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Capitolo 14

Eva era troppo sconvolta e preoccupata per far partire immediatamente i lavori di ricostruzione, e aveva obbligato tutti a smettere di festeggiare... per ovvi motivi, insomma.
Anche se, c'era da dire che in verità, nessuno di loro ne aveva più voglia. Erano – eravamo – tutti preoccupati, sconvolti, distrutti nel vedere quel posto in quelle condizioni.
Nessuno aveva più voglia di festeggiare. Non ne avevamo più motivo.
Il sacrificio compiuto da Thomas e Minho effettivamente era servito a qualcosa: i dolenti non c'erano più, ma la radura... era distrutta.
Non potevamo dormire nel casolare, per cui ci arrangiammo col dormire fuori, all'aperto, coperti dai sacchi a pelo e coperte varie.
Non che qualcuno avesse effettivamente sonno, ma anche se avessimo provato a dormire, i lamenti del dolore e di chi, invece, piangeva la morte di qualcuno, erano sufficienti a far passare il poco sonno che poteva arrivare.
L'indomani mattina, Evangeline fece una sorta di appello con quello che sembrava essere un megafono, per contare quante persone erano morte, disperse o chissà che.
Il movimento nella radura fu immediato, e c'erano persone che cercavano nelle macerie, altre che invece cominciarono a cercare nei posti più nascosti, in cerca di corpi o qualsiasi cosa potesse ricondurre ad una persona. La speranza maggiore, chiaramente, era quella di trovare le persone vive, e la priorità andava alle persone ferite.
Quella, probabilmente, era la mattinata più triste che la radura avesse mai affrontato, e la faccia distrutta di Eva ne era la prova.
I suoi occhi erano coperti da un velo di tristezza, gli occhi infossati dalla stanchezza e le labbra che tremavano visibilmente ad ogni nome pronunciato.
I suoi occhi guizzavano da una parte all'altra della radura, e la mano che reggeva il megafono sembrava in preda ad un attacco epilettico.
Man mano che diceva il nome dei presenti, tutti loro avevano l'ordine assoluto di contribuire immediatamente alla ricerca di quelli assenti, e, non appena i nomi finirono, la realtà mi crollò addosso.
La notte precedente, non avevo assolutamente realizzato quante persone erano assenti. E non avevo nemmeno ben capito in quale momento i dolenti avessero attaccato i radurai. Quando era accaduto tutto quello? Cos'era successo? Come?
Nessuno voleva parlare dell'accaduto, e tutti sembravano un ammasso di robot senza vita, creati solo per lavorare.
Anche io, come gli altri, avevo l'ordine di cercare i miei compagni, ma.... non riuscivo a fare altro che guardarmi attorno, in maniera sconsolata e confusa. Quella situazione l'avevo già vissuta. Eppure, in cuor mio, ero certa che era totalmente differente.
In pochi minuti, al centro della radura, ci fu un ammasso di corpi accatastati l'uno sull'altro.
Sembrava l'inizio di un muro di cadaveri umani, che cresceva ad ogni secondo.
I corpi, martoriati e grondanti di sangue, sembravano usciti direttamente da un film horror, e l'aria si riempiva di un odore acido e nauseabondo. Una cosa che nessuno avrebbe mai voluto vedere.
Mi strinsi nelle spalle, guardando altrove. Non riuscivo a sopportare quella visione.
Istintivamente, camminai in direzione delle mura dalla quale erano usciti i miei due amici.
Teresa ed Evangeline erano proprio lì, sedute con le gambe incrociate, con la speranza che queste si aprano da un momento all'altro. Teresa, in effetti, era l'unica assente all'appello, ed Eva non l'aveva nemmeno nominata. Non osai avvicinarmi più di tanto a loro, ma già da lontano, riuscivo ad immaginare le loro espressioni ricche di speranza. In cuor mio, ero vicina a loro.
‹‹ Ehi, fagio! ›› mi voltai, capendo da sola che quel termine era rivolto a me.
Dietro di me, che mi fissava a braccia incrociate, c'era il mio "intendente". L'unico che fino a quel momento non aveva le occhiaie fino a terra. Segno che, almeno lui, era riuscito a chiudere occhio per qualche attimo ‹‹ piuttosto che stare con le mani in mano, che ne dici di unirti ai lavori? Tutti quei caspio di stomaci non si riempiranno da soli ›› storse il naso, voltandosi in direzione della catasta di corpi, che continuava a crescere di secondo in secondo ‹‹ sempre se con questo schifo di puzza qualcuno avrà effettivamente fame. Ma, nel dubbio... ››
‹‹ Sì, sì... arrivo... ››

Persino nella cucina si respirava una certa tensione, e l'odoraccio che proveniva da fuori, non ci permetteva di tenere le finestre aperte. Sorprendentemente, la cucina era rimasta intatta.
O meglio, l'unico danno ricevuto, erano gli oggetti sparsi un po' ovunque.
Il resto, era abbastanza intatto. I muri un po' crepati, la porta con diversi tagli... ma niente di eccessivamente spaccato.
Nonostante questo, molti dei miei "colleghi" non facevano altro che toccare i muri in maniera ossessiva, tanto da mettermi l'ansia che questi potessero spaccarsi da un momento all'altro e seppellirci vivi, e questo mi portò ad uscire più volte durante i lavori, per prendere una boccata d'aria – puzzolente – e, già che c'ero, curiosare per vedere come procedevano i lavori.
La scena, anche a distanza di ore, era sempre la stessa: un film horror.
Il muro di cadaveri ormai era diventato incredibilmente alto, ma aveva smesso di crescere.
In assenza di una stanza per i medicali, i radurai avevano improvvisato delle brandine con i sacchi a pelo, e i sopravvissuti feriti erano stati distesi lì sopra. Molti di questi avevano le vene ingrossate, e si contorcevano dal dolore. Per essere ridotti in quello stato, forse, era meglio essere morti.
In mezzo a tutto quel casino, tra i medicali che correvano a destra e a sinistra e le persone distese, Newt camminava in modo sorprendentemente tranquillo e lento. Sembrava essere una figura totalmente estranea, una comparsa. Era come se quella situazione non lo spaventasse, perché aveva visto cose ben peggiori. Era tranquillo, in quel mare di disperazione, ed in quel quadro di sofferenza, era come un raggio di sole in mezzo al buio più totale. Anzi, per dirla tutta, sembrava... un angelo che attraversava nell'inferno.
Si fermò accanto ad un medicale, vicino ad uno dei radurai sdraiato su un sacco a pelo, e cominciò ad indicare chissà cosa sul suo petto. Il suo sguardo divenne serio mentre parlava di chissà cosa, ed il medicale lo ascoltava con attenzione. Ma, le loro facce, diventarono preoccupate.
Un senso di angoscia cominciò a farsi strada nel mio cuore, come se in fondo sapessi benissimo di cosa stessero parlando, ed allora decisi di portare il mio sguardo sugli altri lavoratori.
Come se sperassi in uno scenario migliore.... ma la cruda verità, era che ovunque guardassi, l'unico scenario era la devastazione totale.
Quella situazione sembrava essere totalmente surreale, e non capivo il motivo. Molti lavoravano come se avessero delle macchine al posto del corpo. Era, forse, un incubo ad occhi aperti?
Quando tornai per l'ennesima volta dentro la stanza, notai che Frypan era l'unico che non stava cucinando. Era poggiato al tavolo, fissando fuori dalla finestra chiusa ermeticamente per evitare che la puzza prendesse possesso di quella poca aria respirabile.
Apparentemente, il suo sguardo era rivolto alle mura, ed istintivamente guardai anche io.
Ora, lì, era rimasta solo Eva.
Probabilmente Teresa si era unita alla ricerca dei corpi e dei feriti, o forse ora stava aiutando i medicali da qualche parte della radura.
Decisi di approfittarne ‹‹ posso chiederti una cosa? ›› domandai, avvicinandomi al mio intendente.
‹‹ Dimmi, fagio ›› rispose, con aria assorta
‹‹ Pensi... pensi che Thomas e Minho riusciranno a salvarsi?
‹‹ Ti dirò la verità: non lo so. Però... tutta questa situazione... è da ieri che ci penso ›› a quel punto, si girò, grattandosi la fronte ‹‹ è come se avessi già affrontato questa situazione. C'è qualche sploffata sotto... non riesco a smettere di pensarlo. Non so se quei due pive riusciranno a cavarsela, ma c'è una parte di me che dice di sì perché... è come se fosse un film già vissuto e – ››
‹‹ E qui ci sono gli spoiler ›› la voce di Newt riecheggiò tra le pareti di quella stanza, mentre entrava con passo deciso nella stanza. Ci girammo nella sua direzione, nel momento esatto in cui schiaffò sul tavolo un ammasso di fogli disordinati.
Li fissava con odio, come se la causa di tutta quella situazione, fosse scritta nero su bianco su quei cosi.
‹‹ Cosa sono? ››
‹‹ Mappe ›› rispose Teresa, entrando con un passo molto più lento e tranquillo di quello di Newt.
‹‹ Mappe? ›› domandai ancora, guardandola.
Aveva due occhiaie parecchio profonde attorno agli occhi, ma... rimaneva comunque bellissima. Ed ancora una volta, sentii la mia autostima suicidarsi e gridare di voler entrare nel labirinto assieme ai dolenti.... okay, pessimo paragone, data la situazione.
‹‹ Sì, mappe. Non ci sono tutte, ma queste bastano ›› mentre Teresa parlava, Newt disponeva in un determinato ordine i fogli che aveva portato.
Frypan guardava il ragazzo con aria confusa, ma non disse nulla, a parte un "spero che quella roba sia pulita".
‹‹ Dove avete preso questa roba? ›› domandai, guardando Teresa ed affiancandomi a Newt
‹‹ È roba del velocisti ›› rispose distrattamente, aiutando Newt a disporre il tutto in un'ordine preciso ‹‹ mentre io ed Eva chiacchieravamo per distrarci da ciò che sta succedendo in questo momento... beh, ho ricordato un sogno. Era un sogno particolare... come un – ››
‹‹ Ricordo perduto ›› completò Newt la frase ‹‹ siamo tutti nella stessa barca ››
‹‹ E in questo ricordo, io, Newt ed altre persone osservavamo le mappe, e le disponevamo in maniera strana. Quindi sono andata a cercare nella stanza dei mappatori, ma ovviamente era andata distrutta... ma le casse no››
‹‹ Quindi mi è venuta a cercare ›› Newt si tirò su con la schiena, incrociando le braccia al petto, mentre guardava ciò che aveva fatto con Teresa.
‹‹ In quel sogno, sovrapponendo le mappature del labirinto, si ottenevano dei... codici, diciamo... ›› continuò Teresa ‹‹ che poi ci aiutarono ad uscire dal labirinto... ma, onestamente, questa volta la situazione sembra diversa. ›› mi misi nella loro stessa posizione, ad osservare i fogli come facevano loro. Sembravano formare tutto, fuorché una parola, o anche solo una lettera.
Ciò che vedevo io, era un ammasso informe di linee storte e traballanti.
‹‹ Pive, dateci un taglio, o finirete con l'impazzire anche voi tra queste mura ›› mormorò Frypan, scuotendo la testa ‹‹ capisco che vogliate distrarvi da questa pessima situazione in cui si sono cacciati Minho e Thomas, ma... andiamo, un codice nelle mappe? E a cosa servirebbe, poi? ››
‹‹ Servì per trovare una stanza oltre la scarpata del labirinto... o qualcosa del genere.
Erano una sorta di codice d'accesso. L'ordine nella quale si inserivano queste parole, portava, poi, in un ulteriore stanza dove si trovavano i creatori ›› rispose Teresa. Frypan rimase in silenzio, guardandosi attorno in maniera spaesata.
L'unico suono che aleggiava nella stanza, ora, era quello degli altri lavoratori che continuavano le mansioni che erano state loro affidate. Ancora una volta, quella strana sensazione...
‹‹ Secondo me vi si sta sploffando il cervello. Teresa, cara... cerchiamo di essere realisti ›› Frypan indicò i fogli sul tavolo, quasi in maniera accusatoria ‹‹ questa roba... ti sembra anche solo lontanamente un codice? Perché a me, personalmente, sembra la suola di una scarpa rovinata.
Il tuo sarà stato solo un sogno... o un incubo. Dipende.››
‹‹ Non era un incubo ›› s'intromise Newt ‹‹ anche io ho sognato la stessa cosa ››
‹‹ Bene, io no ›› alzò le braccia al cielo ‹‹ quindi me ne lavo le mani, e non voglio saperne delle vostre sploffate di cervello ››
‹‹ Io vi credo... ›› mormorai, guardando il biondo. Lui abbassò rapidamente il volto verso di me, con le labbra schiuse. Mi guardò dall'alto in basso, ma non in modo negativo. Era quasi come per chiedermi se fossi seria. Feci un cenno col capo, e lui lo ricambiò, toccandosi poi nervosamente il mento.
Frypan fece le spallucce ‹‹ ripeto: secondo me vi state sploffando il cervello ››
‹‹ Ma anche tu hai questa sensazione, no? ›› provai ad intervenire ‹‹ che tutto questo sia stato giò vissuto. L'attacco dei dolenti, il martirio, la distruzione... tutto! L'hai detto tutto stesso poco fa, no? Ed ora ti vuoi rimangiare la parola? ››
‹‹ No, ma... ››
‹‹ Io penso che dietro tutto questo ci sia qualcosa di molto, molto più grande! Penso che oltre quelle mura ci sia una cosa che noi dobbiamo trovare. Penso che... non lo so. Penso che qualcuno ci stia osservando. Ho la netta sensazione di essere come un topo da laboratorio per qualcosa che non possiamo nemmeno lontanamente immaginare ››
‹‹ Anche io ›› mormorò Newt. Indietreggiò, poggiandosi al piano cottura alle sue spalle ‹‹ e non riesco a levarmi questo caspio di pensiero dalla testa ››
‹‹ Perché sicuramente è così ›› mormorò Teresa, passandosi una mano tra i capelli ‹‹ ma io non voglio fare il fottuto topolino da laboratorio. Io voglio uscire da qui. Io voglio trovare Thomas e... vivere, non sopravvivere ››
Newt rimase in silenzio per un attimo, poi inspirò profondamente ‹‹ ed io voglio capire cosa diavolo mi manca ›› già... lo volevo capire anche io ‹‹ è come se mancasse un enorme tassello nel mio cervello ››
‹‹ Quello manca a tutti ›› commentò Frypan, afferrando un mestolo e cominciando a girare qualsiasi cosa ci fosse dentro quell'enorme pentolone sul fuoco ‹‹ la nostra memoria è andata a puttanzole ››
‹‹ Non intendo quello ›› sbuffò, poi guardò sul tavolo quei fogli di carta inutili, a quanto pare, e cominciò a raccattarli ‹‹ e comunque... secondo voi, i creatori manderanno qualcosa per curare i feriti? ››
‹‹ Il dolosiero, intendi? ››
‹‹ Il... dolosiero? ›› domandò Newt, corrugando la fronte ‹‹ Come fai a conoscere il dolosiero? ››
corrugai la fronte a mia volta, guardando il ragazzo come se mi avesse fatto la domanda più stupida sulla faccia della terra ‹‹ me ne hai parlato tu, non ricordi? ››
‹‹ Sono abbastanza sicuro di non aver mai accennato al dolosiero in vita mia, Liz... e nessuno, a parte noi due ›› indicò sé stesso e Teresa ‹‹ sa cos'è un dolosiero, qui dentro ›› eppure io ero fortemente convinta di averne già sentito parlare, e non potevo essermelo inventata, se anche lui ne era a conoscenza.
Frypan lasciò cadere il mestolo dentro la pentola, sospirando. Poggiò la mano sulla propria fronte, poi contrasse la mascella. Di colpo, si girò verso di noi in maniera rabbiosa, ed indicò la porta ‹‹ Okay, fuori da questa stracaspio di cucina! ››.
‹‹ Fry – ›› provò ad intervenire Teresa, ma Frypan diede un colpo così forte al tavolo da spostarlo di qualche centimetro
‹‹ Fuori, ho detto! ›› gridò.
In tutto questo, nessuno degli altri ragazzi fece qualcosa. Tutti continuarono a lavorare, battere i pugni sui muri, cucinare. Come se non stesse accadendo niente, attorno a loro.
Come se tutto quello fosse normale.

Usciti dalla cucina, fummo costretti a separarci.
Teresa si scusò per l'inutilità delle mappe, e quindi andò a metterle a posto, ed io e Newt decidemmo di andare a dare una mano agli altri radurai nella ricerca dei nostri compagni.
Camminammo verso le facce morte, evitando rami vari e cose simili.
Quella zona, già lugubre di suo, ben presto sarebbe diventata ancora più affollata...
‹‹ Elizabeth... ›› sentii sussurrare alle mie spalle. La voce di un bambino.
Corrugai la fronte, e mi girai di scatto. Non c'era niente.
‹‹ Che c'è? ›› brontolò Newt, fermandosi dal camminare solo per guardarmi ‹‹ che ti prende, ora? ››
‹‹ Mi era sembrato di aver sentito una voce... ››
‹‹ Capita spesso, in questa zona. A me, almeno ›› scrollò le spalle ‹‹ certe volte, mi viene istintivo chinarmi da queste parti e cercare tra i cespugli ›› riprese a camminare, senza nemmeno aspettarmi.
Non che fosse complicato raggiungerlo, però... un minimo di educazione, insomma.
‹‹ Tra i cespugli? ›› domandai, corrugando la fronte.
‹‹ Sì ›› il suo, fu quasi un mormorio. Il suo passo rallentò ‹‹ non so perché. È come se tra i cespugli ci sia qualcosa che devo assolutamente trovare. Comincio a camminare, camminare e camminare, mi chino, sposto rami e cose varie, ma poi... niente... non trovo niente. Ed è una cosa frustrante ›› i suoi occhi divennero improvvisamente lucidi. Strinse i pugni, e ne portò uno contro le labbra, che cominciò a torturare nervosamente ‹‹ e sento che, qualsiasi cosa ci sia nascosto tra i cespugli, era qualcosa di importante... ››
‹‹ Magari... un nascondiglio? ›› ipotizzai, guardandolo.
Si fermò, corrugando la fronte ‹‹ forse... ›› i suoi occhi sembrarono diventare ancora più lucidi.
Che fosse un ricordo particolarmente importante, per lui? Qualsiasi cosa fosse, non riuscivo a vederlo in quel modo.
‹‹ Vuoi che ti aiuti a cercarlo? ››
‹‹ Sarebbe inutile ormai, no? E comunque, ho già cercato in ogni singolo angolo di questo posto ››
‹‹ Newt... ›› istintivamente, non so perché, mi venne naturale prendergli una mano e guardarlo dritto negli occhi. La mano era stretta a pugno, e al tatto, ruvida e calda. Lui corrugò ancora la fronte, ma non la ritrasse ‹‹ lascia che ti aiuti a cercarlo. Okay? Sento che... è importante, per te ››
rimase in silenzio, guardandomi negli occhi. Sentii il mio cuore fare una sorta di balzo, e mi venne un improvvisa voglia di perdermi nei suoi occhi, così pieni di malinconia e così familiari. Lucidi, come il cristallo, arrossati per via di una pianto trattenuto.
Perché quegli occhi sembravano parlarmi dritti al cuore, e mi veniva una tremenda voglia di gridare, senza nemmeno saperle il perché? La presenza e la vicinanza di quel ragazzo mi causavano una forte malinconia, e...
‹‹ Okay... bene così ›› disse, ritraendo la mano ‹‹ aiutami pure... ›› ora, il suo tono di voce sembrò essere cambiato. Sembrava più una richiesta di aiuto, ed il suo sguardo, improvvisamente, mutò. Si addolcì. Pochi minuti, e ci ritrovammo in tutt'altra zona delle facce morte.
Mi lasciai guidare da lui, spostando i vari cespugli, senza che lui mi dicesse quale di preciso.
Cercammo in ogni singolo cespuglio, ma niente. Non sembrava esserci assolutamente niente. Eppure, per qualche attimo, ero quasi riuscita ad illudermi di poter trovare qualcosa.
Alzai gli occhi verso la chioma degli alberi, inspirando profondamente quello schifo di fetore che arrivava direttamente dalle facce morte.
‹‹ Te l'avevo detto, qui non c'è niente ›› mi fece notare Newt, con una punta di amaro nella voce
‹‹ Ehi, scusa se ho provato a fare qualcosa di carino per te ›› sbottai ‹‹ posso dirti una cosa, senza che ti offenda? ›› lui annuì, sbuffando ‹‹ a volte ho la sensazione che tu mi odi da morire, e non capisco il perché. Voglio dire... magari sei solo geloso, ma – ››
‹‹ Geloso? ›› corrugò la fronte ‹‹ perché mai dovrei essere geloso? ››
‹‹ Perché da quando sono qui, ho passato molto tempo con Thomas e... beh, hai una cotta per lui no? Insomma... vi siete baciati, ieri notte... ›› sgranò gli occhi, facendo cadere, di peso, un braccio lungo il fianco.
‹‹ Eh? ›› corrugò la fronte, poi sollevò lo sguardo ‹‹ che sploffate vai dicendo? Era un gioco che abbiamo fatto tra di noi. Obbligo o verità. Non abbiamo molte verità da dire, visto che non ricordiamo praticamente niente, quindi è scontato che si cada nell'obbligo.
Sinceramente, Liz, non ho idea di come tu sia potuta cadere in questa strana teoria della gelosia ››
‹‹ Era l'unica cosa che mi bloccava dal pensare che tu mi odi a prescindere, dato che... sei un po' strano nei miei confronti ››
‹‹ Io... non ti odio, Liz ›› sospirò ‹‹ in verità, mi fai un po' paura ››
‹‹ Paura? ››
annuì, ed improvvisamente, le sue guance si tinsero di un lieve rossore, e guardò altrove, sperando, sicuramente, di riuscire a camuffarlo ‹‹ Sì... quando ci sei tu nei paraggi, mi sento strano. Quella sensazione di vuoto cresce maggiormente. Ho paura che quella sensazione mi divori. ››
La sensazione di vuoto cresceva per colpa mia? Allora... forse, non ero l'unica a sentire qualcosa, vicino a lui. Non ci davo poi così tanto peso, alla fine... ma, in effetti, anche io provavo una sorta di vuoto, se così lo si poteva chiamare.
In ogni caso, qualsiasi cosa fosse, io.... volevo salvarlo. Non volevo vederlo così strano.
I suoi occhi viaggiavano ancora di albero in albero, di cespuglio in cespuglio, sicuramente ancora in cerca di quel famoso nascondiglio.
‹‹ Mi dispiace ›› mormorai, allora, girandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio ‹‹ non so perché ti senti così... ma non voglio che tu stia male per colpa mia. Quindi... se è questo il problema, ti aiuterò a cercare questo famoso nascondiglio, e poi sparirò dalla tua vista ››
quasi si pietrificò, e girò rapidamente lo sguardo verso di me. I suoi occhi si sgranarono, come se quel pensiero fosse anche peggio della sensazione precedente.
Notando il mio sguardo incuriosito, allora cercò di comportarsi in maniera normale, e sussurrò un "okay", per poi abbassarsi e cominciare a tastare il terreno ‹‹ anche se ti ho già detto che qui non c'è niente ››
‹‹ ma come mai sei convinto che qui ci sia qualcosa? Insomma... non potrebbe essere ovunque? ››
‹‹ Te l'ho detto ›› cominciò e quando feci per abbassarmi, lui si rimise immediatamente in piedi, e cominciò a camminare, facendomi cenno di seguirlo – cosa che, chiaramente, feci – ‹‹ è qui che ho cominciato a cercare le cose, perché... ›› sospirò ‹‹ ricordi di averti raccontato quel sogno dove fuggivo con qualcuno? Ho detto di essermi nascosto da qualche parte, e... pensandoci bene, era in questa zona... e voglio capire chi fosse quella persona. Perché quel posto... sono sicuro che possa aiutarmi ››
‹‹ Perché è così tanto importante trovarla? ››
‹‹ Perché sono sicuro che fosse una persona importante per te. Voglio sapere se è qualcuno che ho già visto qui... qualcuno che è ancora vivo ›› si fermò, alzando lo sguardo verso l'alto ‹‹ ma... che strano... quando diavolo è cresciuta questa roba? ››
‹‹ Che roba? ›› domandai, vedendolo poggiare la mano sul muschio che ricopriva la corteccia dell'albero. Appena lo toccò, corrugò la fronte
‹‹ È sorprendentemente fresco... sembra quasi umido... ››
‹‹ Beh, che c'è di strano? È solo muschio. Mi saranno altri alberi come questo, no? ››
‹‹ No. Perché mai dovrebbe crescere del muschio qui? ›› si guardò attorno, poi si avvicinò ad un albero accanto e strappò un pezzo di corteccia, con la quale poi cominciò a grattare via il muschio dall'albero.
Tempo di qualche minuto, e si scoprì l'inganno: sotto quel muschio c'era una placca di metallo.
Una placca di metallo, per cosa? Su un albero?
‹‹ Che caspio...? ›› mormorò, guardando me, come se io potessi avere la spiegazione ad una cosa del genere.

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