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Capitolo 10

Sentivo voci quasi lontane, distorte, ma non riuscivo a capire le loro parole. Erano confusionarie, la lingua a me era sconosciuta, ma sorprendentemente non ero spaventata.
Era tutto buio attorno a me, e mi sentivo cadere nel vuoto. Stavo dormendo? Se sì, di certo non stavo sognando. Era come se fossi una presenza che vagava nel vuoto.
Non potevo muovere un solo muscolo, ero persa nella mia testa, che in quel momento era... vuota.
Cos'era successo poco fa?
Le voci s'interruppero. Ora c'era di nuovo sileNzio. Proprio come fino a pochi attimi prima.
In tutta onestà non avevo idea di cosa fosse successo, né di quanto tempo fosse passato.
Era come se il mio essere fosse stato spento e riacceso.
Da quel silenzio, e quella quiete, si passò ad improvviso senso di vuoto d'aria.
Come se qualcuno aprisse aperto una botola sotto di me, ed io caddi nel nulla, risvegliandomi all'improvviso da quello che, apparentemente, era un sogno.
Il pavimento sotto di me era freddo, metallico, ed ero chiusa tra quattro mura in uno spazio claustrofobico totalmente illuminato di bianco.
Dov'ero? Cos'era successo? La mia mente era sovrastata da mille domande.
Come, ad esempio, perché non riuscivo a ricordare niente delle ultime ventiquattro ore?
Com'ero finita in un posto del genere? Non c'era nemmeno lo spazio per mettersi in ginocchio.
Potevo solo stare sdraiata, col petto contro quella sorta di pavimento.
Provai a parlare, ma dalla mia bocca non uscì un solo suono. Ero nel panico.
Chiusi gli occhi e cercai di calmarmi. Mi sforzai con tutta me stessa di ricordare ogni singola cosa.
Le domande erano troppe, e per quanto non avessi le risposte a tutte, ciò che mi rodeva di più il fegato era solo l'assenza di una risposta.... qual'era il mio nome? Non ricordavo niente di me.
Come mi chiamavo, quanti anni avevo, com'ero... niente.
Chiusi gli occhi. In quel momento, realizzai che il posto in cui stavo, stava andando verso l'alto.
Era una sorta di... ascensore. Forse era quello il nome adatto a quel coso nella quale mi trovavo.
Tristemente, realizzai di non sapere come fosse un'ascensore, ma sapevo che serviva per spostarsi dall'alto verso il basso e viceversa. In tutta onestà, non ricordavo molte cose anche della vita di tutti i giorni. Ma prima di quel momento avevo effettivamente una vita?
La struttura tremò. Ebbe un piccolo balzò, che mi fece picchiare la testa contro quello che, in teoria, era un soffitto, poi le luci bianche si spensero.
Ora ero al buio. Presi un grosso respiro e implorai me stessa di stare calma, perché quello non era il momento di farsi prendere dal panico.
Provai a pensare a cose positive. Prova a ricordare qualcosa... qualsiasi cosa.
Ma l'unica cosa che mi prese, fu un senso di malinconia. La mancanza di qualcosa che ormai non c'era più, ed il mio cuore sembrò crollare a pezzi. Qualcosa mi fece male, e nemmeno io sapevo cosa.
Sentii di nuovo delle voci in lontananza. Sta volta, però, erano differenti, ed erano ovattate.
Lentamente il tettuccio sopra la mia testa si aprì, permettendo così l'entrata di una forte luce esterna.
‹‹ Ragazza. ›› disse una voce femminile ‹‹ Ve l'avevo detto che era una di noi! ››
‹‹ Che palle queste femmine! ›› sbuffò un ragazzo ‹‹ Ma è viva almeno? ››
‹‹ Credo di sì ››
Feci leva sulle braccia per mettermi almeno seduta.
La mia schiena fece diversi scricchiolii, facendomi arricciare il naso per il fastidio.
‹‹ Sì, è viva ››
‹‹ Ma è ovvio che è viva, no? Dubito che i creatori ci avrebbero mandato una ragazza morta ›› questa era la voce di un altro ragazzo ‹‹ e poi, a che scopo? Farci paura in modo da poter lavorare meglio? ›› fino a quel momento non avevo alzato la testa per guardarmi attorno, ma appena notai che quel ragazzo era entrato all'interno del piccolo ascensore, presi coraggio ed alzai la testa. Si chinò sulle ginocchia, incrociando il mio sguardo.
Ebbi la sensazione di déjà vu.
‹‹ Tutto bene? ››
mi incantai per un attimo. Tutta quella situazione mi sembrava mi averla già vissuta.
‹‹ Sì ›› mi sforzai di dire, storcendo poi il naso nel sentire la mia voce.
Non pensavo potesse essere così... femminile.
Sul volto del ragazzo si formò un sorriso appena accennato ‹‹ è strano sentire la propria voce per la prima volta, vero? Tranquilla, ci sentiamo tutti così la prima volta che ci ritroviamo qui. ›› inclinò la testa, portando la propria attenzione sul mio collo. Con una mano, ed un po' di titubanza, spostò i miei capelli da lì, ed i suoi occhi si sgranarono.
Pensai di avere qualche insetto addosso, o robe del genere, ma me ne sarei resa conto... no?
‹‹ Vieni... ti aiuto ad uscire a qui ›› detto questo, si mise in piedi, porgendomi la mano.
Non sapevo perché, però sentivo di potermi fidare di lui. Come se fosse un viso conosciuto. Ma non lo era. Non lo era per niente. Più lo guardavo, più cercavo di capire chi fosse.
Così afferrai la mia mano e mi alzai, uscendo da quel mini ascensore incavato nel terreno.
Attorno a me c'era una schiera di ragazzi e ragazze che bisbigliavano qualcosa sul mio conto.
Troppi commenti tutti differenti l'uno dall'altro.
C'erano ragazzi di tutte le età, tutti diversi: dai capelli rossi a quelli biondi, dagli occhi tondi e grandi a quelli piccoli e a mandorla.
Il ragazzo davanti a me cominciò a camminare, facendomi cenno di seguirlo.
Nessuno sembrò avere qualcosa da ridire sul fatto che mi stessi allontanando con lui, il che non sapevo se fosse una cosa positiva o negativa. Magari mi stava portando in qualche posto privato per abusare di me o qualcosa del genere.
Ero tremendamente confusa, e sentivo di star dimenticando qualcosa in particolare.
Quel posto, poi, aveva un'aria totalmente familiare: un'intera distesa di prato verde, con alberi enormi, apparentemente secolari; un fiumiciattolo che scorreva vicino a tre... palazzi? Insomma. Non avevano l'aria di essere così tanto sicuri, ma almeno si reggevano in piedi.
Un cielo azzurro, con un bellissimo sole che risplendeva e mi scaldava la pelle... e cose del genere.
Insomma, era pieno di tanti piccoli edifici rudimentali, ma avevano tutta l'aria di essere stati costruiti da mani poco esperte. E tutto quello continuava a darmi la sensazione di qualcosa di già vissuto.
‹‹ Dove mi stai portando? ›› mi decisi a chiedere, finalmente.
Il ragazzo si girò, guardandomi con la coda dell'occhio ‹‹ da un pive ››
quella parola. Quell'ultima parola. L'avevo già sentita.
‹‹ "Pive?" ››
lui annuì, ridacchiando ‹‹ non so che significhi, ma alcuni di noi la usano. Tu fai parte dei "pive speciali", e quindi sei assegnata ad una zona diversa dagli altri ragazzi. Come vedi ci sono diversi edifici ›› spiegò, poi si fermò non troppo distante da uno dei tre "edifici" ‹‹ ci sono tre "casolari": uno per i maschi - che ti sconsiglio di visitare, per via della puzza -, uno delle femmine ed infine questo ›› fece un piccolo cenno col capo, in direzione dell'edificio designato ‹‹ che è quello dei i pive speciali, come te, e come me. Ne stanno costruendo un altro, così da dividere maschi e femmine ››
‹‹ Perché siamo speciali? ››
‹‹ Hai un tatuaggio sul collo, che ti identifica come A6, l'ancora. Ne ho uno anche io. Non sappiamo ancora l'utilità, ma abbiamo la netta sensazione che ci colleghi a qualcosa di importante. ›› spiegò, poi si abbassò il colletto della maglietta grigia che stava indossando e inclinò appena il collo.
Il tanto giusto per concedermi di vederlo.

Soggetto A2,
deve essere ucciso dal gruppo B

Alla vista di quella scritta, trasalì come una scema.

Che significava? Perché quei tatuaggi? Perché io ero identificata come l'ancora?
Schiusi le labbra, guardando il ragazzo di fronte a me.
Lo squadrai dalla testa ai piedi, cercando di capire chi fosse, e perché, dopo aver letto quella scritta, mi era ancora più familiare di prima.
I capelli scuri, gli occhi altrettanto scuri... quelle labbra...
Tutto di lui mi ricordava qualcuno. Qualcuno che non doveva essere dimenticato, o lasciato indietro. Qualcuno che per me era importante.
‹‹ In quanti siamo? Noi pive speciali, intendo... ››
‹‹ Parecchi. Sono uscito solo io a controllare chi fosse il nuovo arrivato. Gli altri si stanno occupando di altre faccende ›› vago, il ragazzo ‹‹ a capo del gruppo ci siamo io ed una ragazza. Ci hanno messo gli altri, anche se io sono nuovo di qui ›› detto questo, ridacchiò, scuotendo poi la testa ‹‹ anche se qui il tempo sembra non passare mai. Sono qui da... circa un mese, credo, o forse meno ››
‹‹ Quindi... tu hai qualche ricordo in più? ››
‹‹ No. Non t'illudere, non ti tornerà la memoria. So che non ricordi niente di te. Niente del tuo passato, del tuo aspetto, o il tuo nome... cose così, insomma. Ma non preoccuparti, il nome te lo ricorderai a breve. E con un po' di fortuna, ricorderai anche la tua età ››
‹‹ Tu ricordi il tuo nome? ››
‹‹ Oh... giusto, non mi sono presentato ›› accennò un sorriso cordiale, mentre apriva la porta di quello che lui aveva chiamato "casolare"
‹‹ Mi chiamo Thomas. Solo Thomas. Nessuno ricorda il cognome, qui... sempre se ne abbiamo mai avuto uno ››
‹‹ Capisco.. piacere ››
Quel nome, per qualche strana ragione, nel sentirlo mi provocò una sensazione di sollievo.
Thomas.
Sbirciai all'interno dell'edificio, interdetta tra l'entrare o meno.
Anche senza entrare totalmente, riuscii ad intravvedere circa altre tre persone.
‹‹ Posso chiederti un ultima cosa? ›› lui scrollò le spalle, annuendo ‹‹ dove mi trovo? Insomma... che posto è questo? ››
Thomas arricciò le labbra
‹‹ noi la chiamiamo radura ››

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