Capitolo 3
Passarono ore prima che Huan uscisse dalla berga annunciandoci di non aver trovato nulla. L'unica soluzione, a questo punto, era camminare alla cieca verso la città, sperando di trovarla in un modo o nell'altro.
Ero certa che ci avremmo messo ore, se non giorni.
Tentare di riparare un computer in quelle condizioni era impossibile. O meglio, si poteva tentare, ma niente poteva assicurarci una riuscita della cosa, e sarebbe stato solo tempo sprecato.
Intraprendemmo una piccola discussione, dove valutammo i pro e i contro del camminare senza sapere quale fosse la direzione esatta.
Ovviamente, i contro erano parecchi, ma non potevamo nemmeno aspettare l'illuminazione divina, ed in quella zona eravamo fortemente esposti a rischi.
Alla fine, nonostante l'idea non allettasse nessuno di noi, ci mettemmo in marcia.
Noi radurai, d'altronde, avevamo già attraversato la zona bruciata: quel posto non sarebbe stato da meno.
Camminammo per ore contro il vento, verso Sud, visto che Nord era inagibile, e dire che eravamo stanchi era dire niente in confronto a come ci sentivamo veramente.
Ma facevamo finta di nulla. Un po' per orgoglio, un po' perché ancora, nonostante avessimo percorso chilometri, non avevamo trovato niente.
A guidare il gruppo c'era Huan, l'unico lì in mezzo capace di orientarsi alla bene e meglio in quel luogo.
Nessun segno di civiltà, e nemmeno uno di quei "cosi" di cui ci aveva parlato... non che quello ci dispiacesse, ovvio. Non ci tenevamo ad incontrare uno di quei cosi.
‹‹ Forse è il caso che ci sdraiamo e riposiamo, per quanto possibile farlo con questo vento... ›› propose Thomas, guardando Teresa in cerca di qualche conferma da parte della ragazza.
‹‹ Non voglio morire col culo in ipotermia, Thomas. Possibile che a volte sei così stupido?! ›› sbottò Minho, anticipando la risposta di Teresa, che comunque, era negativa.
‹‹ Ehi, ehi! Calmati, ha solo fatto una proposta! ›› intervenne Newt.
Minho lo guardò con un espressione furiosa, tanto che le vene del suo collo per un attimo s'ingrossarono.
‹‹ Non è la prima volta che propone cose senza senso! ››
‹‹ Non è poi così senza senso. Siamo tutti stanchi, questo vento soffia troppo forte e non reggeremo ancora a lungo. Ci stancheremo e getteremo la spugna ancor prima di arrivare ad una qualsiasi forma di civiltà! ›› disse Thomas, infine, guardando l'amico ‹‹ insomma, si può sapere che caspio ti prende ultimamente? Eh? ››
‹‹ Vi date una caspio di calmata o devo sotterrarvi la faccia come degli struzzi? ›› sbuffò Huan infastidito, ma i due lo ignorarono.
Minho emise una sorta di grugnito, puntando il dito contro Thomas come se volesse accusarlo di ogni male presente sulla faccia della terra. ‹‹ Non mi prende niente, razza d'incapace! Solo che ... ››
‹‹ Solo che? ››
Ritrasse il dito, abbassandolo verso il terreno sotto i nostri piedi.
Poi, poco dopo, allargò le braccia, diventando improvvisamente teatrale ‹‹ solo che non ne posso più di tutto questo! Un attimo prima eravamo su una caspio di berga, poi siamo precipitati come un uccello malandato, poi voi giocate alle allegre coppiette felici, tutti "ehi, non ti preoccupare, siamo nel bel mezzo del nulla ma ho te e quindi ho tutto", quando fino a poco tempo fa probabilmente avreste venduto il dito medio del vostro amato "amore" per sopravvivere! Stanno cambiando troppe cose qui attorno, e tra tutti noi solo io mi sento un completo idiota tra di voi.
Voi avete i vostri piani, alcuni hanno i propri ricordi, sanno già cosa fare una volta nell'Eden.
Ed io? Io non ho niente! Non ho più niente! I miei migliori amici sono troppo impegnati a prendersi cura della propria "anima gemella", troppo immersi nei loro piani, nel loro futuro che forse, ammettiamolo, nemmeno ci sarà! Onestamente parlando, non sappiamo nemmeno se saremo vivi domani mattina.
E stiamo andando a prendere una ragazza che probabilmente non vorrà nemmeno tornare con noi.
Ma è okay, caspio, bene così, spero che Eva sia d'accordo a tornare, perché è l'unica in questa gabbia di matti che sembra avere abbastanza cervello da vedere questo schifo di mondo come lo vedo io. ›› fece ricadere le braccia lungo i fianchi, facendole sbattere rumorosamente.
Rimanemmo tutti in silenzio di fronte a quella sfuriata, a guardarci in modo quasi imbarazzato. Apparentemente, quella sfuriata, era ingiustificata. Per altri versi, invece, era totalmente fondata.
Nessuno lì in mezzo ha mai preso le cose alla leggera. Per noi, niente era mai stato un gioco da ragazzi.
Nessuno faceva piani per il futuro, semplicemente a volte ci piaceva immaginare come sarebbe stato averne uno sicuro.
Noi, ragazzi che non hanno mia visto niente che non fosse sacrificio e prigionia. Ci piaceva immaginare un futuro senza virus, senza spaccati e senza dover per forza cercare una cura.
Dove potevamo stare lontani da eventuali rischi di contagio, senza dover vivere come topi da laboratorio; lavorare solo per guadagnare qualcosa, non per trovare una cura per l'umanità, così da salvare il salvabile.
In tutta onestà, non sapevamo nemmeno cosa fare una volta arrivati a Seul.
Ed in effetti, non sapevamo nemmeno se ci saremo mai arrivati.
‹‹ Siete tutti delle testa di sploff illuse. Creperemo qui fuori e non lo saprà mai nessuno. ›› concluse Minho, allontanandosi da noi a grandi passi.
Ci guardammo un ultima volta, senza dire una sola parola. Cosa potevamo dire? I nostri sguardi confusi ed allo stesso tempo rassegnati dicevano già tutto.
Huan si passò una mano tra i capelli, scuotendo la testa, e guardò Thomas.
Letteralmente non sapevamo cosa fare, ma la cosa migliore per il momento era chiudere gli occhi e dormire. O anche solo provare a farlo.
‹‹ Ehi, Huan? ›› Jorge provò ad attirare l'attenzione del ragazzo, che però, era troppo intento a fissare il cielo in modo sospetto.
‹‹ Huan? ››
‹‹ Sh! ›› sibilò, sollevando un dito.
Se sentiva qualcosa, aveva l'udito più fine del mondo. Ma anche se vedeva qualcosa. Aveva tutti i capelli in faccia.
Poco dopo, abbassò l'indice che aveva sollevato e guardò Jorge, facendogli un cenno col capo per fargli capire di avere la sua attenzione.
‹‹ Quel bracciale che hai al polso funziona ancora? ››
corrugò la fronte ‹‹ perché non dovrebbe funzionare? ››
‹‹ Magari si è danneggiato durante l'incidente ››
‹‹ Certo che funz - Cazzo, sì! L'orologio! Come non ho fatto a non pensarci prima! ››
Ci misi un po' a capire il motivo di tanta gioia, ma poi, probabilmente per l'espressione sollevata di Newt, ci arrivai: quell'orologio era quello che segnava le notifiche al pc di Huan.
Se gioiva così tanto, probabilmente aveva anche altre funzioni.
Incrociai le dita tra me e me, sperando che anche se il pc ormai aveva fatto ciao ciao con la manina, quell'affare fosse ancora in grado di fare qualcosa di utile.
Si gettò a terra, incrociando le gambe a mo' di indiano, e cominciò a smanettare con i piccoli tastini sporgenti. Ridacchiava tra sé e sé come un bambino il giorno di Natale, poi mise la lingua tra le labbra, e qualche minuto dopo, si rimise in piedi, indicando in modo soddisfatto o schermino - scheggiato qua e là - dell'orologio.
‹‹ Guardate! Ho la nostra posizione nella mappa. Senza una connessione è impossibile utilizzare un GPS, ma non importa! Ci basta seguire le indicazioni della mappa e arriveremo a Seul! ››
‹‹ Ma se non hai connessione, come fai a sapere che quella è la nost - ›› Huan sollevò di nuovo l'indice, sollevando, di nuovo, la testa verso il cielo, interrompendo così la mia domanda.
‹‹ Sh! ›› sibilò, corrugando la fronte.
‹‹ Okay, che c'è? ››
‹‹ Non lo sentite anche voi? ››
A quella domanda, cercai di concentrarmi su un suono - qualsiasi suono - che non fosse quello del vento.
Ma a parte questo, non sentivo niente.
Se non che, giusto poco prima di parlare, notai un suono diverso da quello del vento. Come tamburi a percussione, e si avvicinavano rapidamente.
‹‹ Elicottero. C'è un elicottero in avvicinamento. ›› disse.
Non sapevo come caspio facesse a saperlo, ma provai ad ipotizzare che fosse per via della sua esperienza militare, o qualcosa del genere.
‹‹ È una cosa positiva o negativa? ››
‹‹ Positiva, forse. Se è quello che penso io, ovviamente ›› inclinò la testa, ma non aveva un'aria molto convinta ‹‹ l'Hae ››
‹‹ E sarebbe? ››
‹‹ L'associazione a cui il governo Coreano affidò il compito di testare quella medicina di cui vi ho parlato prima ››
‹‹ Praticamente la C.A.T.T.I.V.O. coreana ›› disse Newt, toccandosi il labbro inferiore in modo nervoso. Non gli faceva piacere l'idea di avere a che fare con un'altra associazione simile, e non faceva piacere nemmeno a me.
‹‹ Più simili all'Eden. A differenza della C.A.T.T.I.V.O., mandano degli elicotteri a controllare le zone come questa per vedere se ci sono sopravvissuti o intrusi almeno una volta alla settimana. E cosa non meno importante: non vedono di buon occhio la C.A.T.T.I.V.O. ››
‹‹ Cosa significa Hae? È un nome? ››
‹‹ Significa sole ›› intervenne Minho, tornando da noi a testa bassa. Ma non era solo.
Dietro di lui c'erano due uomini parecchio alti, con il volto coperto da una maschera a gas.
Parlavano in coreano, ed in spalla avevano dei mitra.
Non capivo un caspio di ciò che stavano dicendo, ma non aveva l'aria di essere un discorso di benvenuto.
Solo in quel momento notai che Minho aveva le braccia legate, e che la sua testa non era bassa per un segno di pentimento, ma uno di quegli uomini gliela teneva così.
Quello alla destra del mio amico gridò qualcosa, spingendolo, poi, e costringendolo a mettersi in ginocchio. Gridò più forte, e lo spinse ancora.
Ero allibita. Minho non reagiva, era come se fosse morto sia dentro che fuori.
Ci guardammo tutti con aria interrogativa, incerti su cosa fare. Huan per primo non mosse un solo muscolo, e tra di noi, era di certo quello che era più in grado di gestire una situazione simile.
‹‹ Chiede di identificarvi ›› disse Minho, con un tono di voce apatico.
Huan annuì, e fece un passo avanti, sollevando le mani al cielo.
Minho li capiva, e doveva fare per forza da interprete.
Ovvio che li capiva: lui era Coreano. Anche se la sua memoria era stata praticamente disintegrata dalla C.A.T.T.I.V.O., piano piano riacquistava quei ricordi. La lingua madre non poteva morire così. Magari non ricordava tutto, ma la stragrande delle cose sì.
‹‹ Siamo Americani, fuggitivi della C.A.T.T.I.V.O.. Chiediamo di poter accedere al territorio protetto Coreano. ›› dopo che Huan parlò, i due uomini guardarono Minho, aspettando che traducesse quelle parole.
Non appena lo fece, l'uomo alla sinistra si avvicinò. Dalla cintura che indossava, tirò fuori ciò che a prima vista sembrava una pistola. Porse a Huan la mano, e gli fece cenno di porgergli una delle sue.
Huan, senza esitare, lo fece.
Poco dopo, l'uomo poggiò la pistola sul palmo della mano del ragazzo, poi schiacciò il grilletto.
L'unica cosa che fece lui, fu una breve espressione di dolore. Poi, ritrasse la mano, scuotendola in modo infastidito.
L'uomo avvicinò la pistola al viso, e da questa uscì una sorta di piccolo schermo. Farfugliò qualcosa in coreano al suo collega, e si scambiarono uno sguardo d'intesa.
‹‹ Ti fa male? ›› chiese Teresa, guardando la mano si Huan.
In sua risposta, lui scosse la testa ‹‹ no, è passato. Anche se facesse male, è una cosa da fare. È un controllo di sicurezza ››
‹‹ Una puntura? ››
‹‹ Sì. È un piccolo prelievo di sangue, la pistola analizza i livelli del sangue per vedere se siamo malati, poi ci romperanno le palle quando saremo nelle mura con controlli vari ››
‹‹ Bene così ›› brontolò Newt.
Non passò molto che quella pistola passò sulla mano di tutti noi.
E Huan aveva ragione: il dolore era questione di meno di un attimo, poi passava subito.
Da quel momento in poi, il tono di voce di quelli che avevano tutta l'aria di essere dei soldati, si calmò.
Ci invitarono a seguirli, e ci fecero salire su un elicottero completamente nero, se non per la fiancata con il simbolo del sole.
Non aveva un'aria molto stabile quel veicolo, anzi: sembrava poter cadere da un momento all'altro, ma era sempre meglio che trovarsi sulla terra ferma senza sapere doveva andare.
A bordo di quell'affare, c'erano altre quattro persone. Stavamo stretti, e c'era un odore pessimo.
Tutti loro indossavano una maschera ed indumenti militari. Era una situazione veramente scomoda.
Mi sembrava di stare in quarantena, ed avevo la netta sensazione che da lì a breve ci saremo trovati in un posto simile. Non sapevo perché, ma mi sentivo in trappola senza nemmeno aver ancora toccato terra ferma.
Se non ci fosse stato quel pessimo odore, avrei volentieri sospirato, guardando in modo malinconico fuori dall'elicottero mentre il paesaggio spoglio scorreva sotto di noi, mostrando la desolazione che aveva preso il sopravvento in quel posto. Ma non potevo, o sarei morta di asfissia in meno di un minuto.
Intanto, mi "godevo" quella visione di case distrutte qua e là, che aumentavano numericamente man mano che ci dirigevamo verso la città.
Eravamo ad una quota piuttosto alta, ma bastava per poter scorgere qualche movimento di persone.
Avrei giurato di aver visto qualcosa - o qualcuno - muoversi a quattro zampe, altri rotolare.
Niente di troppo diverso dagli spaccati, a prima vista, ma preferivo non concentrarmi troppo sui possibili dettaglio, considerando che ancora non mi ero ripresa dalla visione dei nasi strappati da Gervarso e Rose.
La maggior parte delle case - o meglio, ciò che rimaneva di queste - che vedevo, erano prive di tetto.
C'erano cumuli di macchine e cose simili. Vagamente, ricordava Denver dopo la rivolta degli spaccati. Poi, finalmente, ci fermammo all'interno di una recinzione.
Piano piano l'aereo scendeva, fino a poggiarsi al suolo di cemento armato.
Ci fecero scendere, e loro fecero lo stesso. Perché non mi sentivo ancora a mio agio?
Davanti a noi, oltre la coda dell'elicottero, c'era un portone bianco, che si spalancò con un forte cigolio.
Un uomo, vestito anche lui con indumenti militari, varcò la porta accompagnato da altri tre uomini armati.
La sua espressione era seria, e a prima vista aveva circa una cinquantina di anni. Non era alto, ma era chiaramente muscoloso. Una lunga cicatrice gli attraversava il volto dalla fronte fino alla guancia sinistra. Di quei segni distintivi da cui non riuscivi a togliere l'attenzione e non sai mai se fissarla o meno.
‹‹ Salve, americani ›› disse l'uomo, con un accento americano molto, troppo forzato ‹‹ siete in territorio coreano, ora. L'Hae vi da il benvenuto ›› fece un piccolo inchino.
Mi trovai alquanto in imbarazzo. Dovevo farlo anche io?
‹‹ Io sono Jung Seok, il capo di questo posto. Mi hanno riferito che siete fuggitivi dalla multinazionale C.A.T.T.I.V.O. è corretto? ››
‹‹ Sì, signor Seok ›› rispose Huan
‹‹ Bene. Sarà un onore parlare domani di questa questione, per ora, vi condurrò all'interno delle mura della città e provvederò a trovarvi una sistemazione. ››
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