Capitolo 15
SARAH
I compleanni sono strani, non trovate? Ogni anno arriva quel giorno che ti rende protagonista. Un giorno in cui tutti, o quasi tutti, si ricordano di te. Telefonate, messaggi, regali, fiori. Gente che non senti da una vita e che, improvvisamente, si ricorda che esisti grazie ai promemoria di Facebook.
Non è di quella gente, che ho deciso di circondarmi oggi. Quelli li ho lasciati tutti a Milano, quando mesi fa sono scesa a Napoli per due settimane e non sono più tornata su. Amicizie fittizie, gente che non ti conosce e non vuole conoscerti; gente che non sa niente del tuo passato, dei tuoi i gusti, o il nome dei tuoi genitori. Persone che non sanno nemmeno se hai le tonsille o se ti hanno mai tolto l'appendice.
No, non sono loro che voglio intorno, in questo giorno. Li ho avuti per decisamente troppo tempo. Oggi voglio stare con chi mi conosce, con chi mi vuole bene davvero, con chi sa il mio colore preferito, con chi sa che odio il caffè ma potrei vivere di cappuccini.
Ecco perché ho passato la giornata a casa dei miei con loro, mio fratello e Clarissa. Ed ecco anche perché stasera, nel mio mini appartamento, ho riunito tutti gli amici di una vita. Quelli che pensavo di aver perso e che, invece, sono stati pronti ad accogliermi di nuovo tra loro a braccia aperte.
Mentre Filippo, Daniele, Matteo, Diego Gianluca e Joseph scherzano sguaiati in salone, chi seduto sul divano, chi steso sullo spesso tappeto che quasi copre l'intero pavimento, io, Sofia e Veronica siamo in cucina a prendere altro vino. Melissa e Valeria, fuori Napoli per lavoro, mi hanno promesso stamattina una serata tra donne appena torneranno in città.
Sono così felice di essere tornata a Napoli. Mi sembra di aver ritrovato me stessa, mentre ricucivo amicizie decennali messe in pausa dalla lontananza e dagli eventi, e ne costruivo di nuove del tutto inaspettate. Queste ragazze, di cui avevo tanto timore, mi hanno accolta come fossi da sempre una di loro, nonostante l'iniziale, forse solo da parte mia, imbarazzo, e la paura che si sarebbero schierate con Viviana contro di me. Una paura forse adolescenziale, che i primi tempi mi paralizzava.
Con Viviana, ho scoperto nei mesi, non sono mai andate d'accordo. Lei non ci ha mai provato e loro non ne hanno mai fatto un dramma, nonostante il migliore amico dei loro ragazzi la stia per sposare.
«Sarah, ma hai preparato tutto tu?» chiede Diego continuando a strafogarsi e a guardare ammaliato il tavolo pieno di ogni ben di Dio. Sorrido, gongolando un po' per il complimento a cui tutti annuiscono.
«Ovviamente...no» ridacchio, «diciamo che il grosso l'ha fatto mamma» ammetto. Nessuno avrebbe comunque creduto fosse solo opera mia.
«Tua madre è la dea della cucina» esclama Joseph, leccandosi i baffi. Un sorriso dolcemente amaro si disegna sul mio viso. Amava così tanto mangiare a casa mia perché sapeva che mamma gli avrebbe preparato tutto ciò che voleva. Non doveva nemmeno più chiedere.
«Se continuerete a mangiare così vi sentirete male» borbotto, per spezzare quel mio nostalgico pensiero.
«Pazienza, ne vale la pena» affermano tutti in coro.
Ormai sazi, abbandoniamo il tavolo col cibo, quasi completamente vuoto, e ci buttiamo chi sui divani, chi per terra, chi sulle sedie. Filippo è l'unico a rimanere in piedi, mentre smanetta con Alexa e col suo cellulare.
«Che fai?» chiede Sofia, guardandolo sognante. È così sdolcinata.
«Credo sia arrivato il momento di scaldare la serata, sembrate degli zombie» pontifica e fa partire la musica, che avvolge l'intero appartamento. Credo sia leggermente alta, ma l'alcol in corpo e il divertimento che vedo intorno a me, mi impedisce di abbassarla. Speriamo nessuno mi denunci!
***
«Grazie per la splendida serata, ragazzi» mugugno sulla porta, ancora un po' brilla, completamente sfatta, sudata e senza scarpe. Sono le tre di notte, abbiamo ballato per ore.
«Grazie a te» rispondono in coro, felici. Li saluto uno a uno, soffermandomi un po' su Sofia. La stringo, respirando il suo profumo e ringraziando il cielo, o il karma, o chiunque me l'abbia messa davanti. In questi mesi ho davvero capito quanto sia un'amica preziosa.
«Toscano, devo essere geloso?» si mette subito in mezzo Filippo. Ridacchio e mi precipito su di lui, elogiandolo un po'. Rimarrà sempre e comunque lui, il mio migliore amico. «Ho i miei dubbi» risponde alle mie lusinghe, «ma farò finta di crederci». Sorrido anche io, ancora, e li saluto per un'ultima buonanotte prima di vederli sparire in gruppo oltre la rampa di scale che percorrono in silenzio per non svegliare l'intero condominio.
«Ti aiuto». Joseph è dietro di me, anche lui scalzo, che aspettava questo momento. È rimasto, ha aspettato che tutti andassero via.
«Non preoccuparti, ci penserò domani. Vai, se vuoi...» sussurro.
«E se non volessi?»
Rimane a osservarmi per qualche secondo, come se volesse imprimersi nella mente quella mia immagine sfatta, terribilmente reale e vera, dopo una serata passata a mangiare, bere, ballare. Ormai, vedermi in queste condizioni non è più routine, come poteva esserlo a diciotto anni, e a lui sembra quasi mancare questa me.
Quei pochi secondi passati a scrutarci con sguardo bramoso, si trasformano in un bacio eccitato e profondo. E, come sempre, non possiamo farne a meno. Non riusciamo a stare lontani. Voglio il suo corpo su di me. Voglio sentirlo che mi invade. Voglio il suo sapore in bocca e il suo odore addosso. Ma non voglio lui.
Sono contraddittoria e maledettamente infantile, lo so. La verità è che sono stata troppo male. Per la fine della nostra storia, nonostante fossi sicura e convinta, e per tutto quello che c'è stato dopo.
«Voglio farlo nella doccia» sussurro, eccitata. Lui mi guarda famelico e mi prende in braccio, continuando a baciarmi un po' ovunque.
Ormai non ho più paura di sperimentare. Non con lui, almeno. Nei mesi abbiamo trasformato in realtà ogni fantasia, soprattutto dopo capodanno. Sesso in macchina: fatto. Sesso in ascensore: fatto. Sesso sulle scale: fatto. Sesso a casa dei miei: fatto. Sesso in spiaggia, e non solo la nostra spiaggetta: fatto e rifatto. E poi in ogni stanza a casa di Diego, quando ci siamo offerti di andare noi a ripulire dopo l'ennesima festa. Nel bagno del nostro pub di fiducia; nel privé della discoteca in cui Filippo ha festeggiato il compleanno. Ovunque, ogni volta che Vivi spariva, o anche quando era presente, ignara di ciò che succedeva a pochi metri da lei. Spariva dalla circolazione e, quando c'era, spariva dalle nostre menti.
La cosa strana? Che ho smesso di sentirmi in colpa. Forse, fosse stata un'altra, anche una sconosciuta, non avrei continuato. Ma è lei. E ricordate il discorso fatto a Joseph dopo le prime volte? Che non ero così stronza, così egoista, da fare una cosa del genere a quella che, per anni, era stata la mia migliore amica? Beh, è andato a farsi benedire insieme a tutte le promesse di smetterla.
Eppure, non lo faccio per fare un dispetto a lei. Potrei giurarlo su mia madre, se me lo chiedessero. Sarebbe più facile, se fosse solo una ripicca verso una stronza. La verità è che ne ho bisogno. Un bisogno quasi vitale. Sento l'esigenza fisica di sentirlo mio, almeno così. Perché so di non potergli dare altro, di non voler tornare con lui. Non posso rischiare di farlo soffrire ancora, ma ne ho bisogno come fosse una medicina.
Il getto caldo dell'acqua ci avvolge. Io contro le piastrelle, in piedi. Joseph inginocchiato davanti a me che gioca magistralmente col mio corpo. Non è quello che voglio ora, però. Non voglio preliminari o giochetti, per quelli c'è tempo. Lo costringo a rialzarsi.
«Entra dentro di me» gli ordino e lui non se lo fa ripetere due volte. Mi prende in braccio, lega le mie gambe intorno al suo bacino e comincia a spingere, eccitato e bramoso di arrivare al piacere insieme a me. Uniti da qualcosa di così sbagliato, così ingiusto, così fuori tempo, eppure così semplicemente perfetto.
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