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Capitolo 8

‹‹ Quello non è Minho ››
Ogni volta che chiudevo gli occhi per provare a dormire, mi sembrava di sentire quelle parole uscire dalla bocca di Newt, e di sentire il mondo piombarmi addosso come un macigno.
Magari le sentivo in una formula diversa, ma come fosse formulata la frase, il senso era sempre quello.
Sempre forte, pensante, una brutta realtà al quale ancora non riuscivo a credere.
Vedevo il volto dei miei amici sciogliersi nei miei ricordi, diventando sempre meno nitidi, come se qualcuno li stesse cancellando lentamente.
E quanto tempo era passato, ormai? Un mese e qualche settimana?
Un mese duro come pochi, oserei dire.
Ormai io e Newt vivevamo come fuggitivi. E no, Justin o gli altri non ci avevano ancora raggiunti. E come potevano farlo? D'altronde non avevamo un posto fisso, e non avevamo il tempo materiale per cercare qualcuno. Pensavamo solo a trovare un modo per sfuggire alle telecamere, o abbandonare quell'inferno senza essere ripresi dall'Hae.
Fortunatamente non eravamo delle persone viziate nel dormire, e riuscivamo a riposare nei posti più impensabili: case abbandonate – le poche che c'erano, s'intende –, vicoletti poco illuminati, rannicchiati tra qualche automobile, con i turni di veglia per evitare che qualcuno ci beccasse e, di conseguenza, ci arrestasse e poi chissà che fine avremmo fatto. Nemmeno fossimo dei barboni.
‹‹ Caspio ›› brontolò Newt, schioccandosi la schiena. Toccava a me fare la guardia, e lui si era riposato qualcosa come trenta minuti, rannicchiato dentro la casetta giocattolo nella quale c'eravamo nascosti. Era un piccolo parco giochi, e ci fece ridere il fatto che in un posto come quello, in un periodo simile, qualcuno avesse ancora voglia di avere figli.
Inoltre la casa era davvero piccola per noi, ma riuscimmo ad incastrarci, sebbene fossimo stretti ed appiccicati come acciughe in scatola. Non che la cosa ci desse fastidio: d'altronde non era la prima volta.
‹‹ Che c'è? ›› gli chiesi, assumendo uno sguardo premuroso
‹‹ Mi manca il letto. O il divano. O la brandina della radura. La mia schiena ormai è viziata... sono troppo vecchio per questo genere di vita allo sbando ››
Sollevai gli occhi al soffitto della casina, accennando un sorriso.
Persino tra me e Newt le cose non andavano esattamente da Dio, ma questo era una cosa che ormai andava avanti da un po'. Non mi piaceva ammetterlo, ma sapevo che comunque la colpa non era totalmente sua. Aveva troppe cose per la testa, tra cui i nuovi ricordi che piano piano riaffioravano.
Spesso era così concentrato per tenerli lontani che si dimenticava del fatto che, ormai, vivere nel passato non aveva senso, ed era meglio vivere il presente.
E nel presente c'eravamo noi, ed i nostri amici che... beh... non volevo nemmeno pensarci.
‹‹ Dopo, se vuoi, ti faccio un massaggio ›› ironizzai, guardando fuori dalla piccola finestrella della casa. Era tutto buio, e nel parco c'era solo un lampione dalla luce arancione.
C'era parecchio freddo, ma lamentarsi di questo non avrebbe migliorato la situazione.
‹‹ No, grazie ›› rispose, poi inclinò la testa ‹‹ vuoi dormire anche tu, Liz? ›› chiese con un tono premuroso.
‹‹ Sono apposto ›› il mio tono, invece, era distaccato.
Il fatto di aver pensato anche solo per un attimo ai miei amici non mi portò esattamente il buon umore.
E, come detto prima, non riuscivo a chiudere occhio in santa pace, perché ricordavo subito quelle parole.
Al fatto che persino Minho era andato via, ed ancora un volta non ho potuto fare nulla per impedirlo. Ora c'eravamo solo e soltanto noi.
Lo sentii sospirare, ed istintivamente mi girai nella sua direzione. Aveva uno sguardo basso, stanco, ed i vestiti sporchi e stropicciati. Eppure per me non era una visione così negativa della cosa.
Certo, una doccia non ci avrebbe fatto né schifo né male, ed anche cambiarci gli abiti... ma almeno eravamo vivi.
‹‹ Vorrei poter fare di più ›› disse di punto in bianco, interrompendo il flusso dei miei pensieri, poi sollevò la testa e si mise una mano dietro al collo, sbuffando in modo stressato ‹‹ vorrei riuscire a tirarti fuori da questo posto, piuttosto che continuare a fare la vita dei senzatetto ››
‹‹ Beh, non siamo dei senzatetto ›› indicai il soffitto sopra le nostre teste, accennando un sorriso degno della peggiore delle bambine ‹‹ guarda! Certo, questa casina è un po' piccolina e scomoda, ma sempre meglio di nulla, no? ››
‹‹ Spiritosa ›› brontolò. Tentativo di sdrammatizzare perfettamente fallito, ma era meglio di nulla.
‹‹ Forza, usciamo da qui e torniamo nell'area 3 ›› disse, aprendola la porticina accanto a sé.
Avevamo fatto una mappa mentale della città, e suddivisa in 8 grandi aree delimitate da dei precisi monumenti del luogo.
L'area 3 era delimitata da un altare enorme dedicato al culto del sole, fino alla base dell'Hae. La chiamavamo anche "zona chiave", perché era quella dove le guardie giravano molto più spesso.
Ogni giorni, dalle 16 alle 19, partivano sei camion ad intervalli di 40 minuti.
Li avevamo contati. Facevano avanti ed indietro; E no, non avevamo ancora capito il perché, né cosa trasportavano. Erano grandi e neri, con una scritta bianca in coreano.
Le guardie erano armate fino a i denti, quindi non eravamo esattamente tentati di scoprirlo gettandoci verso di loro e gridando qualche strano slogan di battaglia.
‹‹ Perché proprio l'area 3? ››
Lo seguii fuori dalla casetta, osservandolo mentre si scioccava di nuovo la schiena ‹‹ perché ho in mente una cosa da circa una settimana ›› rispose, sbadigliando poco dopo.
‹‹ Ossia? ››
‹‹ Ricordi che Huan – lui, vero? – disse che l'Hae è una sorta di Eden? ››
‹‹ Sì, me lo ricordo ››
‹‹ Date le ultime avventure vissute con loro, torno all'idea di base: sono praticamente la C.A.T.T.I.V.O. coreana. Anzi, ne sono più che certo ›› sussurrò, praticamente, temendo che qualcuno potesse sentirlo, poi chiuse gli occhi ed inspirò profondamente, piegandosi fino a sedersi sul terriccio.
Dato che io ero ancora in piedi, afferrò la mia mano e mi tirò verso il basso, facendo chinare anche me ‹‹ sta giù, non voglio che ti vedano ››
Aveva un'aria assorta, preoccupata e, in qualche modo, confusa.
‹‹ Hai tutta l'aria di chi non ha fatto altro che pensare ›› mormorai
‹‹ Ed infatti è così ›› mi fece notare. I nostri visi erano così vicini che avevo la sensazione che, se mi ci fossi messa d'impegno, sarei riuscita a leggere nei suoi occhi ciò che gli frullava per la testa.
Per qualche strano motivo, calò il silenzio tra noi mentre ci fissavamo negli occhi. Le mani strette tra di loro come se non s'incontrassero da un sacco di tempo, e, per me, fu come se all'improvviso il mondo si fosse fermato per un po'. E non era esattamente il momento adatto per fare la romantica.
Ci fu solo una nota amara: il suo sguardo. Era spento, come se il mio sentimento fosse platonico.
Era spento, pensieroso, come se stesse guardando oltre me qualcosa che era in grado di vedere solo lui. Ed ero certa non fosse mai successo prima di quell'istante... o forse sì? Che fosse solo la stanchezza a farmi vedere certe cose?
‹‹ Liz? ›› mi richiamò, stringendo all'improvviso le mie mani ‹‹ ci sei? ››
‹‹ Sì ›› mormorai, sentendomi una stupida.
‹‹ Bene così ›› lasciò andare le mie mani. Sentii un freddo pungente penetrarmi nelle ossa.
Doveva essere solo stress e stanchezza.
Newt si sporse dietro si sé, ed afferrò un rametto. Lisciò il terreno davanti a noi e cominciò a disegnare un cerchio, con altri cerchietti più piccoli e li indicò uno ad uno man mano che spiegava ‹‹ bene, ora ti spiego da cosa deduco questa cosa ›› esordì, poi cominciò a spiegare ‹‹ pensaci bene. L'Hae ha visto che noi eravamo della C.A.T.T.I.V.O. e ci ha stranamente ospitato senza troppi controlli, poi ha cominciato a debellarci, a partire dal più anziano di noi e l'unico che poteva portarci via, e stranamente la nostra berga è precipitata e, guarda strano caso, ci hanno soccorso proprio loro ››
‹‹ La nostra berga è crollata per colpa di un fulmine ›› gli feci notare, ma scosse la testa.
‹‹ È questo il punto. Non penso sia stata una turbolenza ed un fulmine a far crollare la berga. La com'è ossessionata dalla perfezione la C.A.T.T.I.V.O., e sono quasi certo che quei bestioni non crollano così facilmente. Non ci ho mai ragionato prima, perché pensavo fossimo relativamente al sicuro, ma ora che mi ci fai pensare, Huan stesso ha detto che con – ››
‹‹ Controllano alcune zone per vedere se ci sono sopravvissuti o intrusi ›› ragionai insieme a lui, che annuì a quelle parole.
‹‹ E noi, teoricamente siamo intrusi ›› aggiunse.
‹‹ Ma allora perché farci entrare nelle mura, senza ucciderci prima? ››
‹‹ Ospitare la concorrenza non è un bene ›› mormorò tra sé e sé, come se a quella cosa, in effetti, non ci avesse nemmeno pensato. Portò una mano sul mento, picchiettandolo con l'indice. Poi sollevò lo sguardo su di me, come se avesse appena sentito l'eco della mia domanda, e prese una piccola boccata d'aria ‹‹ Non lo so. Anche se, magari, l'hanno fatto per vedere i nostri comportamenti. Questo mi sfugge, ma penso abbia qualcosa a che fare con l'area 3. Quei furgoni e tutte quelle persone armate non mi convincono, sono sicuro che dentro la base ci sia qualcosa di grosso. ›› si passò una mano tra i capelli, poi sollevò lo sguardo al cielo ‹‹ L'ho sempre detto che questo posto ha un'aria strana ››
‹‹ Perché sorridono tutti? ›› emulai le stesse parole che usò l'ultima volta che fece quell'affermazione, ed annuì in mia risposta, riabbassando lo sguardo.
Tirai, tra me e me, un sospiro di sollievo nel vedere che aveva l'espressione di chi, finalmente, era pronto a dirmi ciò che non aveva detto l'ultima volta. Probabilmente perché ora mi vedeva esposta a quel genere di dialogo, o forse perché ora Minho non era con noi per poterlo sentire ‹‹ secondo me gettano qualcosa nell'aria per fare in modo che rimangano tutti calmi. Oppure c'è qualche regola strana che impone loro di comportarsi in un determinato modo, durante le ore del giorno. Questo spiegherebbe perché, quella volta in cui stavamo tornando a casa, nessuno sorrideva più, ma il giorno dopo era tutto di nuovo nella norma ››
‹‹ Se fosse gas, allora staremo sorridendo anche noi ›› inclinai la testa ‹‹ quindi opterei di più per il lavaggio del cervello ››
‹‹ Potrebbe essere. Oppure, questo posto è pieno di persone con il virus – quello di cui ci ha parlato Huan – in circolo quel gas agisce come il nirvana, ma solo per un certo numero di ore. Questo spiegherebbe perché noi siamo immuni al suo effetto. Magari lo iniettano con quella puntura che fanno. Usano la scusa del prelievo di sangue, per vedere se sono malati, per iniettare il virus ››
‹‹ Newt... quella puntura l'abbiamo fatta anche noi ››
‹‹ Sì, ma noi siamo Muni al cento per cento. Magari con noi non ha attecchito, oppure... non lo so ››
si passò, di nuovo, la mano tra i capelli. Sta volta in modo veramente stressato.
Ero certa che si stesse soffermando su quel problema per non pensare al fatto di aver perso anche gli altri. Newt aveva il terrore di rimanere solo, ma soffermandosi su chi aveva perso, non si stava rendendo conto di avere ancora me. E no, non era gelosia: era un dato di fatto. E mi sentito totalmente, schifosamente inutile.
L'unica cosa che potevo fare ora, era alzarmi e cominciare ad avviarmi con lui verso l'area 3. Era rischioso rimanere nello stesso punto per troppo tempo, e lui lo sapeva bene. Ma era di nuovo così assorto nei suoi pensieri da non essersi nemmeno reso conto di essersi praticamente abbandonato al terreno come una marionetta gettata su una mensola.
‹‹ Forza, mancano poche ore all'alba ›› lo spronai, porgendogli la mano, che ignorò apertamente.
Si alzò con uno slancio delle gambe e, come se volesse farsi perdonare per quel gesto, si chinò per baciarmi una guancia, per poi riprendere subito dopo a camminare, facendomi cenno con la testa di seguirlo.

A dire il vero l'area 3 non distava poi così tanto da dov'eravamo, ma l'alba giunse in fretta, ed in poco tempo le strade si sovraccaricano di persone.
Ogni giorno che passava, sembrava che la città si svuotasse sempre di più. Non ero sicura che quello fosse un dato di fatto o solo una mia sensazione, dovuta magari al fatto che eravamo sempre di corsa e non badavo a tutto l'effettivo afflusso di persone.
Anche perché non ero poi così tanto abituata ad essere circondata da perfetti sconosciuti... in una città, poi, a piede libero e senza il rischio di incappare in qualche cannibale psicopatico.
Ma dentro di me ero certa che il giorno prima c'erano molte più persone.
A parte la sparizione delle persone, le poche persone rimanenti avevano un sorriso sempre più tirato.
Dopo quella chiacchierata fatta giusto poco prima, con Newt, mi sembrava di riuscire a vedere chiaramente quanto fosse fittizio il sorriso di quelle persone.
Le loro labbra, sì, erano ricurve in un sorriso, ma i loro occhi sembravano gridare pietà. Sembrava che qualcuno reggesse dei fili agli angoli delle loro labbra, giusto per farli sorridere.
Istintivamente inspirai profondamente, come se mi aspettassi di sentire l'odore acre di qualche strana sostanza. Ma ovviamente, non sentii niente.
‹‹ Non guardare nessuno ›› sussurrò Newt, abbassando lo sguardo verso la strada, mentre camminava. Lo feci anche io, fissando i nostri piedi che si muovevano in sincrono. Ormai conoscevo i passaggi per cercare – sperare – di passare inosservati. Per quanto due persone come noi potessero passare inosservate, in mezzo a mille coreani. Passare nell'area 3, poi, era sempre rischioso, considerando che c'erano mille telecamere di sorveglianza. Ma Newt era riuscito ad individuarle quasi tutte, per cui sapeva dove passare e dove no. Il mio "piccolo" genio all'opera.
Camminava con una tale sicurezza da dare l'impressione di farlo in modo normale, ma in verità era tutto un percorso studiato apposta per evitare le telecamere.
Ogni tanto sollevava lo sguardo, si guardava rapidamente attorno e riabbassava la testa.
Non che ci fosse niente di strano in particolare. Il solito via vai di camion, guardie e persone dall'aria fintamente felice. Niente di più e niente di meno.
"tutto apparentemente in regola". Le guardie parlavano tra i loro, ma noi non capivamo niente.
Non capivo cosa stesse cercando in particolare, cosa si aspettava di vedere... perché io non notavo niente di strano. A parte...
‹‹ Newt? ›› sussurrai, vedendolo girare gli occhi nella mia direzione, senza però proferire parola. Ma sapevo che stava ascoltando. ‹‹ Quella bambina, poggiata al camion nero, accanto all'entrata della base... non è la stessa bambina che abbiamo visto l'altra sera? Quella che è stata prelevata da quella specie di robottino... ››
Si girò quasi di scatto, in modo anche troppo poco indiscreto per uno che cercava di passare inosservato. Sì, era decisamente lei. Si comportava in modo poco naturale.
Faceva dei movimenti a scatti con la testa, che mi ricordavano vagamente Jillian. Anche se quelli della ragazza erano palesemente robotizzati, ed invece quelli della bambina erano più dei tic nervosi. Tremava, ma i suoi occhi erano spenti.
‹‹ Non è lei ›› rispose Newt ‹‹ ma le somiglia parecchio ››
No, era proprio uguale. Le diedi un ulteriore occhiata, chiedendomi dove vedesse la differenza.
D'altronde lui, però, l'aveva vista da vicino. Probabilmente la riconosceva per quel motivo.
‹‹ Cosa stiamo cercando, di preciso? ››
‹‹ Prove ››
‹‹ Prove? ››
‹‹ Già ›› i suoi occhi guizzarono da una parte all'altra della strada. Si morse il labbro inferiore, poi poggiò una mano sulla mia schiena e spingendomi ‹‹ e ho trovato qualcosa di utile, grazie a te ››
‹‹ Grazie a me? ››
‹‹ Sì ›› sussurrò, ed aumentò il passo, al punto che divenne una corsa lenta ed un dare le gomitate di continuo a tutte le persone che ci si paravano davanti ‹‹ ora zitta e cammina ›› disse in modo secco.
Il suo tono di voce era nervoso, ed aveva afferrato la mia mano, stringendola in modo così forte da farmi quasi male. Mi stava strattonando accanto a sé, ma faceva finta che fosse una cosa normale.
Non avevo capito il motivo di quell'improvviso aumento del passo, fino a quando, poi, non mi resi conto che le persone, lentamente, si stavano mettendo volontariamente in mezzo al nostro cammino, come se ci volessero rallentare. E la cosa peggiore era che ci stavano riuscendo.
Volevo voltarmi, ma il mio buon senso mi diceva di non fare niente del genere e di cercare di tenere il passo di Newt senza dare troppo nell'occhio.
Pessima, pessima idea venire qui!, pensai, ed una parte di me si stava rispondendo con "Ma no, non mi dire!".
Mi portai una mano alla bocca e cominciai a mordere nervosamente l'unghia del pollice, guardando Newt come se sperassi in qualche singola parola di conforto. Ma era fin troppo occupato a scansare le persone, per badare al mio nervosismo.
Mi sentivo in trappola, e sola. Se le persone si stavano comportando così, probabilmente eravamo nella sploff.
‹‹ Ascoltami ›› cominciò Newt, stringendo ancora la mano, come se all'improvviso si fosse ricordato della mia presenza ‹‹ la vedi quella macchina rossa davanti a noi? ››
Corrugai la fronte ‹‹ Sì, perché? ››
‹‹ Corri in quella direzione e imbocca il vicolo accanto ad essa. Nasconditi, io vado dall'altra parte in modo da distrarre le guardie ››
Le guardie? Ci stavano seguendo le guardie?
Certo che ci sono, idiota. È l'area 3, ne è pieno!, pensai, poi mi realizza le parole del ragazzo, che cominciava a spingermi verso quella direzione. Frenai con i piedi, rallentando per evitare di sorpassarlo.
No, assolutamente no. Non lo avrei mia lasciato fare una cosa simile, rischiando di perdere lui e, di conseguenza, ogni singola cosa.
Non di nuovo. Non potevo permettermi di perdere anche lui. Sopratutto lui.
‹‹ Cosa? Non se ne parla nemmeno! ›› sibilai a denti stretti, stringendogli la mano.
No, sta volta non lo avrei lasciato fare una cosa così suicida ed idiota. Sapevo che si sarebbe arrabbiato, ed infatti lo sentii grugnire in modo contrariato, pronto a controbattere. Poi uno sparo passò esattamente tra me e lui, con una precisione degna di un cecchino, e gli sfiorò la guancia.
I miei occhi si sgranarono alla vista del sangue che colava giù dalla piccola ferita sotto l'occhio, riportandomi alla memoria il taglio che gli aveva procurato il dolente.
La saliva mi si asciugò in bocca. Se avesse mirato un pochino meglio, lo avrebbe colpito in pieno.
Newt si girò dalla parte da cui provenne il colpo, e la folla di persona fece un semicerchio attorno a noi, rivelando un ragazzo che infossava una maschera, che gli copriva tutto il volto.
Non diceva niente, ma ci puntava addosso un fucile. Aveva una posa sicura mentre reggeva l'arma, e tutta l'aria di chi non avrebbe mai sbagliato un colpo. Sicuramente quello era solo un avvertimento, per farci capire che eravamo stati individuati.
Avevo il cuore in gola, e le mani mi tremavano.
Deglutii. Non sapevo cosa fare, cosa potevo fare, e nella mia testa scattò una sorta di conto alla rovescia.
Il ragazzo, lentamente, spostò il fucile nella mia direzione, ed il mio cuore, per un secondo, si fermò nel momento in cui premette il grilletto e Newt si scagliò contro di me, spingendomi a terra.
Rotolai su me stessa, e con un'agilità che nemmeno sapevo di avere, scattai dritta con la schiena, guardando il ragazzo chino sulle ginocchia.
Non parlai, sentivo la lingua paralizzata e tutto il corpo che tremava.
Guardai l'uomo che caricava il fucile e – probabilmente – imprecava mentre l'arma sembrava essersi inceppata, ed approfittai di quei pochi attimi per scattare in piedi ed affiancarmi a Newt, chinandomi sulle ginocchia. Strizzava gli occhi, e il braccio sinistro, nell'avambraccio, era impregnato di sangue.
‹‹ Ti prego, alzati! ›› lo implorai, con un tono fin troppo disperato. Lui scosse la testa, poggiò una mano sul mio addome e mi spinse, e prima che potesse dire una singola parola sul fatto che dovessi andare via, digrignai i denti e, afferrandogli il braccio sano e facendo forza, lo costrinsi a mettersi in piedi, sentendolo imprecare per il dolore dello sforzo ‹‹ Io non ti lascio qui, quindi chiudi quella caspio di bocca e muoviamoci! ››.
Non aveva l'aria di chi fosse d'accordo con quelle parole, ma annuì. Nemmeno il tempo di cominciare a correre, che sentimmo un altro sparo, che sfiorò la mia gamba. Sentii una scossa risalire lungo la gamba, e subito dopo la mano di Newt afferrò il mio braccio, impedendomi di cadere.
Così cominciammo a correre più velocemente del solito. In poco tempo le persone si erano di nuovo sparpagliate attorno a noi, cercando di impedirci di muoverci.
Era come se fossero... ipnotizzati. Come se qualcuno avesse dato l'ordine dall'alto.
Ma non ci fermavano, nonostante il dolore degli spari ci stesse lentamente consumando.
Sentivo la gamba pulsare così forte da darmi la sensazione che si potesse staccare da un momento all'altro.
E correvamo. Non sapevo dove, e nemmeno importava. Sapevo solo che dovevamo andare via, ed ero estremamente preoccupata per quella striscia di sangue che gli rigava la guancia.
Svoltammo più di una volta in diversi vicoli che lui, apparentemente, conosceva come le sue tasche.
Stava soffrendo come un cane, ma non diceva nulla.
Appena la situazione sembrava essersi calmata, e fummo lontani dall'area 3, ci poggiammo contro un muro, in un vicolo nascosto da tante scatole accavallate.
Dovevamo riprendere fiato, e sembrava impossibile farlo per via delle ferite.
Newt era chino su sé stesso, con una mano poggiata sulla guancia mentre cercava di pulire via il sangue che, nel frattempo, si era asciugato sulla guancia ed era colato lungo il collo, poi sul braccio, unendosi a quello che fuoriusciva dallo sparo.
‹‹ Brucia, porca merda! ›› sibilò tra i denti, e non era da lui lamentarsi, quindi doveva effettivamente fare male.
‹‹ Anche a me... ›› mi lasciai scivolare lungo la parete, guardando la ferita attraverso il pantalone strappato. Newt si accovacciò accanto a me, e la guardò anche lui ‹‹ Spero che non ci siano quei famosi mini-proiettili ››
‹‹ Lo spero anche io. Ci mancherebbe solo un infezione, caspio! ›› poggiò la testa contro la parete, chiudendo gli occhi ‹‹ questa sul braccio è terribile! ›› e, detto questo, si portò una mano alla bocca.
Sfilandosi la maglietta e lasciandola cadere a terra.
Non era esattamente il momento adatto per fare uno spogliarello, ed allo stesso tempo, sperai che non stesse per fare quello che immaginavo. Non da solo, e non senza gli strumenti adatti.
Ma quando lo vidi mettersi la mano in bocca, mordere, e portare l'altra al braccio, i miei sospetti furono confermati.
‹‹ Newt, no, fermo! ›› lo ripresi, ma non mi ascoltò, ed infilò due dita nella ferita, cominciando a muoverle.
Strizzò gli occhi e lo vidi mordere più forte la mano, emettendo lamenti soffocati per evitare di dare troppo nell'occhio.
Le vene del suo collo s'ingrossarono, e la sua faccia divenne rossa per lo sforzo. Il suo respiro divenne pesante, affannato, e non riusciva a stare fermo con il corpo mentre cercava, con le dita, il proiettile nella ferita. Mi dava fastidio guardarlo, quindi girai gli occhi.
Allo stesso tempo, non potevo stare con le mani in mano mentre faceva quel lavoro.
Presi il coraggio a due mani e mi avvicinai al suo braccio, fermandogli la mano.
Allora, aprì gli occhi, levandosi la mano dalla bocca.
Aveva le lacrime agli occhi per il dolore, e la sua mano era diventata violacea. Sotto il braccio si era creata una macchia di sangue, che era colato lungo il suo braccio.
‹‹ Liz, ch – ››
‹‹ Faccio io, così facendo peggiorerai solo le cose ››
rimase in silenzio per un attimo, osservando la mia espressione per decifrarla.
Io, nel frattempo, osservavo la ferita. Il proiettile non era profondo, anzi, era parecchio visibile e già estratto in modo superficiale. Bastava un po' di pazienza e l'avrei tirato fuori... anche se fargli del male non mi faceva impazzire.
‹‹ Non penso che riuscirai ad estrarlo ›› disse. In risposta, sollevai un sopracciglio e gli presi la mano che stava mordendo, avvicinandogliela alle labbra.
‹‹ Posso farcela, invece. L'hai già tirato fuori... per metà, almeno. Ci vorrà poco. Indubbiamente non faccio i salti di gioia al pensiero che ti farà male, ma sempre meglio che stare qui a guardarti, con le mani in mano, mentre ti macelli il braccio da solo ››.
Mi guardò ancora, in silenzio, poi, senza dire niente, infilò di nuovo la mano in bocca.
Presi coraggio e, dopo essermi "pulita" le mani contro la maglietta, afferrai i bordi del proietti e cominciai a tirare.
Mi venne voglia di fermarmi appena lo sentii gemere di dolore, ma non potevo farci granché. D'altronde era incastrato, e dovevo fare leva per tirarlo via. Lo vidi drizzare la schiena e lo sentii tremare, anche se cercava di non farlo.
Non riuscivo nemmeno a parlare, ma avevo voglia di piangere nel vederlo in quelle condizioni. Ed era colpa mia. Ancora una volta, era colpa mia.
Deglutii, e feci più forza, estraendolo totalmente. Non avevo nemmeno il coraggio di guardare la ferita, perché era in condizioni davvero pessime: lo squarcio era allargato dal momento in cui lui aveva cominciato a "scavare" nella carne per afferrarlo, in modo da poterlo estrarre, e mentre lo tiravo via io avevo contribuito a quel macello. Estraendo il proiettile, poi, avevamo dato via ad una mini emorragia. Mi veniva da vomitare. Mentre lui si accasciava contro la parete e riprese fiato, ignorando totalmente lo scorrere del sangue, io afferrai il lembo del mio pantalone e ne strappai un bel pezzo, lo scossi per pulirlo dalla polvere e lo legai ben stretto attorno all'avambraccio, in modo da tamponare la ferita.
Girò la testa, in modo parecchio pigro verso la mia direzione. Non diceva niente, ma aveva tutta l'aria di chi, da quel momento in poi, volesse solo accoccolarsi in sé stesso e riposare un attimo. Ma sapevamo benissimo di non poterci permettere quel lusso.
Incrociai il suo sguardo, e dopo pochi attimi, lo vidi sorridere.
La sua fronte era imperlata di sudore, ed il suo sorriso era sincero. Veramente sincero. Mi strappò un sorriso anche a me, ed incuriosita, inclinai la testa.
‹‹ Che c'è? ››
‹‹ Nulla. Pensavo che sei brava come medicale, per essere una fagio ›› soffocò una risatina, che si trasformò in un gemito di dolore poco dopo, che cercò di camuffare mentre sollevava la testa verso l'alto e strizzava gli occhi ‹‹ caspio sploffato ›› imprecò, quasi come un ringhio.
‹‹ Scusa, è colpa mia ››
‹‹ Ci guardiamo le spalle a vicenda, com'è giusto che sia. E la colpa non è tua, ma mia. Sono stato io a dare l'idea ›› riaprì gli occhi, inspirando profondamente ‹‹ e poi, ho promesso che ti avrei protetta da qualsiasi cosa, quando eravamo nella radura. Quella promessa vale ancora. ››
accennai un sorriso a quel ricordo. Non che nella sua memoria, quei piccoli momenti erano ancora presenti.
‹‹ Sarai il mio cavaliere dall'armatura lucente? ›› imitai la stessa domanda, e lui annuì, ridacchiando – in modo forzato per via del dolore –
‹‹ Mettiamola così ›› rispose, imitando, anche lui, quella risposta

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