Due volti?
N.B. Questa fanfiction nasce dalle incomputabili seghe mentali di _Wise_Girl_08 (l'avreste mai detto?), l'unica donna su questo pianeta in grado di dire: "Ehi, io sono quasi uguale ad L (per qualsiasi persona ignorante qui approdata, è un personaggio di Death Note), e Lea è il mio alter ego. Quindi, Lea è L!" E niente, quando la tua amata ti chiede una fanfiction a tema più simile a un pasticcioso crossover ibrido (non è che sono troppo aggettivale?) non puoi che assumerti questo gravoso incarico. Giusto perché sappiate che dietro a tutto questo disagio non ci sono io, ma lei. Have a good reading.
Nota: la revisione è sempre qualcosa che si procrastina.
***
Lea, sbuffando, chiuse la chiamata. Si stava guardando l'orecchio destro, come per fulminare qualcuno, anche se era da sola.
Afferrò una freccetta dalla scatolina sul tavolo e la scagliò, come al solito, contro la foto di Headstrich appesa sul muro.
Niente, a quanto pare esisteva una legge fisica che costringeva quella direttrice a chiamare proprio lei ogni volta che si trovava per le mani un caso investigativo interessante.
Col tempo stroncare altre due lettere al suo nome e trasformarsi in L era divenuto il suo passatempo preferito. Peccato che non ci si potesse strappare dal braccio lo Stemma Bianco.
Ma, dopo aver bofonchiato insulti svariate volte, si convinse a togliersi l'illusione maschile e riattivare l'auricolare. Chiese un trasferimento all'Agenzia, e la voce "kukan ni yugami ga shojiru sanbyokan ni, nibyokan ni, ichibyokan ni..." partì.
Visto che passava tanto tempo in Giappone aveva deciso di nipponizzarsi a dovere e impostare anche l'auricolare in giapponese del 21° secolo, purtroppo le frasi erano state tradotte con un Google Translate del 22°. Che, nonostante un secolo di sviluppo, era ancora pessimo; e lei lo capiva, perché aveva già imparato perfettamente il giapponese (come era naturale tra gli Agenti, in un'ora). E purtroppo, perché quel software si potesse definire per lo meno decente la Terra avrebbe dovuto aspettare il 37° secolo. Poco male.
Le pareti d'aria della realtà si compressero, si contrassero, si distesero e si allargarono, finché Lea non fu circondata dal familiare ambiente dell'Agenzia.
Si ritrovò nella propria stanza, come sempre.
Dato che non era ancora molto invogliata ad incontrare Headstrich, si buttò sul letto di peso. Sentì il lenzuolo ruvido strusciarle contro, dandole una sensazione di fastidio.
Un momento, perché i vestiti non attenuavano quel tocco scabro, quando avrebbero dovuto?
Si tastò le braccia e i fianchi. Proprio come sospettava: aveva indosso soltanto il costume da bagno. In effetti, prima di mettersi l'illusione maschile, mascherandosi da L per andare in Giappone, si era presa una piccola pausa riflessiva al mare. Ammesso che schizzare a morte Thomas ed affogarlo nelle acque di una baia maldiviana si potesse definire "riflessivo", ma di sicuro la calmava e le impediva di strangolare e affogare, invece, Headstrich.
A dirla tutta, visto che l'allettava l'idea di far esplodere Headstrich e punzecchiarla con un'argomentazione logica inattaccabile (improvvisata a tavolino), decise di rimandare ancora la capatina al suo ufficio.
Così si mise un abito leggero, il minimo indispensabile per non attirare occhiate su di sé nei corridoi, e uscì.
Andò dritta per un lungo tratto e poi svoltò a destra. Quando spalancò la porta, trovò la piscina dell'Agenzia, un esteso rettangolo di acqua cristallina identico alla scorsa volta.
Le lampade sul soffitto di quell'enorme stanza illuminavano l'acqua, che rifletteva e proiettava su tutte le pareti un alone blu notte (come le mattonelle), solcato da curve bianche irregolari. Ma la cosa migliore era che non si sentiva odore di cloro.
-Ah, io ti chiamo e tu ti sollazzi così.
Headstrich era lì, sulla soglia della stanza, tutta vestita formale, facendo un certo contrasto con Lea.
-Ci credo, mi chiami sempre dopo che ho fatto fatiche immani. - "Perché sì, Thomas quando vuole ne ha di forza, serve parecchio impegno per punirlo degnamente."
-Perché io capisco intuitivamente quando sei stanca. Scusami, Maestà.
Lea alzò li occhi al cielo mentre si aggrappava al bordo davanti a Headstrich, pronta a spingersi fuori dall'acqua. -Non ti scuso.
Con addosso lo sguardo sbigottito di Headstrich, riafferrò l'abito (tutto bagnato e spiegazzato) e se lo rimise.
Passò di fianco ad Heastrich stessa, senza neppure guardarla. Si era già stufata della piscina, magari sarebbe tornata ad occuparsi di Kira. Perché sì, quel caso le stava dando parecchi grattacapi; ma alle Maldive, mentre Thomas era seduto su un'amaca a dormire (prima che si svegliasse, le colpisse il naso stiracchiandosi e lei lo scagliasse per vendetta in mare), aveva avuto modo di elaborare un piano.
-Non puoi permetterti di fare così! - urlò Headstrich.
Lea, tutta calma, le rispose: -Davvero? Eppure è proprio ciò che sto facendo. - Poi si rivolse al suo orecchio destro (cioè, al suo auricolare): -Tokyoni kite kudasai.
La voce della distorsione dell'Iperspazio si ripresentò, mentre Headstrich sbraitò cose che Lea non riuscì a sentire.
E poco dopo era di nuovo in quell'appartamentino angusto.
Si diresse al bagno, buttò nel cesto della roba da lavare l'abito ed afferrò il phon. Dopo essersi dovutamente asciugata, reindossò l'illusione maschile.
Mentre tornava in salotto, pensò profondamente.
Kira era un criminale tosto, e parecchio pericoloso per la linea temporale. La stessa Agenzia intendeva dargli la caccia, anche se non lo considerava un caso prioritario. Lea si chiedeva insistentemente, perché? Macchinazioni di Headstrich? Eppure Kira era chiaramente pericoloso, perché uccidere tutti i criminali avrebbe completamente stravolto la linea temporale.
Inoltre bisognava essere molto cauti, perché se davvero poteva uccidere in quella maniera così subdola, pressoché nessuno poteva dirsi al sicuro. Neanche Lea.
Si stese sul divano, mentre cominciava a delineare il piano.
C'era un intero pianeta in cui cercare: non doveva fare altro che restringere il campo fino a trovare Kira stesso.
Un buon punto di partenza sarebbe stato: da quale paese veniva?
Tutti quei decessi per arresto cardiaco erano sparsi per il globo, ma qual era stato quello scatenante?
Lea capì che innanzitutto doveva raccogliere informazioni. Aveva bisogno che l'Agenzia le desse accesso agli archivi delle morti. Erano i più nascosti, ma a lei avrebbero sicuramente dato il permesso.
Beninteso, non l'avrebbe chiesto ad Headstrich. L'avrebbe preso sgomitando.
A quanto pare aveva indossato l'illusione inutilmente. Ma d'altra parte, non aveva ancora elaborato il piano e pensava sarebbe rimasta là in Giappone, evidentemente a torto.
Così se la tolse; poi raggiunse la cassettiera accanto al letto e ne sfilò una maglia e un paio di pantaloni. Li indossò rapidamente, poi si toccò l'orecchio e pronunciò l'ordine di trasferimento. L'Iperspazio si distorse e lei si ritrovò nella sua cara vecchia Agenzia, alla sezione degli archivi.
Spalancò la porta, e si ritrovò in quel luogo immenso. Una stanza gigantesca, solcata da decine e decine di lunghe librerie, alte forse venti scaffali. E la cosa più impressionante di quel luogo era che veniva espanso continuamente.
Passò davanti al bancone all'ingresso: le bastò scoccare uno sguardo un po' severo al segretario perché le desse un cenno d'assenso. Lo vide articolare "vai pure", ma lei, come le era consueto, non si degnò neppure di annuire.
Mentre passava nella prima corsia, dedicata ai resoconti dell'Agenzia, socchiuse un secondo gli occhi per ricordarsi che doveva parlare in giapponese. Poi sussurrò la frase, chiedendo l'ubicazione del documento che le serviva.
Storse le labbra in un'espressione di disgusto. Quel traduttore costruiva frasi così schifose che un madrelingua giapponese di quell'era avrebbe vomitato. E pesantemente.
Il reparto, a quanto pare, era piuttosto lontano da là: avrebbe dovuto percorrere un'ottantina di file, e cercare in una zona di una trentina di corsie. Maledì gli archivisti che non registravano le ubicazioni esatte dei documenti, e si avviò.
Non sapeva proprio come avrebbe fatto se non fosse stata un'Agente: qualunque essere umano sarebbe morto dopo aver percorso quello spazio, considerando anche che ogni libreria si estendeva per una lunghezza di almeno dieci metri. A conti fatti, includendo anche gli spazi tra le suddette librerie, avrebbe percorso più di un chilometro.
A quanto pare c'era altra gente nell'archivio: a una corsia di distanzia, a sinistra, Lea udì un suono pesante contro il pavimento. Una pallone da basket.
Storse il naso, amareggiata: l'Agenzia poteva essere un covo di superuomini dal QI incalcolabile, ma alcuni Agenti restavano decisamente infantili e stupidi. Se qualcuno con quel pallone avesse fatto casino avrebbero avuto parecchio lavoro da fare. C'erano infiniti schedari in quegli scaffali.
Lea li ignorò e continuò a percorrere corsie su corsie, anche se le vibrazioni provocate da quel pallone si facevano sempre più fastidiose a forza di sentirle. Tanto che a un certo punto Lea vide, con la coda dell'occhio, un volume nero e sottile cadere. Ma non ci si soffermò, e continuò la sua avanzata.
Settanta corsie.
Settantuno.
Settantadue.
Settantatré.
La palla continuava a rimbalzare, violenta.
Settantaquattro.
Settantacinque.
Settantasei.
Settantasette.
Sebbene non fosse stanca le sembrava di camminare da un'eternità, quando con tutta probabilità erano passati solo quindici minuti.
Settantotto.
Settantanove.
Lea sussurrò nell'auricolare che il fascicolo che cercava si illuminasse.
Ottanta.
Ed eccolo lì: una lastra digitale, su uno dei ripiani bassi, risplendeva di una flebile luce verde.
Bene, Kira adesso era nei guai.
Lea prese la lastra, che tornò al classico colore trasparente.
Si voltò per fare ritorno, ma non vide un orizzonte infinito che fuggiva fino ad un'entrata che da lì non poteva vedere, come si aspettava.
Davanti a lei, in fondo alla corsia, c'era qualcuno. Non ne vide la faccia, perché era vestito con un costume da lupo.
E con la mano destra palleggiava. Con un pallone da basket.
Lea rimase con lo sguardo paralizzato.
-Addio, - disse il tipo, senza che la bocca del costume si aprisse -Leggenda.
Enfatizzò tantissimo la prima lettera, ma Lea fu troppo presa dall'evento successivo per dar peso alla cosa.
Vide il pallone esplodere.
La bomba fu tanto potente che fu scagliata all'indietro, in fondo alla corsia. Mentre volava, udì un fastidioso ronzio, debolissimo in confronto alla forza che la scagliò indietro.
Per fortuna, essendo un'Agente, la spinta non la danneggiò più di tanto.
Il vero problema era che adesso era stesa a terra, mentre il tipo correva rapidamente via e tutte le librerie si erano messe a vacillare e i tablet a cadere, scrosciando a terra e frantumandosi.
Non perse un istante a deciderlo: si alzò di scatto (a una velocità possibile soltanto a lei) e iniziò a rincorrerlo.
Poté immediatamente sentire, in lontananza, le librerie che crollavano con frastuoni metallici frastornanti. Per fortuna le due tra cui stava correndo rimanevano abbastanza stabili, ma di certo non avrebbero retto a lungo.
Difatti, Lea avvertiva già dietro di sé la cascata di tablet che, giunti al suolo, esplodevano in quintali di cocci che ricoprivano il pavimento e arrivavano perfino a pungerle le gambe. Doveva correre più veloce, sprintò continuamente: altrimenti non solo si sarebbe tagliata in ogni parte del corpo, ma non avrebbe neanche preso quel bombarolo.
Ma poi un tablet la colpì crudamente sulla spalla.
Lea urlò per il dolore: doveva venire da un ripiano alto, per essere riuscito a farle del male.
E non solo: quando si guardò la spalla, vide chiaramente che c'era una larga ferita che attraversava tutta la larghezza della spalla stessa.
Resistette al dolore: era un'Agente e non poteva lasciarsi sopraffare da una tale inezia.
Per fortuna riusciva lentamente a guadagnare terreno, vedeva chiaramente la distanza tra lei e il bombarolo accorciarsi. Ora poteva quasi sentire il suo fiato.
Si girò, vedendola. Lea, mentre continuava a vedere i tablet cadere e le librerie rovinare al suolo, non vide alcuna espressione visto che era mascherato, ma immaginò che stesse grugnendo frustrato.
Ma una cosa la vide, che estrasse da una tasca del costume un foglietto e con una penna (che non capì da dove fosse uscita) cominciò a scrivere.
Qualunque cosa stesse scrivendo, pensò, non servirà a molto. Perché, mentre un'altra libreria crollata rimbombava per tutta l'immensità dell'archivio, e un altro tablet in caduta libera sfiorava Lea, era arrivata a meno di un passo di lui. E lui sicuramente se ne era accorto.
Lea lo placcò.
La penna gli cadde dalla mano, rotolando lontano da lui.
Si ritrovarono distesi sul pavimento, poco fuori dalla corsia.
Lea era distesa sopra il tipo, digrignando i denti e bloccandolo con le braccia. Difficilmente avrebbe resistito alla forza di un'Agente.
-Ora riceverai un'adeguata punizione - emise Lea.
-Non credo proprio - disse il tipo. E con uno scatto di potenza si rialzò, facendo barcollare Lea. Lui ne approfittò, bloccandola a terra a sua volta. Le posizioni si erano invertite.
Lea, distesa lì, schiacciata contro la superficie, aveva gli occhi sgranati dalla sorpresa. Anche quel tipo era un alius.
Tentò di fare forza per bloccarlo ancora una volta. Ma non ci riuscì: era davvero forte, persino per un Agente.
-Tanto morirai comunque tra più o meno dieci secondi - la informò.
Cosa intendeva?
-Kyse, sei un idiota. Sai che non funzionerà.
Alzando gli occhi confusa, Lea vide che a parlare era stata una creatura sospesa con delle ali a mezz'aria, dall'aspetto umanoide, vestita di una giacca nera, coi capelli rizzati e collane e catene dappertutto.
-Che intendi, Ryuk?
Nella vita di cose ne aveva viste, ma questa le mancava.
-È un'alius, genio. Il quaderno della morte funziona solo sugli umani.
Quaderno della morte?
Lea però non approfondì la domanda: semplicemente, approfittando del suo momento di distrazione, scattò in piedi e velocissimamente gli afferrò la testa, mandandola a sbattere contro al muro.
Poté udire il suo lamento spezzare quella rapidissima scena, nonché scorgere qualche goccia di sangue.
Come alimentata da quel dolore, con un ghigno sbatté la testa di nuovo.
-Idiota come sempre, che ti fai cogliere alle spalle così - disse Ryuk da dietro, con un tono abbastanza rassegnato. Non sembrava affatto intenzionato ad aiutarlo in qualche modo, nonostante fosse chiaramente con lui.
Lea non se ne preoccupò, chiunque fosse. Sbatté la testa ancora e ancora, lasciando che ogni lamento le posasse un sorriso sulle labbra.
Ma a quanto pare quel tipo non era abbastanza indebolito, perché si girò di scatto e colpì con un pugno Lea in pieno volto.
Ed era un colpo molto, molto forte.
Nonostante la super-costituzione, Lea venne completamente stordita. Si staccò da lui e istintivamente si portò una mano al naso, così dolorante che pareva pulsare.
Poi arrivò un secondo pugno, persino più forte, che mise definitivamente Lea fuori combattimento.
-Tanto non ricorderà niente! -esclamò Ryuk. -Ora and... - ma Lea non sentì il resto della frase, perché rovinò a terra distrutta dai due colpi.
Con la vista sfocata che le restava, vide i due allontanarsi lungo la corsia. Poi perse i sensi.
Fu tutto nero per un po' di tempo. Neanche ricordò se e che sogni fece.
Dopo tutto questo, si risvegliò nell'infermeria dell'Agenzia.
Si guardò attorno, ricordando lentamente tutto ciò che era successo e rendendosi conto di aver affrontato un avversario piuttosto pericoloso. Infatti, tantissimi letti lì attorno erano vuoti, perché quell'infermeria veniva usata così di rado.
Un'infermiera era davanti al suo letto a farle da guardia. Quando parlò, Lea, che non aveva notato la sua presenza, sospirò (avrebbe sussultato, se ne avesse avuto la forza).
-È tutto okay. Devi solo riposarti, guarirai tra un giorno.
Lea non riusciva a parlare, era troppo debole. Ma comunque l'infermiera (lo sapeva o no?) si congedò con un sorriso, senza aspettare che lei rispondesse.
La seguì con lo sguardo mentre camminava lungo la sala, fino alla porta d'uscita.
Poi si perse subito nel mare della sua mente.
L'archivio con tutta probabilità era andato distrutto, e con tutti quei tablet in frantumi Lea dubitava avrebbero potuto recuperare molti dati. Con la bomba esplosa proprio in quel reparto, forse dei resoconti sul Giappone non sarebbe rimasto niente.
E dato che il bombarolo era arrivato fin là, pensò Lea, doveva aver scelto l'obiettivo in anticipo.
Che ci fosse qualcosa di importante lì, proprio mentre lei indagava?
Per confermare l'ipotesi, pensò all'ora a cui aveva sentito che gli omicidi erano avvenuti.
Rispetto al Giappone, quasi tutti dopo le 2, in orari tra le 3 e le 5...
Come se prima di quell'ora non si potesse uccidere.
E se fosse stato un lavoratore? O comunque qualcuno che aveva un'occupazione di mattina?
Restringendo così le possibilità, Kira era probabilmente asiatico: indonesiano, giapponese, australiano, coreano o vietnamita.
E questo non faceva che confermare la teoria.
Lea, nonostante la debolezza, sorrise.
"È il momento di testare" pensò. Aveva già elaborato un piano per quando avesse avuto abbastanza sospetti su un paese o una regione. "E io direi di cominciare proprio dal Giappone."
Il primo passo verso Kira era stato fatto.
Era un peccato che non potesse fare il secondo ora, ma doveva aspettare di rimettersi in sesto. Che cosa umiliante per un'Agente.
Passarono due giorni nella noia più totale. Lea non fece altro che pensare, cercando ossessivamente di dedurre nuove informazioni su Kira, ma non ci riuscì, perché persino per un Agente erano troppo poche.
Ogni volta che l'infermiera le passava davanti era sorpresa. -Possibile abbiano fatto così tanto male a un'Agente?
Finalmente, però, al secondo giorno fu dimessa.
E dopo essersi congedata in fretta dall'infermiera, non perse tempo a chiedere il trasferimento spaziotemporale nel suo appartamento in Giappone.
Mentre l'infermiera, nel cronospazio, era rimasta di stucco, Lea aveva i piedi sul tatami, nella sua cara vecchia casetta.
-D'accordo, Kira. A noi due. - disse Lea. -Ora affronterai l'ira di L.
Indossò la solita illusione maschile e si sedette sul divano, raccogliendo le gambe in avanti.
Accese il computer che aveva alla propria sinistra ed aprì l'applicazione del registratore.
Quel messaggio sarebbe arrivato ai potenti di tutto il mondo, e quel duello Kira-L sarebbe cominciato.
Lea non poté fare a meno di sorridere.
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