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Rientro

Boston, 2 Maggio 2012

Aeroporto Internazionale Generale Logan

Rabbrividii nel giacchino leggero scendendo le scale dell'aereo e respirai l'aria fresca. Finalmente a casa. E finalmente un raggio di sole. Dopo 4 giorni consecutivi di pioggia a Cape Town mi sentivo l'umidità attaccata alla pelle. Boston mi salutava coi suoi 14 gradi ventilati e un sole velato che faceva capolino alll'orizzonte. Mi tolsi una ciocca di capelli castani dal volto ed entrai nel bus che mi avrebbe portato al Gate. Avviai lo smart phone e controllai i messaggi. Scrissi ai miei genitori che il volo e l'atterraggio non avevano dato problemi e mi persi a controllare le mail. Ci vollero oltre 35 minuti prima che le nostre valigie facessero capolino. In aereo avevo dormito meno di 4 ore ed ero davvero esausta. Per fortuna avevo il weekend per riprendermi. Salutai come una buona notizia il fatto che non ci fossero mail sulla casella del MIT, presi la mia valigia e mi inoltrai nell'aereoporto di Boston. Era una bella sensazione camminare dopo tutta quell'immobilità. Mi sentivo libera. Mi sgranchii il collo. Controllai l'ora: 6.45. Mia madre rispose al mio messaggio puntuale. La immaginai già in piedi intenta a prepare pancakes. Quel pigrone di mio fratello probabilmente era ancora addormentato e papà perso nel tablet nella toilette approffittando della calma prima della tempesta.  Sorrisi. Un po' mi mancavano, ma nemmeno troppo. Il Montana sembrava lontano miglia da Boston. Un altro universo. Un'altra vita. Più tranquilla forse, ma non la rimpiangevo. Amavo la mia indipendenza. La guardia mi restituì il passaporto. La ringraziai con un cenno e proseguii lungo il corridoio. Sapevo che nessuno era lì ad aspettarmi, ma avevo la mia auto nel parcheggio custodito dell'aeroporto. Mi concentrai sulla borsa cercando la ricevuta del parcheggio e le chiavi.

-Rachel  Wright? - una voce mi chiamò  qualche passo più avanti . Alzai gli occhi. Un trentenne occhialuto coi capelli leggermente spettinati e un impermeabile si stava sbracciando cercando di attirare la mia attenzione.  Mi avvicinai per cortesia. Feci un cenno di saluto e studiai il cartellino.  Ispettore Jamson, Boston Police Departement. Lo lessi due volte incredula. Quindi alzai gli occhi verso di lui.

- Sono io, mi hanno appena controllato il passaporto, c'è qualche problema?- feci sulla difensiva. Gli allungai il documento, lui lo guardò un attimo e poi annuì.

-Signorina dovrebbe seguirmi gentilmente. - fece segnandomi la direzione.

- Mi scusi , ma io ho la mia macchina da ritirare al parcheggio custodito- protestai.

- Mi dispiace , al momento deve seguirmi in centrale- aggiunse lui. A quelle parole mi bloccai. Il cuore perse un battito. - Tornerà più tardi a prendere l'auto- aggiunse.

- Mi scusi, non posso passare dopo? Ho dormito 4 ore, la prego, le prometto che non andrò da nessuna parte. Verrò sicuramente a chiarire l'equivoco- aggiunsi implorandolo.  Lui mi tirò da parte.

- Le spiegherò a breve, il suo aiuto è essenziale, la prego, non qui- aggiunse.  Io sospirai e accossentii a seguirlo.

-Ispettore Jamson, posso sapere almeno se sono in arresto e per cosa? - dissi dopo che eravamo saliti in auto. Lui sorrise.

- Non è in arresto- disse soltanto. Mi persi un attimo a guardare le sue labbra asciutte e il suo sorriso sincero. Si sistemò di nuovo gli occhiali. - Il mio collega appena arrivati le spiegherà tutto- aggiunse. - Come le ho detto ci serve il suo aiuto, in un'indagine molto delicata... un possibile omicidio- si lasciò sfuggire.

- Io ero in Sud Africa fino a 15 ore fa- gli ricordai.

- Da una settimana... si, lo sappiamo. Stia tranquilla. Non è accusata di nulla, solo che non abbiamo tempo da perdere- disse sotto pressione.Io annuii e mi persi a guardare l'aeroporto che si allontanava, insieme alla mia giornata perfetta. Non facevo che ripetermi: "I miei sono a casa e stanno bene".  Notai sovrappensiero la sagoma del Bunker Hill Monument ergersi in lontananza dritta come uno spillo verso il cielo terso. Sospirai a fondo quando smontammo e ci inoltrammo in una rumorosa centrale di polizia nel distretto di Charlestown.

L'ispettore Jamson mi fece strada e mi fece accomodare in una sala spoglia con un tavolo e poche sedie. Il suo collegava ticchettava sul tavolo con una penna e nel vederci alzò gli occhi al cielo.

- Il volo era in ritardo ed è l'ora di punta- si giustificò.

- Sempre il solito, Set ! Perchè pensi di avere una sirena in auto? - sospirò. 

-Non volevo spaventare la signorina Wright- si giustificò lui. Poi si alzò e mi fece un sorriso. -Piacere , Ispettore capo Sullivan - mi strinse la mano con una presa forte e decisa. Era poco più alto di me e abbastanza tarchiato, ma per qualche motivo mi incuteva timore. - Mi dispiace averla prelevata con così poco preavviso, signorina Wright - si scusò. In realtà il preavviso era stato nullo. - Abbiamo saputo dalla sua università che si trovava all'estero- aggiuse.

-Come dicevo al suo collega sono stata in Sud Africa tutta la settimana- ammisi.

-Ha fatto buon viaggio?- chiese guardandomi dritto negli occhi.

- Si- risposi secca. Cosa centrava?

- Signorina Wright, lei riconosce questa auto?- ruppe gli indugi infine. Io guardai attentamente la foto. Era una berlina di colore neutro, nella semi oscurità avrebbe potuto appartenere a chiunque. Era per metà coperta dall'acqua scura di quello che sembrava un canale. Sullivan mi mostrò un'altra foto più da vicino. Rimasi impietrita. Riconobbi il robottino adagiato sopra al baule dell'auto. Mi squadrava immobile da quel vetro. Io sapevo bene dove l'avevo già visto, nell'ufficio della mia responsabile al MIT: ne aveva una copia identica. Per qualche motivo impiegai più di un minuto per rispondere. - E' l'auto di Mrs Collins- dissi infine con un tono basso e cupo. Cosa ci faceva la sua auto in un canale?       

- Quando ha sentito per l'ultima volta il suo capo?- chiese Jamson.  Chiamarla capo mi faceva molto strano. Lei aveva sempre voluto che le dessi del tu e che la chiamassi Lily. 

-Prima di partire- risposi sicura.

- Era normale che non la sentisse durante le trasferte?- continuò Sullivan.

- Non c'era una regola, se aveva bisogno chiamava- alzai le spalle. 

-L'ultima volta che l'ha vista cosa le ha detto?-  chiesi Jamson.

- E' stato la sera prima di partire , mi ha detto che aveva bisogno che le mandassi l'autorizzazione per usare la mia firma -  riportai. Le loro facce erano stranite. - Capita a volte per articoli di giornali si mette la firma di più persone , del team che ci sta lavorando, ci vuole l'autorizzazione. - spiegai.

- Quindi le ha dato questa autorizzazione?- chiese Sullivan.

- Sì, l'ho firmata e gliel'ho mandata via mail, ho il portatile se volete controllare...- aggiunsi.

- Non è necessario- rispose subito lui.

- Le è sembrata agitata, diversa dal solito?- chiese Jamson. Ripensai a quella telefonata.

- No, solo un po' stressata forse, ma Lily, cioè Mrs Collins era stressata molto spesso: il suo lavoro è spesso frenetico e implica grandi responsabilità- ammisi.

- Non lo mettiamo in dubbio- annuì Sullivan. Stavano entrambi prendendo appunti , poi alzarono la faccia verso di me.

- La sera successiva la sua partenza abbiamo ricevuta una segnalazione di un incidente stradale  sul ponte di Longfellow. Un'auto ha distrutto il muretto ed è finita sulla riva del fiume. Si tratta dell'auto che le ho mostrato- descrisse Sullivan. Rimasi allibita a guardarlo. Mi tremavano le mani.

- Lei è...- non riuscivo a terminare la frase.

- C'era sangue sul volante, ma non tale da far pensare che sia morta, al nostro arrivo l'auto era vuota, stiamo battendo ogni pista.- spiegò Jamson.

- Avete interrogato tutti all'università?- chiesi allora cominciando a capire. 

- Esattamente, ma sembra che nessun sappia gran che.  Però la scientifica ci ha restituito questa porta documenti che è indirizzata a suo nome. Era nel baule dell'auto e in buone condizioni. E' sua questa cartellina? L'ha mai vista?-   Sullivan me la mostrò imbustata.

- No , mai vista prima , mi dispiace- ammisi perplessa.

-E come mai la professoressa ha scritto il suo nome?- insistette il detective.  Non ne avevo la più pallida idea.

-Non era qualcosa di concordato- ammisi. Loro annuirono.

- Bene, direi che è ora di aprire questa cartellina, le impronte sono già state prese e tutti i fogli interni sono stati imbustati, proceda pure signorina- aggiunse  Sullivan. -Jamson puoi occupartene tu? Io ho bisogno di un caffè- disse Sullivan alzandosi. Lui annuì prese la sedia e la portò dal mio lato. 

Mi tremavano le mani.Cosa poteva avermi lasciato, Lily? Perchè? Ero pentita di non averle chiesto nulla quella sera. Ero pentita di non averla mai cercata. Adesso forse non l'avrei mai più rivista. Era orribile. Non avevo mai pensato la morte come qualcosa di vicino, di possibile, di presente era sempre stato qualcosa di lontano, di sussurrato. In famiglia non se ne parlava molto. Il nonno era morto prima che papà si sposasse e non era qualcosa di cui amasse parlare. E anche quando nonna ci parlava di lui aveva sempre un bel sorriso, mai una sola lacrima. L'irruenza di quella sparizione invece mi inquietava: era qualcosa di improvviso, non programmato, per certi versi imprevedibile.



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