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Capitolo 20

JOSEPH

Avete mai avuto la sensazione di vivere la vostra vita dall'esterno? Come se steste guardando un film: voi siete i protagonisti, vi riconoscete, eppure non vi ritrovate in nessun comportamento. Come se non fosse il vostro cervello a prendere decisioni, ma quello di un altro. Come se voi foste vittime inermi e silenziose degli eventi, di ciò che accade, senza riuscire a capire come fermare quello che succede, come risolvere la situazione.

A me è capitato. Anzi, mi sta capitando proprio ora. Da ieri, mi sento lo spettatore indifeso della mia vita. Quello che non sa che fare o, meglio, che saprebbe che fare, vorrebbe farlo, ma nessuno lo ascolta. È come se fossi prigioniero del mio stesso corpo, controllato da qualcun altro che non ascolta le mie direttive.

Ieri Vivi mi ha perdonato e mi ha detto che vuole ancora sposarmi. Dopo il suo pianto liberatorio e teatrale, mi ha dato un bacio ed è scappata via. Forse impaurita che potessi aggiungere altro, che potessi lasciarla comunque. Non l'ho più sentita, dopo quella conversazione surreale.

«Quindi non vuoi sposarla» sussurra Filippo oltre la cornetta, chiedendomi l'ennesima conferma.

«No, Fil, no» sbuffo. «L'avrei sposata, te lo giuro, ma ho capito che l'avrei fatto solo per pulirmi la coscienza... e per fare un dispetto a Sarah» ammetto sottovoce.

«Finalmente hai partorito» esclama teatrale. Sbuffo ancora, ringraziandolo con sarcasmo. «Prego», si compiace lui, «servono a questo gli amici». Mentre borbotta, mi trascino alla porta, per vedere chi suona con tanto impeto.

«Ti richiamo» dico, bloccando il suo flusso di coscienza e pietrificandomi di colpo.

«Che succede? Non liquidarmi» mi rimprovera.

«C'è Sarah» dico semplicemente, facendolo ammutolire e chiudendo la conversazione. Rientro e lei mi segue, timida e impacciata. «Che ci fai qui?» chiedo, fingendo una durezza che non mi appartiene. Non con lei. Vorrei sembrare arrabbiato, ma vederla mi destabilizza e mi ammorbidisce. Lei non sembra accorgersene, comunque. Trema, mi guarda di sbieco e quasi si vergogna. È nervosa, è tesa. È bellissima.

«Mi dispiace» confessa in un sussurro. Finalmente, torno il protagonista della mia vita. Mi sento di nuovo vivo. La guardo, incitandola a continuare e lei non se lo fa ripetere. Non si fa pregare. «Mi dispiace, Jo, sono una stupida»

«Un po'» sorrido appena.

«Il fatto è che... Dio... sono cambiate così tante cose! Quando ti ho lasciato ero davvero convinta. Avevo bisogno di stare un po' da sola, di stare per conto mio, di non appoggiarmi sempre a te. Poi ho saputo di te e Vivi e mi è crollato il mondo addosso»

«Pensavi che ti avrei aspettata?» La mia domanda appare più accusatoria di quel che è. In questo momento, voglio davvero solo capire, ma riuscire a frenare la veemenza non è semplice.

«No, certo che no» dice subito, sicura delle sue parole. «Nonostante ciò che avevi detto andando via, non ho mai sperato in una cosa del genere. Ho sempre sperato nella tua felicità. Ma... con Vivi? Sul serio? Le due persone a cui volevo più bene, che mi pugnalavano così», si ferma un momento, provando a ricacciare indietro le lacrime. «Non è stato facile accettarlo, andare avanti. Mi sono chiusa in me stessa, diventando una cinica stronza capace di dimostrare affetto solo ai genitori e al fratello. Perché, mi dicevo, se voi due, proprio voi due, avevate fatto una cosa del genere, di chi altro potevo fidarmi? Come potevo dare a qualcuno la mia fiducia, se voi due vi ci eravate puliti il culo senza alcuna remora?»

«Perché mi dici questo?» chiedo, provando a capire dove voglia arrivare.

«Perché voglio che tu capisca» afferma, guardandomi negli occhi. «Voglio che tu capisca quanto, per me, non sia facile fidarmi. Non più... è come se mi fossi costruita intorno un muro invalicabile. Eppure, negli ultimi mesi ci sei riuscito. Pensavo non mi sarei più fidata di te, e ho avuto paura. E poi sì, avevo bisogno di stare da sola, è vero... ma non ho mai smesso di amarti, nonostante la mia bocca dicesse il contrario. Insomma, con la bocca si dice tanto. Il problema è che quello che la mia bocca diceva fino a tre giorni fa, quello che ha detto per anni, non ha mai trovato l'approvazione del mio cervello e del mio cuore» frena quel flusso di coscienza, chiedendomi un bicchiere d'acqua e provando a ritrovare un respiro regolare e pacato. La guardo, ed è così bella, così inerme, così spogliata di ogni difesa. Vorrei abbracciarla, ma mi trattengo perché voglio sapere tutto ciò che ha da dire.

«Quindi?» la incito.

«Quindi ti amo, Joseph. Ti ho sempre amato e, credo, lo farò per sempre, anche se non vorrai più vedermi. E insomma, capirei questa decisione, nel caso. Ti ho lasciato così tante volte che forse un tuo "no" me lo merito. Ma sai, e non voglio giustificarmi, tu dici sempre che grazie a me sei cresciuto, che sono migliore di te, più matura, più saggia. Beh, non è proprio così. Io ho aiutato te, ma tu hai aiutato me... dovevo crescere anche io. Devo ancora farlo, sinceramente... vorresti aiutarmi?» e, nel pronunciare l'ultima parola, mi tende la mano. Sorrido appena.

«Sul serio, stavolta? Niente più fughe? Una storia matura?»

«Niente più fughe» ripete, continuando a tenere stesa la mano che, finalmente, stringo, riprendendo un contatto la cui mancanza mi stava facendo impazzire sul serio.

«Ti amo, Sa'». La attiro a me, stringendola senza perdere il contatto con i suoi occhi che si intrecciano ai miei in un sorriso.

«Scusa... per tutto» mormora, seria e dispiaciuta.

«Basta scuse» sentenzio, prima di far toccare le nostre labbra. È tutto così dannatamente bello. Tutto perfettamente diverso. Le sue mani su di me, il suo sapore mischiato al mio e la consapevolezza, finalmente chiara, limpida e visibile a tutti, che non è solo sesso. Che non è mai stato solo sesso. È amore. Un amore che esiste da sempre, che ci ha sempre legati, come due calamite.

La stendo sul letto, mentre continua a sorridere. Le sfilo i jeans e comincio a baciarla. Lentamente, perché dobbiamo goderci ogni momento. Meritiamo di goderci ogni momento. Bacio ogni centimetro della sua pelle nuda, inspirando tutto il suo profumo. Arrivo alla pancia, e le tolgo anche la magliettina rosa, d'intralcio. Lei reclina leggermente la schiena, aiutandomi. E ancora non smette di ridere. Le nostre bocche si toccano, vogliose, pronte a non far finire mai quel bacio. Mi accarezza i capelli, mi sfiora il collo e inizia a sfilare anche la mia, di maglia. Ci lasciamo andare, l'uno tra le mani dell'altra, felici come mai prima.

Il giorno dopo

Esistono momenti che vorresti non finissero mai. Momenti che durano troppo poco. Momenti intensi, bellissimi, dolci, romantici, sexy. Momenti divertenti, gioiosi, allegri. Momenti che aspetti per una vita, a volte. Ho sperato che Sarah mi dicesse ancora ti amo per anni. Ho contato i giorni, aspettato ogni secondo. Ho pianto, da solo, nel buio della mia stanza, pensando che non sarebbe più successo. E proprio quando ero certo che fosse finita definitivamente, proprio quando la speranza iniziava ad abbandonare il mio corpo, eccola, col suo sorriso splendente e quel labbro impaurito e tremolante, a confessarmi il suo amore.

Si può essere più felici? Più sereni e appagati? Credo di no. O, almeno, io stento a immaginare un momento in cui potrei esserlo di più. Magari un giorno, all'altare, con lei che avanza emozionata verso di me. Oppure davanti ai nostri figli. Ma, oggi, è davvero troppo presto per pensarci. Quindi mi concentro su questo, di momento. Uno spaccato di vita perfetto che, ormai, va avanti da ore. Tante ore.

È mattina. Sarah è arrivata qui ieri pomeriggio. Ci siamo barricati in casa e abbiamo staccato i telefoni, per non rischiare di incappare in qualche antipatica interruzione. Avevamo bisogno di noi, di stare insieme, di parlare, di chiarirci, di essere sinceri fino in fondo.

Sono state le ore più belle e travolgenti della mia vita. Lei nuda, avvolta solo dal lenzuolo. I nostri occhi incatenati che continuavano a guardarsi mentre, alle due di notte, mangiavamo una pizza ormai fredda, che ci era stata portata ore prima.

Adesso la guardo dormire. Sorride, come quel giorno, poco prima della tragedia. Eppure, questo sorriso non ha niente a che fare con quello. È serena, è felice. Dorme e, oltre all'irresistibile sorriso che le colora le labbra, sorridono anche i suoi occhi nel sonno. Non smetterei mai di guardarla.

Purtroppo però, i momenti perfetti non sono eterni. Se lo fossero, non li apprezzeremmo tanto. Sono, appunto, momenti, e io, adesso, devo interrompere questo. Perché sono un uomo, perché non voglio prendere in giro nessuno. Non più. Perché devo essere chiaro con Vivi, definitivamente, nel modo più sincero e onesto possibile.

Quindi mi alzo, controvoglia, e inizio a raccattare dal pavimento tutti i miei vestiti. Dopo una doccia al volo, torno in camera e inizio a vestirmi, con lei che continua a dormire pacifica. Prendo un paio di boxer dal comò, li infilo e ci metto sopra gli stessi jeans e la stessa maglia di ieri.

«Che fai?» chiede mugugnando.

«Mi vesto» rispondo ovvio. Mi guarda torva. «Devo uscire» spiego.

«Se prima non mi dai un bacio non vai proprio da nessuna parte, Joseph Carta» mi minaccia.

«Con quella bocca che ancora sa di notte? Non grazie» la prendo in giro, mentre già mi sto allungando verso di lei, sovrastandola gentilmente. Sa che niente di lei mi farebbe mai schifo.

«La delicatezza di un bue» si lamenta, fingendo di soffocare. Poi ridiamo insieme, nel bacio. Un bacio ben più lungo di un semplice saluto. «Sono stata così stupida... ho scelto di rinunciare a tutto questo per anni, senza motivo» si colpevolizza. La accarezzo, baciandole la fronte scoperta e un po' sudata.

«Non pensarci. Forse, ne avevamo bisogno» dico con sicurezza. Perché sì, forse avevamo davvero bisogno di stare un po' lontani.

«Ti amo» mi risponde e so che, in quelle due parole, c'è tutto. La voglia di futuro, la certezza che questa volta sia quella giusta, la volontà di farcela. «Dove vai?» aggiunge poco dopo.

«A parlare con Viviana». Annuisce un po' seccata. «Glielo devo»

«Lo so», ammette, «ma l'idea di sapervi da soli mi innervosisce»

«Davvero? Dopo tutto questo?»

«Non ho paura di qualcosa... è solo nervosismo. È colpa mia se siamo a questo punto. È colpa mia se sei stato con lei per due anni»

«Non pensarci» ripeto. «Doveva andare così». La bacio un'ultima volta ed esco in fretta di casa, così da tornarci il prima possibile. Dieci minuti più tardi, sono già davanti la porta di casa dei suoi. Una casa che avrebbe dovuto lasciare tra poco più di un mese. Busso e la madre mi apre sorridente e sorpresa. E, stranamente, per niente infastidita dalla mia presenza. Possibile non le abbia detto nulla?

«Joseph! Non ti aspettavamo per pranzo» esclama, facendomi entrare.

«Non sono venuto per pranzo. C'è Vivi?» chiedo, dopo un saluto veloce. La donna annuisce e, sorridendo, mi indica la porta della sua stanza, che subito raggiungo. Busso appena e quando la sua voce mi invita a entrare, apro la porta.

«Che sorpresa» esclama, avvicinandosi subito. «Come mai qui?» Vorrebbe baciarmi ma, in modo forse poco carino, glielo impedisco.

«Dobbiamo parlare». Ora mi guarda terrorizzata. «Mi dispiace» dico soltanto.

«Che è cambiato da ieri?» chiede, ancora implorante.

«Tutto, in effetti... ma la cosa importante è che ieri non mi hai fatto parlare, non mi hai fatto rispondere. Sei scoppiata a piangere e, dopo averti consolata, sei scappata via senza darmi modo di chiarire la situazione» quasi mi difendo.

«Avresti potuto fermarmi» attacca lei.

«Hai ragione. Avrei potuto tante cose. Ma, ammettilo, quando non vuoi sentire qualcosa prendi e scappi via. Lo fai sempre. Ma dobbiamo parlare»

«Mi stai dando della codarda? E comunque, non voglio sentire ancora la storiella della tua storia con Sarah, non mi interessa. Vuoi dirmi di nuovo che è l'amore della tua vita? Che senza di lei non puoi vivere? Che te ne freghi di tutto il male che ti ha fatto? Ma come puoi essere così stupido, Jo? Come? Che farai? La aspetterai per tutta la vita? Ti accontenterai delle poche volte che vorrà stare con te?»

«Non che siano affari tuoi» riprendo, infastidito dalle sue illazioni, «ma sì, la aspetterei tutta la vita, mi accontenterei, se me lo chiedesse. Perché la amo. Ma comunque, non ti sto lasciando per lei. Ti sto lasciando per te stessa e per me. Non abbiamo mai funzionato davvero, perché una coppia non funziona se uno dei due non ama. E credo che, in questa coppia, nessuno dei due ami davvero. Comunque, Sarah è tornata. Volevo lo sapessi da me». All'ultima frase, sgrana gli occhi stupita.

«E tu sei subito tornato da lei come un cagnolino» sibila, pensando di ferirmi. Alzo le spalle con fare annoiato.

«Pensala come vuoi. Continua a pensare che mi tratterà di merda, se ti fa stare meglio. Augurami tutta la sofferenza che pensi io meriti. Non mi importa»

«Dici che nella nostra coppia nessuno dei due ama, che in una coppia serve amore, eppure stai tornando con lei...»

Il mio sguardo diventa duro, improvvisamente.

«Io ti voglio bene. Te ne ho sempre voluto, anche quando tutti ti detestavano, ho sempre cercato il buono in te perché, in fondo, del buono c'è, ben nascosto. Ma, per favore, non nominare più Sarah, perché potrei davvero diventare sgradevole» e, detto questo, la saluto, lasciando definitivamente quella casa, sotto gli occhi sconvolti della madre.

Come può non essersi accorta di niente? Mia madre ha sempre saputo cosa provavo, sia per Sarah che per Viviana. Ha sempre saputo quale fosse la strada giusta per me. Davvero la madre di Vivi non ha mai capito che non ero io l'uomo giusto per la figlia?

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