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Capitolo 25

SARAH

Ci siamo. Il grande giorno è arrivato. Il nostro giorno speciale. Il più bello della vita, direbbe qualcuno. Quello che non dimenticheremo mai. Quello che mi farà sorridere e commuovere per tutta la vita. L'inizio di un percorso tutto nuovo, tutto da scoprire. Il matrimonio.

È un giorno strano. Ho passato la notte in bianco, un po' per l'ansia, un po' perché sarebbe stata l'ultima nella casa dei miei, circondata dalle mie amiche, a ridere e piangere per ogni stronzata, con mia madre che, ogni mezz'ora veniva a dirci di dormire perché il giorno dopo sarebbe stato faticoso.

Non è ancora l'alba, e io sono seduta sul divano con un tazzone di latte tra le mani, a ripensare a questa notte. Le altre, alla fine, si sono addormentate. Io non ce l'ho fatta, troppo presa dall'adrenalina, dall'ansia, dall'euforia e da qualsiasi altra emozione, dalla più spaventosa alla più bella, l'essere umano sia in grado di provare.

La celebrazione in chiesa inizierà alle quattro, oggi pomeriggio, poi dritti al ristorante per il ricevimento e la grande festa organizzata. A mezzanotte in punto Joseph, accompagnato da Filippo e dagli altri fedeli compari, si è presentato sotto la mia finestra per una serenata. Sarei scesa per dargli un bacio se mio padre, fedele a ogni tradizione, non mi avesse bloccata sulla porta. Ho potuto salutarlo solo da lontano, ma è stato bello comunque. Lui mi ha urlato che la serenata era, oltre che per il matrimonio, anche il suo regalo di compleanno.

«Che fai già in piedi?» Guardo mio fratello che, ancora con gli occhi chiusi, viene verso di me. Nonostante ormai viva da anni con Clarissa, anche lui stanotte ha deciso di dormire qua, con me.

«Non riesco a dormire»

«Nervosa?» mi chiede, dando per scontata la risposta. Arriccio il naso e alzo appena le spalle.

«Il giusto», affermo. «È una sensazione strana, in realtà. Direi unica. Come se provassi qualsiasi emozione nello stesso momento. Non credo sia spiegabile a parole» affermo. Lo vedo annuire e cercare qualcosa in tasca.

«Buon compleanno, sorellina» sussurra, porgendomi un pacchettino rettangolare.

«E questo? Hai già speso troppo per il matrimonio» quasi lo rimprovero.

«Ah, taci! Quello era per il matrimonio, per entrambi. Questo è per te. Ti sposi, ma sei mia sorella da ventisette anni. Non smetterò mai di festeggiarti» dice, saccente. Gli sorrido e, prima di aprire il regalo, mi lascio coccolare un po', prendendomi tutto il suo affetto.

Mio fratello mi è mancato, negli anni. Da bambini, nonostante la leggera differenza d'età, eravamo come il gatto e la volpe. Sempre insieme. Sempre complici. Sempre alleati contro i nostri genitori. La mia storia con Jo, inizialmente, non l'ha presa per niente bene. Francesco conosceva Joseph di nome. Sapeva cosa dicevano in giro le persone e saperlo con la sua sorellina lo faceva imbestialire. Ci ha messo un bel po', prima di accettarlo. Lo stesso tempo che ci ho messo io ad accettare Clarissa quando, pensavo, voleva rubarmi il fratello.

Gli ultimi anni ci hanno allontanati fisicamente, per forza di cose. Città diverse, impegni vari, problemi. Per un po', ho davvero temuto di aver perso la magia del nostro rapporto. Una settimana a Napoli, la prima quando sono tornata, mi è bastata a capire che niente potrebbe mai rovinare questo rapporto.

«Non dovevi» lo rimprovero ancora.

«Oh, ma sta zitta e aprilo. Nemmeno sai cos'è»

«Qualcosa di costoso, vedendo la scatola». Lui scuote il capo e continua a ripetermi di aprirlo. Cedo e spacchetto la scatola, trovandomi davanti una collanina d'oro bianco con un unico punto luce al centro. «Tu sei pazzo» sussurro. «È stupendo» e mi fiondo tra le sue braccia.

Quando sento storie di fratelli che si odiano, che non si parlano da anni, che quasi nemmeno si salutano, penso sempre a Francesco e al nostro rapporto. Penso alla fortuna che ho avuto, quando sono capitata in questa famiglia, con lui come fratello. Penso a come sarebbe la mia esistenza senza di lui e non riesco a immaginarla. Lui, per me, è come una scialuppa di salvataggio.

«Ti voglio bene» sussurro. Lo sento stringermi di più, accarezzarmi un po' i capelli e cullarmi mentre il sole inizia pigramente a fare capolino.

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