e Venere.
Io, ad esempio, iniziai a stare bene in comunità. In quattro mesi di comunità non imparai a fare a meno della mia dipendenza, tutt'altro. L'unica cosa che imparai lì dentro fu solo il numero della mia stanza, la numero trentaquattro, di fronte a quella di un poverino che urlava tutte le notti.
Capii che non dovevo cercare di piacere agli altri. Io sono me stesso con le mie debolezze e con i miei innumerevoli difetti. Prendere o lasciare e io mi presi. E perché fui ritenuto idoneo ad andare via? Finsi per tutto il tempo di aver bisogno di aiuto, di conforto e chiedevo un sacco di cose a chiunque. Chiesi come si preparava il caffè o come si riparava uno sciacquone per farvi capire. Le domande più assurde vennero zittite dalle risposte più basilari. Mi parve di trovarmi dentro un gioco di ruolo. Tutti sembravano contenti dei miei risultati. Lo psicologo mi disse che stavamo facendo grandi cose, grandi progressi. Pazzesco! L'unica cosa che mi aiutò in comunità furono quelle rose di cui prima vi parlai. Erano rose chinensis di una bellezza unica. Il loro colore era talmente accesso che davano l'impressione di brillare di luce propria. Le si notava a distanza immerse nel verde decadente di quel giardino, Mi rivedevo molto in loro e con esse mi mostravo vero, prendendomene cura. Imparai tutto sulle rose. Come una mamma impara con amore a prendersi cura dei figli.
Ero una rosa in attesa di sbocciare, di splendere anch'io con un colore sgargiante in mezzo alla decadenza. Vi sembro matto e bipolare? Possibile. Uno psicologo disse che fingevo per via dei miei genitori. Imparai da loro, dai migliori. Loro fingevano di amarsi, fingevano di volersi ancora bene. Fingevano che tutto fosse frutto della mia immaginazione. Secondo loro ero io a inventarmi le litigate, i pugni sulla porta di mio padre, la polvere bianca con cui era macchiata la tappezzeria di quella maledetta auto bianca. Ho inventato tutto? Se ho inventato tutto sono una persona cattiva. Anzi, ero un bambino malefico. Promettete di non fingere mai. Promettetemi di non fare come i miei genitori. Al primo litigio ditevi tutto in faccia. Al primo schiaffo andate via. Alla prima malefatta non dite che fa lo stesso. Siate sempre sinceri. Siate sempre realisti. Siate sempre veri. A pagarne le conseguenze spesso sono i figli. A pagarne le conseguenze sarete voi. Non fingete!
Immagino di essere in coma per qualche strano incidente o qualcosa di cui io non so bene l'antefatto. Il fatto di non provare dolore mi spinge a pensare di essere sotto sedativi. Vi posso assicurare che non è stata colpa della droga perché io non ne feci più uso. Chissà come possa sentirsi Chiara. Chissà come stia Davide, Vanessa, Noemi o addirittura i miei genitori. Magari avranno capito di avere ancora una prole abbandonata a se stessa.
Chissà da quanti giorni io mi trovi in questa situazione. Se fossero anni? E se non fossi in coma? Se ciò che sto vivendo è la fine della mia vita terrena? Ho una paura pazzesca. Questa volta non fingo. Almeno con voi! Vorrei riabbracciare Chiara. Abbracciarla forte a me come quella volta in cui andammo in vacanza per la prima volta da soli. Ci trovavamo per le strade di Torino a baciarci quasi ogni metro. Che città stupenda! Ricordo di essere uscito a prenderle una bottiglia d'acqua e di essere tornato dopo meno di dieci minuti in camera. La vidi in piedi davanti a me, nel bel mezzo della stanza. Indossava la mia felpa, dove a momenti dentro spariva, delle mutande rosa e dei calzini bianchi. Si avvicinò a me, mi strinse forte a se e mi disse di voler fare l'amore fino a non capirci più niente. Così fu, non uscimmo dall'hotel per i restanti due giorni. Ci capitò di non sapere che ora fosse o di saltare i pasti. Quando sei felice a molte cose non ci fai più caso. Non abbiate paura di soffrire. Non abbiate paura di vivere.
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