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Capitolo 4

Quella mattina, la giornata era cominciata apparentemente nel modo giusto.
Seul non era poi così male, e le persone incontrate fino a quel momento avevano tutte un rispetto incredibile, inverosimile. Tutta un'altra storia rispetto a ciò che avevamo vissuto fino a quel momento.
Essere trattati da "esseri umani" era strano, quasi imbarazzante. Nessuno, a parte per alcune eccezioni, come i nostri "compagni d'avventura" e l'Eden, ci aveva mai trattati da tale.
L'appartamento che ci aveva affidato il signor Seok non era esattamente grandissimo, ma bastava per viverci insieme. Aveva due stanze da letto, e Seok aveva giustificato quello come una sistemazione più che provvisoria.
Veramente poca intimità, ma fortunatamente non eravamo persone che si mettevano a fare i vizietti.
D'altronde, fino a non troppo tempo fa, dormivamo rannicchiati all'interno del casolare, all'interno della radura. E lì si faceva a gara per una brandina dalla comodità più che discutibile.
La vista esterna, poi, era uno spettacolo, e questo compensava qualsiasi altra mancanza.
Nonostante la devastazione esterna a quelle mura, Seul era semplicemente incantevole:
La città era circondata interamente da un immensa cupola trasparente, l'aria era adeguatamente purificata, per cui era tutto nella norma e sicuro. La vista del cielo era reale, e questo era per mantenere un certo contatto con la realtà che circondava il mondo.
C'erano "torri" parecchio alte. Certo, non grattacieli, ma toccavano benissimo il soffitto di quella cupola, e le strade erano molto popolate. La maggior parte delle case aveva un tetto rosso brillante, altre color oro, e Seok ci aveva spiegato – mentre andavamo verso il palazzo dove si trova il nostro appartamento – che il rosso e il dorato erano i colori più usati all'interno di Seul, dopo che il mondo è stato colpito dall'eruzione. Era una sorta di segno di scaramanzia, essendo quelli colori caldi.
Non avevamo fatto un tour del posto, non c'era tempo, ed eravamo stanchi. Ma apparentemente, quel posto era un paradiso.
Come detto prima, la vista da nostro appartamento era spettacolare. Quello che avevamo visto durante la notte mi ricordava vagamente ciò che vedevo dalla berga, mentre gli altri erano a Denver.
Le torri, i palazzi vari, le strade erano piene di luci, e c'era vita lungo le vie, persone sempre in movimento. Quel posto non dormiva mai. Sentivamo la musica, ma non era così tanto alta da impedire un sonno tranquillo. Era musica rilassante, inoltre.
Davanti al nostro palazzo, poi, c'era un parco con degli alberi dai fiori rosa.
O come ha detto Huan "sono alberi di ciliegio". Che io sappia, non ne avevo mai visto uno prima d'ora. Io e Teresa eravamo rimaste cinque minuti buone col naso incollato al vetro mentre li guardavamo, e per un attimo eravamo tornate delle bambine, meravigliate da così poco.
Magia svanita in pochi istanti, nel momento esatto in cui Minho ci ricordò in modo poco carino che eravamo lì per una ragione ben precisa, e non per ammirare il paesaggio.
Ovvio, avevamo la testa sulle spalle, ma ogni tanto faceva bene evitare di pensare sempre e solo al dovere.
Passammo la notte a dormire rannicchiati in quattro su un letto matrimoniale, mentre Minho passò la notte sul divano, non volendo sentirsi di troppo.
Non era di troppo, nessuno di noi aveva intenzione di "appartarsi", per cui, il commentino era una frecciatina ovvia.
Sebbene ci svegliammo tutti intricati ed con dolori in posti sconosciuti persino a noi, come detto prima, era cominciata per il verso giusto.
Jorge quella mattina era uscito presto, dicendo che avrebbero chiesto come fare per il recupero della berga, e noi avevamo avuto il tempo per pensare ad un modo per raggiungere e trovare Eva.
Era un piacere dei sensi poter mettere qualcosa sotto i denti, e quella era stata parte che ha cominciato a far prendere una buona piega a quella giornata.
Avevo aperto gli scaffali della cucina e trovato ogni sorta di leccornia possibile ed immaginabile.
Non avrei mai pensato di essere così felice alla vista di un biscotto ricoperto di cioccolato.
Thomas, però, da quando Jorge era uscito di casa aveva assunto un espressione seria e pensierosa.
Non aveva toccato cibo dalla notte prima – e, per dire, la sua "cena" era stata una mela –, ed aveva guardato l'uomo abbandonare la stanza esattamente come se fosse una sorta di alieno.
In effetti, un po' tutti avevamo notato lo strano comportamento di Jorge da quando ci avevano portati via dalla berga, ma nessuno aveva dato peso al fatto che stesse uscendo. Sopratutto perché aveva già messo in chiaro che stava andando a chiedere cosa si potesse fare per il mezzo.
‹‹ Pive, avete notato che Jorge non ha spiccicato parola da quando siamo qui? ›› chiese, poi, Thomas, senza spostare lo sguardo dal pavimento in legno.
La sua mano scivolò sul bracciolo del divano in pelle sul quale era seduto, poi cadde sulle sue gambe, mentre sollevò lo sguardo verso Teresa, seduta accanto a lui, in cerca di una risposta almeno da parte sua – visto che nessuno aveva aperto bocca –.
Lei fece le spallucce, annuendo ‹‹ ma è Jorge, non è un gran chiacchierone ››
‹‹ Oh sì, in verità sì ›› s'intromise Minho ‹‹ e tanto per la cronaca, sembri ancora un idiota quando usi il gergo della radura. Sopratutto ora, che non siamo più nella radura da un pezzo ››
‹‹ Se cominciate a litigare sta volta vi giuro che vi chiudo in una stanza, legati per mani e piedi, fino a quando non fate la pace ›› brontolò Huan, avvisando prima che potesse scoppiare qualche lite.
Ma Thomas non aveva l'aria di chi voleva litigare, ed infatti, lasciò perdere sin da subito il commento provocatorio dell'amico.
‹‹ Non è da Jorge ›› disse semplicemente, concordando tuttavia con Minho per quella parte del discorso ‹‹ c'è qualcosa che non va ››
‹‹ Penso che abbia paura ›› azzardò Newt ‹‹ ha lavorato per la C.A.T.T.I.V.O., e a quanto ho capito, non è ben vista in questo posto ››
‹‹ Eh beh? Anche noi abbiamo lavorato per la C.A.T.T.I.V.O. ›› risposi.
Newt annuì, poggiandosi l'indice e il pollice sul labbro inferiore, cominciando a giocarci come se fosse una sorta di antistress ‹‹ sì, ma noi non eravamo così esposti. D'altronde noi ci trovavamo all'interno dei laboratori, ed eravamo degli specie di schiavi. Inoltre eravamo piccoli, Liz, non avevamo altra scelta. Se contiamo pure il fatto che siamo stati spediti nel labirinto, allor – ››
‹‹ Ti ricordo che mio padre è... era, il capo ›› gli feci notare
‹‹ Ed io e Teresa eravamo praticamente le star del loro progetto ›› aggiunse Thomas
‹‹ E tu uno dei loro scienziati più brillanti ›› puntualizzai
‹‹ Io sono un fuggitivo ›› si aggregò Huan, alzando la mano per attirare l'attenzione
Minho sollevò un pugno verso l'aria, scuotendolo avanti e indietro ‹‹ ed io sono contento di essere stato inutile. Almeno so che sei voi morite, è per quel motivo. Io mi salvo il culo marmoreo ››
Non era divertente, ma non aveva tutti i torti.
Capii il ragionamento seguito da Newt, e non potevo negarne la logica: Jorge era stato il più esposto tra noi, quello che è stato più tempo nella C.A.T.T.I.V.O. ed ha girato di più.
Potevano riconoscerlo da un momento all'altro, e niente poteva assicurare che gli avrebbero creduto, se avesse detto di non lavorare più per loro. Persino io avevo dei dubbi, prima. Anche se su Jorge non ne avevo poi così tanti, quanti, invece, su Brenda... e la cosa si era rivelata esatta.
Magari l'Hae aveva visto Jorge, o conosceva i piloti della C.A.T.T.I.V.O.... Sperai con tutta me stessa che questo non accadesse.
Magari Jorge era così taciturno per quel motivo. Magari aveva sensi di colpa, perché magari aveva fatto qualcosa contro l'Hae nei tempi passati.
Ripromisi a me stessa di chiederglielo, una volta tornato.
‹‹ E se quelli dell'Hae riconoscono che la berga di Jorge è una della C.A.T.T.I.V.O.? ›› chiese Teresa, facendoci cadere tutti in un silenzio tombale.
Non avevamo preso in considerazione anche quell'eventualità.
‹‹ Grazie Teresa, come se non fossimo già abbastanza preoccupati ›› ironizzò Newt, incrociando le braccia al petto ‹‹ in quel caso, prepariamoci a subito il doppio dei controlli ››
‹‹ Come minimo ci apriranno il cranio per controllare che nessuno di noi abbia il chip. Non voglio che qualcuno tocchi di nuovo la mia testa ›› sbuffò Thomas. Annuì, concordando silenziosamente con il mio amico.
‹‹ Ragazzi, questo è il minimo ›› Huan schioccò la lingua, tirando indietro la testa ‹‹ ma penso che non ricorreranno a metodi così rischiosi. Probabilmente ci passeranno di fronte a quei sottospecie di pannelli a raggi X e vedranno da lì se abbiamo il chip e se è attivo o meno. Lo capiranno da soli. E noi siamo puliti, quindi non vedo perché dobbiamo fasciarci la testa prima del tempo. ›› questo è ciò che disse, ma la sua espressione era preoccupata.
Sì, noi eravamo puliti... ma per Jorge era comunque un rischio.
E nello sguardo del ragazzo, c'era un velo di preoccupazione che, per quanto cercasse di mascherarlo, era ostinato a non sparire.

Passarono ore prima che qualcuno bussasse alla porta.
Thomas si lanciò ad aprirla, speranzoso di trovare Jorge lì fuori. Invece si presentò un uomo che ad occhio e croce aveva circa una trentina d'anni, che stringeva saldamente tra le dita grosse un computer portatile, richiesto da Huan poco prima.
Sapevamo che da lì a breve sarebbe partita una sua sessione da Hacker professionista, ma noi – almeno, io e Newt – eravamo intenti a studiare tutt'altra cosa.
Era quando avevamo abbandonato l'America che Newt cercava di studiare un piano per incastrare il braccio destro e riprendere il piccolo Chuck, ed io non potevo fare altro che cercare di guidarlo e sviare le sue idee più suicide.
Non riusciva a perdonarsi il fatto di essersi fatto fregare il bambino da sotto il naso. Così, come d'altronde non si perdonava il fatto di aver causato la strage dell'Eden.
Era stata una mossa azzardata quella di portare il bambino in quel posto, e non riusciva a perdonarlo.
Due errori in così poco tempo, ed ora non sapeva nemmeno con certezza che quel bambino fosse in vita o meno. Ma voleva credere di sì. Doveva farlo.
D'altronde, tutto ciò che voleva per quel piccolo, era garantirgli un futuro perlomeno quasi normale, per quanto potesse essere normale un posto come quello. O meglio, un epoca come quella, dove la normalità non era vivere, ma sopravvivere. Voleva provare ad evitargli di crescere com'era cresciuto lui.
Voleva troppe cose che non sapeva se poteva avere o meno. Come, per esempio, il fatto di voler incastrare il braccio destro.
Come poteva farlo? Sì, Newt era un genio... ma Nathan era un computer umano.
Credevo in Newt e nelle sue capacità, ma come poteva pensare minimamente di reggere il confronto con un intelligenza artificiale superiore? Uno di quei computer che gli avevano permesso di tornare in vita?
È ovvio che qualsiasi cosa Newt potesse pensare, Nate aveva già preso in considerazione quell'idea – qualunque essa sia – non una volta, ma dieci.
‹‹ Dovrei semplicemente buttarli lì dentro, sparare a tutti e riprendere il bambino ››
‹‹ Non puoi sparare a Nathan. Il suo cervello ci serve come punto di riferimento e per monitorare i possibili movimenti del braccio dentro ››
‹‹ Nathan è solo un mucchio di sploff inutile ›› brontolò, con lo stesso tono di voce di un bambino capriccioso ‹‹ può essere utile solo per occupare il minuscolo spazio di una bara ››
‹‹ Newt, ragiona... non possiamo buttarci alla cieca all'interno di una base che brulica di gente che non vede l'ora di chiuderci tra quattro mura ››
‹‹ E se liberassi nella base la mia creazione migliore? ››
‹‹ La tua creazione migliore è il dolente. E credo che sappiano già come ucciderne uno ››
‹‹ Intendo, ne creassi una da zero? ›› nei suoi occhi, in quel momento, brillò una strana scintilla.
Fu come se qualcuno avesse acceso un fiammifero nelle sue pupille, e di colpo, drizzò la schiena, cominciando a gesticolare in modo frenetico, ed un fiume di pensieri si fece strada nella sua testa.
Dovevano essere tante idee tutte assieme, troppe per poterle spiegare tutte contemporaneamente.
Così, alla fine, si prese un attimo per metterle assieme, tamburellando in modo eccitato le dita sul ripiano della cucina sul quale era poggiato.
‹‹ Immagina uno scorpione ››
‹‹ Prendimi per scema, ma... non ricordo com'è fatto uno scorpione. ››
Scosse la mano, facendomi capire quanto la cosa fosse superficiale per la spiegazione ‹‹ allora, immagina il corpo di un insetto. Sei zampe in tutto, tre per lato, ed una lunga, lunghissima coda che termina con un artiglio, capace di aprirsi e sfoderare lame, pungiglioni velenosi e nocivi... E deve avere delle sorte di chele dalla presa tagliente! ››
Corrugai la fronte, immaginando l'insettone. Nella mia testa, era un essere completamente metallico. Poi ricordai come fosse uno scorpione, e avrei preferito non farlo.
Continuava a descrivere la creatura, con mille dettagli piuttosto pesanti e macabri. Su quanto sarebbe stato grandioso, potente, imbattibile. Apparentemente, nella sua testa, quella creatura sarebbe stata una sorta di Dio metallico, indistruttibile, privo di punti deboli e totalmente sotto il suo controllo.
Non sapevo cosa provare di preciso, ma avevo i brividi. Un po' per il disgusto, ed un po' perché l'idea di trovarmi faccia a faccia con una sorta di scorpione come quello non mi faceva impazzire.
Ricordavo ancora cosa significava avere di fronte i dolenti.
Non avevo nemmeno idea di come avrebbe fatto a costruire quel mostro, ma sembrava deciso a distruggere e radere al suolo l'intero braccio destro, senza avere la minima pietà.
E lo capivo. Lo capivo benissimo. Ma avevo la sensazione che stesse perdendo il contatto con la realtà, ma sopratutto, il vero problema.
Sì, il braccio destro era un'altra associazione "sanguisuga", e anche questa faceva solo il bene personale... Ma non era il male maggiore.
Radere al suolo l'intera associazione non ci avrebbe restituito ciò che avevamo perso per colpa della C.A.T.T.I.V.O., e molte delle persone che ora stavano dalla loro parte, erano nostri amici.
Anche loro avevano patito ciò che avevamo patito noi due. Ed ero certa che non tutti lì dentro erano crudeli...
‹‹ E ci pensi? Sarebbe semplicemente grandioso! E avrebbe molto altro ancora! Sarebbe una per – ››
‹‹ Perfetta macchina per uccidere. Sì, messaggio ricevuto ›› dissi, completando la sua frase mentre lo guardavo in modo abbastanza scettico. Ma non perché non fosse in effetti un ottima creazione, ma perché non riuscivo a concepire la leggerezza con cui parlava di una macchina per uccidere.
Non dopo che non riusciva a sopportare nemmeno di aver creato i dolenti.
‹‹ Che c'è? ›› chiese, notando la mia espressione.
‹‹ Non pensi che forse è... esagerato? ››
‹‹ Esagerato? ›› sgranò gli occhi. Era sorpreso, perché sapeva bene che io ero la prima a voler vendetta ‹‹ Liz, sul serio? Dopo tutto quello che abbiamo passato? ››
‹‹ Non ricordi più ciò che provavi dopo aver creato i dolenti? Tutto quel dolore che hai, anzi, abbiamo provocato? ››
Rimase in silenzio per qualche istante, fissandomi negli occhi. Cercava di capire se fossi seria o meno.
Poi, schiuse le labbra, ma prima di cominciare a parlare lasciò passare qualche attimo, in modo da mettere bene insieme le parole.
‹‹ Sta volta è diverso, Liz. Hanno ucciso delle persone ››
‹‹ E tu stai parlando di volerne uccidere altre, Newt. Molte delle persone all'interno del braccio destro sono anche nostri amici, ricordi? E sicuramente non tutti sanno cosa succede veramente. Raderli al suolo così, solo perché Nathan ha preso il bambino, Brenda è una vipera e i loro capi sono sanguisughe non mi pare una mossa molto corretta. Ne vale anche della tua coscienza ›› controbattei.
A quel punto, stette zitto. Non disse altro, ma tirò indietro la testa come se gli avessi tirato un pugno sul naso.
Sapeva che avevo ragione, ma probabilmente – anzi, sicuramente – non voleva ammetterlo. Tamburellò le dita sul tavolo, ancora, spostando lo sguardo verso Huan.
‹‹ Voglio solo redimermi dal male che ho causato. Se l'Eden è saltata un'aria è solo colpa mia ›› mormorò. Annuii. Questo lo sapevo, ma ero altrettanto certa che quello non fosse il modo migliore per vendicarsi. Non con il braccio destro. Dovevamo prendercela con i veri artefici di tutta quella pessima situazione, per quanto si fossero già scavati la fossa da soli: la C.A.T.T.I.V.O..
‹‹ Huan, che fai? ›› chiese Thomas, attirando la mia attenzione. Mi girai in direzione del ragazzo, che era poggiato di peso sulla sedia sul quale era seduto Huan.
Lui fece le spallucce, guardandolo con la coda dell'occhio come per dirgli "anche se dovessi dirtelo, non capiresti", poi fece un sospiro, preparandosi ad una spiegazione sintetizzata.
‹‹ Cerco di mettermi in contatto con Jocelyn ›› disse semplicemente.
Ero certa che quella era una spiegazione blanda, di un'altra spiegazione blanda, di una sintesi, della sintesi di ciò che stava facendo.
Thomas sollevò le sopracciglia, annuendo ‹‹ e...? ››
‹‹ E non risponde. Questa cosa non mi piace. Dovrebbe rispondere immediatamente, o quasi... e invece non lo fa da troppo tempo. Non è da lei. Temo che sia successo qualcosa ›› poggiò una mano sul mento, fissando lo schermo.
Dall'espressione che aveva era seriamente preoccupato per la ragazza... e non potevamo dargli i torti. Jocelyn aveva salvato tutti noi, e lei era effettivamente l'unica persona che sapeva come muoversi in quel polverone infernale.
In quel momento, Minho sembrò interessarsi all'argomento. Si era accigliato a quelle parole, ma non disse nulla. Guardò semplicemente i due ragazzi con aria preoccupata.
‹‹ Senza le sue indicazioni sarà più difficile ›› concluse Huan
‹‹ Non possiamo chiedere all'Hae? Non dovrebbero avere una sorta di archivio che racchiude i nomi di tutti gli abitanti? Insomma... fanno tutti quei caspio di controlli ma poi non tengono un database dei loro abitanti? Sarebbe stupido. ›› s'intromise Minho.
Huan rimase per un attimo con un espressione vuota, fissando lo schermo del pc senza battere nemmeno ciglio.
Poi, poggiò la mano sullo schermo del portatile e lo chiuse.
‹‹ A volte non sei così stupido come sembri ››
Thomas corrugò la fronte, girando lo sguardo verso Newt, a cui era scappato un risolino per quell'affermazione.
Ciò che ci sorprese maggiormente, fu il fatto che Minho non rispose alla provocazione, se non con uno schiocco della lingua piuttosto contrariato ‹‹ grazie, faccia di sploff ›› rispose, poi, brontolando.
‹‹ Okay, però ora dobbiamo riuscire ad entrare nell'archivio ››
‹‹ Non possiamo chiedere a Seok? D'altronde ha detto che oggi ci saremo visti per parlare della questione C.A.T.T.I.V.O.›› chiese Teresa, come se fosse la cosa più ovvia.
Ed in effetti lo era, ma troppo pericolosa.
D'altronde il loro compito era quello di proteggere quel posto, e noi eravamo ancora dei novellini.
‹‹ Non contarci troppo. Sinceramente parlando, penso che quel suo "sarà un onore parlare di questa questione" fosse una semplice formula di cortesia. Credo vivamente che ci terranno semplicemente sotto controllo a distanza per vedere se faremo o meno stronzate, e se faremo un solo passo falso di faranno semplicemente saltare fuori il cervello dal cranio.
Ed in ogni caso, è più facile che si spari ad una gamba piuttosto che farci entrare nell'archivio. Non si fida ancora di noi ›› le fece notare Huan.
‹‹ Non se ci intrufoliamo. Ho esperienza riguardo l'intrufolarsi all'interno degli archivi ››
‹‹ Quoto ›› si aggiunse Thomas, indicandola con un cenno della testa ‹‹ lo facevamo sempre alla C.A.T.T.I.V.O. ››
‹‹ Ma non avete sentito cosa vi ho appena finito di dire? ›› sbottò Huan, piuttosto irritato dalle parole dei miei due amici ‹‹ una sola mossa falsa e quelli ci ridurranno a poco più di un involucro di carne! ››
‹‹ Nessuna mossa falsa. Non ci faremo beccare dall'Hae come non ci siamo mai fatti beccare dalla C.A.T.T.I.V.O. ›› controbatté Thomas.
‹‹ L'Hae non è come la C.A.T.T.I.V.O., qui i loro controlli sono maggiori. C'è un motivo se la Corea non si è ancora piegata all'eruzione, come invece è successo con il resto del mondo. Loro sono più attenti anche ai più piccoli dettagli. Non mi stupirei se avessero dei cani mutanti legati con la catena a guardia dell'archivio ››
Teresa sollevò un sopracciglio. La trovava una sfida interessante, ed in cuor mio sapevo che lei sarebbe riuscita a venirne a capo.
Non si sarebbe fermata. Tra di noi lei era probabilmente quella più ostinata e testarda, anche più di Minho. La prese come una sfida personale... ma non potevo negare di essere preoccupata per lei.

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