Capitolo 8
SARAH
«Sa', scusa ma non ti seguo» borbotta Filippo. Sbuffo, arricciando il naso. Siamo su una panchina, fuori dal mio ufficio. Aveva qualche ora libera e ha pensato bene di venire a trovarmi, portandomi un fantastico tramezzino al tonno e tutti i suoi silenziosi rimproveri. Glieli leggo in faccia!
«Cosa non capisci?» bofonchio, a bocca piena.
«Tutto questo. Che c'è, fai l'amante ora?» mi ammonisce. Roteo platealmente gli occhi, ingoio il boccone e bevo in un sorso quasi tutta la mia bottiglietta d'acqua.
«Sei impazzito?», urlo, «io non sono l'amante di nessuno! Joseph ama Viviana», rabbrividisco appena, «e la sposerà. Sono stati solo un paio di momenti passeggeri»
«Quattro, veramente» rettifica. In parte è vero: dopo cena è successo ancora, e ancora. Ma, a conti fatti, quelli appartengono alla stessa serata, valgono come uno. Quindi abbiamo avuto soltanto due momenti di debolezza. Due, non quattro. Due.
«Devi dire qualcosa di sensato? Perché la mia pausa pranzo sta per finire» sbuffo annoiata. E leggermente infastidita. Respira sonoramente, allargando le narici.
«Dovete tornare insieme» pontifica.
«Tu sei pazzo davvero» ridacchio.
«Vi amate» afferma ovvio.
«Non è vero» dico a denti stretti, puntandogli contro un indice. «Perché nessuno vuole capirlo?» continuo poi, sconsolata. «Ci siamo amati, ora è finita. Punto, stop. The end. C'è attrazione fisica, ma è normale, c'è sempre stata. È solo sesso»
«Ma se proprio tu hai detto, non troppi giorni fa, che non è mai stato solo sesso, tra voi» puntualizza. Scrollo le spalle.
«Ho sbagliato. Capita anche ai migliori»
Si alza dalla panchina, sistemando i jeans che, sedendosi, si erano un po' accartocciati. Abbottona il giubbotto di pelle e infila le mani in tasca, in quella sua posa plastica che tanto faceva impazzire le ragazzine del nostro liceo.
«No, non sbagliavi. Sei una cretina». Mi alzo anche io, ignorandolo.
«Tu, piuttosto, ci hai parlato?» chiedo, curiosa. Lo vedo rabbuiarsi in fretta e abbassare un po' il capo.
«Non parliamo molto, ultimamente» confessa.
«Come mai?» Questa domanda mi terrorizza. Prima che tornassi, tra loro andava alla grande, come sempre. Da quando sono tornata, ho paura di aver portato solo casini.
«Perché» inizia piccato, «il mio migliore amico è un cretino, ed è innamorato della mia migliore amica, anche lei una cretina. Anche lei lo ama, ma è troppo codarda per ammetterlo, e troppo orgogliosa per dire di aver commesso un errore. Così questi due scemi hanno deciso di iniziare una relazione di sesso, nonostante lui stia per sposarsi. E ora lui è geloso perché io passo tanto tempo con la sua ex, nonché mia migliore amica cretina» Sorrido appena, colpendolo bonariamente sul petto.
«Coglione!»
«E tu cretina. Come il mio migliore amico. Lo conosci, per caso? Oltre che in senso biblico!» Lo colpisco ancora e lui finge di incassare un dolore inesistente.
«Idiota! Io vado, la mia pausa è finita. Ti chiamo dopo» dico, correndo verso l'ufficio.
«A dopo, cretina» mi urla dietro, sottolineando l'ultima parola. Scuoto il capo, entrando in ufficio con un sorriso sincero stampato in faccia. Filippo mi mette di buon umore!
***
Il lavoro oggi non va, la mia mente è troppo occupata per farmi davvero concentrare su quale divano mettere nell'enorme villa di questi due ricconi spocchiosi. Avrei bisogno del Pensatoio di Silente e del suo potere geniale. Vorrei estrarre dalla mia testa ogni ricordo, ogni emozione, ogni pensiero e riporlo con cura in quell'enorme vaso di pietra. Vorrei avere accesso ai miei ricordi quando ne ho voglia, vorrei catalogare le idee come vengono catalogati i prodotti nei supermercati, in modo ordinato e composto.
Penso a Joseph; penso a quello che sta succedendo tra noi; penso al discorso dell'altra sera. Penso, inevitabilmente, di sbagliare. Sto sbagliando. Mi sto comportando da egoista, perché Joseph mi ama. Me lo ha detto, quando ci siamo lasciati. Me lo ha fatto capire in questi giorni. I suoi gesti non sono cambiati. In lui non c'è rabbia, non c'è rancore. Mi tocca nello stesso modo in cui faceva anni fa. Mi venera come faceva anni fa.
E io? Lo sto usando? Anche io lo amerò sempre, in un modo o nell'altro; farà sempre parte di me. Ma vorrei tornare con lui? No. Per me, ora, è davvero solo qualcosa di fisico, mischiato a un'insana sicurezza. Joseph è qualcosa che già conosco. Qualcosa che, già so, mi fa stare bene.
Ma questo è puro egoismo. Lui deve sposarsi, tra qualche mese, e la ama, in un modo strano e contorto. E per quanto io ora la odi, per quanto vorrei vederla strisciare per terra come un verme, per quanto, spesso, abbia sognato la mia vendetta, Viviana è stata la mia migliore amica per anni. È stata la prima persona che mi ha asciugato le lacrime, quando non volevo parlare con nessuno. È stata la prima a cui ho raccontato della mia prima volta. La prima a cui ho detto di amare Joseph.
Mi ha aiutata quando i miei genitori non facevano altro che litigare, e pensavo davvero sarebbero arrivati al divorzio. Mi è stata vicina, mi ha rassicurata, mi ha detto che tutto sarebbe andato bene. E aveva ragione, perché loro hanno ritrovato l'equilibrio. I miei genitori, da sempre più forti di me. Più coraggiosi. Hanno affrontato il problema, a muso duro, e ne sono usciti vincenti.
Quindi, per quanto sia stronza e cattiva, non voglio farle del male. Perché è stata la mia migliore amica per anni e perché, come ho detto, non sono un'egoista. Non sono come lei.
Spengo il pc. Penserò dopo a quello stupido divano! Prendo la borsa, perennemente aperta, e mi alzo dalla scrivania.
«Devo andare» urlo al capo. Lui alza le spalle e annuisce affranto. Mi conosce e nemmeno prova a fermarmi.
Mi metto in macchina e compongo il numero di Joseph, che risponde al secondo squillo.
«Sto venendo da te, dobbiamo parlare!» Lo sento sussultare e rispondere con un "ok" sussurrato. È solo. Non ci metto molto a raggiungere il suo appartamento. Napoli è stranamente deserta. Arrivo e lo vedo dietro il vetro del salotto. Sorride e a me si spezza un po' il cuore. Non ricambio. Salgo le scale in fretta e lo trovo sulla porta. Lo sorpasso, buttandomi su Gaetano e giocando un po' con lui. Questo cane mi rilassa.
«Che succede?» chiede confuso.
«Dobbiamo smetterla, non deve succedere più» affermo decisa, ma senza il coraggio di guardarlo negli occhi.
«Non avevi detto che era solo sesso, che quello fidanzato ero io e che per te non c'erano problemi?» Nella sua voce c'è uno strano rammarico, simile a quella supplica strozzata di qualche anno fa.
«I problemi ci sono, invece, perché io non voglio tornare con te» ribatto, continuando a guardare il cane. Non guardarmi con quegli occhi gonfi, stupido cane!
«Nemmeno io»
«Ok» sospiro, alzandomi. Non sono una codarda, devo riuscire a reggere quel suo sguardo che mi ha sempre fatta tremare. «Ma tu stai per sposarti, e io ti ho già rovinato la vita troppe volte, non voglio farlo ancora. Non voglio rovinarti il matrimonio prima ancora che ti sposi. E poi, per quanto ce l'abbia con lei, Viviana è stata la mia migliore amica per anni. Non posso farle una cosa del genere. Sono una stronza, ma non così tanto. Sono egoista, ma non così tanto. E sono migliore di lei» dico d'un fiato. Lui respira profondamente, incrociando le braccia al petto.
«Quindi finisce così?»
Traballo.
«Suppongo di sì» balbetto.
«Ok». Allunga la mano verso di me, come gli uomini d'affari. Una stretta e l'accordo sarà concluso. Gliela stringo a fatica. Ci guardiamo per un istante e, forse, siamo meno di parola di quegli uomini d'affari perché in un batter d'occhio siamo di nuovo bocca contro bocca, mentre ci spogliamo avidi e vogliosi, col fiato corto e il cuore in gola.
«L'ultima volta» sussurro.
«Sì, l'ultima volta» risponde.
Forse nessuno dei due ci crede davvero. Perché quest'ultima volta va avanti per ore e ore. Così tante che quando guardo l'orologio sono le dieci passate. Erano le sei di pomeriggio, quando sono piombata nel suo appartamento. Abbiamo fatto l'amore per terra, sul divano, sul tavolo della cucina, a letto. Ci siamo rotolati tra quelle lenzuola per ore. Abbiamo anche dormito un po', poi ci siamo risvegliati, insieme, e abbiamo ricominciato, come se la conversazione di poche ore fa non fosse mai esistita.
«Non vado fiero di quello che ho fatto» mugugna continuando ad accarezzarmi la schiena nuda. Sono tra le sue braccia, stretta e al sicuro.
«Nemmeno io»
«Ma non riesco a starti lontano» continua, fissandomi negli occhi.
«Nemmeno io» ammetto.
«E adesso?»
«E adesso è finita davvero» sussurro. Mi vesto in fretta e lo lascio lì, con gli occhi colmi di lacrime e lo sguardo basso. Non aggiunge altro e io scappo, mentre qualche lacrima bastarda sfugge anche a me.
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