Capitolo XIV
Da quando Björn ebbe quel sospetto su Saul, la sua vita divenne un inferno. Dubbi e paranoie lo avevano assalito. Saul era rimasto sempre piuttosto sulle sue, misterioso, distaccato, ma secondo lui, non era in grado di compiere certi atti. Era più probabile che rispondesse al profilo Sven, piuttosto che Saul, ma come uno sciocco, Björn non gli fece neanche delle domande, senza poter costatare se lui avesse o meno un alibi.
Sono stato proprio uno sciocco. Si disse. Era piuttosto severo con se stesso anche se non lo dava a vedere. Voleva arrivare a capo di quella questione e, in un modo o nell'altro, ci sarebbe arrivato. Era un tipo che non si dava per vinto facilmente. Dalla morte di quell'ultima vittima, alla questura tanto cara, Björn aspettava Saul sotto casa. Tutte le mattine. Aveva creduto alla storia di Saul e ogni giorno lo accompagnava fino allo studio. Più volte Saul gli aveva chiesto il motivo e più volte Björn gli rispondeva che era solo per vederlo, nonostante insistesse sempre per salire e adocchiare il suo studio. «Oggi non la scampi! Oggi mi fai salire e mi farai vedere il tuo studio.»
«Piano con questi imperativi, piano. Va bene oggi ti farò salire. Mai vista così tanta fretta nel vedere lo studio di uno psichiatra.» Saul era sempre molto cinico, ma non era arrabbiato con Björn, sapeva che stava facendo il suo lavoro. Però, per lui, quella situazione si era trasformata in una totale condanna. Non potendo uscire si dissociava in casa, più spesso di prima, dormiva meno delle scarse tre ore e come se non bastasse doveva passare del tempo, inutilizzabile, nel proprio studio.
che seccatura. Pensò. Era contento di vedere il suo amante, ma non di vederlo così forzatamente, non in quelle circostanze.
Di fatti faresti bene a ucciderlo! Io farei bene a ucciderlo. È inutile che ti fai tutti questi sensi di colpa verso tuo fratello, quando la colpa è solo di Björn. Se lui mi lasciasse libero di sfogarmi a dovere, tutto questo non succederebbe.
«E certo.» Saul pronunciò quelle parole ad alta voce, distogliendo Björn dai suoi pensieri.
«Come dici?»
«No, nulla. Stavo solo pensando ad alta voce riguardo una paziente troppo esigente.»
Björn non fece domande sulla paziente, perché era a conoscenza del fatto che esistesse il segreto professionale.
«A proposito, Saul. Dall'ultimo omicidio non ci sono stati altri ritrovamenti in giro. Quindi ho pensato che il nostro Killer sia qualcuno che studia le sue vittime, non le sceglie casualmente.»
«Visto i dati che abbiamo a nostra disposizione, hai pensato bene.»
«Molto probabilmente stava seguendo la moglie del mio collega da parecchio tempo, anche se non ne capisco il motivo. Non sembra un tipo che colpisce a caso.»
«Non conosciamo il perché lui le scelga e le punisca. In alcuni casi i motivi possono essere anche piuttosto stupidi e superficiali, quindi la moglie del tuo collega potrebbe come non potrebbe avergli fatto qualcosa personalmente.»
Björn rimase in silenzio soppesando le parole di Saul.
«A proposito come sta il tuo collega?» Era letteralmente divorato dai sensi di colpa, sapeva di essere stato lui, o meglio la sua dissociazione, ma il fatto di non poter ricordare, di non potersi scusare per una malattia che non sapeva neanche gestire, per paura che lo portava a tacere, non faceva che arrovellarsi, scavandosi nel cervello fosse ricoperte da sensi di colpa.
«Come vuoi che stia?»
Saul tacque.
Erano arrivati a destinazione così lo fece Salire come gli aveva detto. Era piuttosto tranquillo, perché nel suo studio non aveva nulla di compromettente. Cosa avrebbe potuto capire da una stanza e una sala d'attesa?
Lo studio, agli occhi di Björn, apparve come un luogo estremamente ordinato, pulito. La camera, dove Saul parlava con i pazienti, aveva le pareti bianche, le due poltroncine al di là della sua scrivania erano brune e solo la seduta di Saul era nera. Come se lui volesse differenziarsi dai suoi pazienti. Le librerie erano state ordinate in maniera maniacale a suo dire. Tutti sistemati a tema, a seconda della patologia, e in ordine alfabetico.
«Sfiori quasi la mania...» Björn si guardava intorno grattandosi la nuca, era palesemente a disagio.
«Togli il quasi.»
«Sei ansioso? So che le persone ansiose tendono a sistemare tutto alla perfezione. Questo per diminuire i loro attacchi d'ansia e tenerla sotto controllo, pulire e ordinare è un modo per allontanare i pensieri.» Björn era curioso di sapere qualcosa in più su di Saul.
«Non saprei se definirmi o meno un ansioso. Amo il silenzio e quest'ordine mi da l'idea di un luogo molto silenzioso. Mi rilassa.»
«Capisco, beh sicuramente concede una certa quantità di calma.» Per non dire angoscia.
«La tua casa invece credo che ti rappresenti: né troppo ordinata, né troppo disordinata, abbastanza pulita. Questo indica che a casa ti senti al sicuro piuttosto che a lavoro. Lo si evince da come avete sistemato la vostra lavagna per il caso. Un vero disastro. Mi chiedo come facciate a raccapezzarvi.» Saul si massaggiò le tempie ricordando quella visione che tanto lo aveva messo a disagio.
«Devo dire che, ancora una volta, hai dimostrato di essere molto bravo. Non psicanalizzarmi però!» Sbottò Björn sentendosi stranamente letto dentro.
«Va bene, ma vorrei ricordarti che hai iniziato tu. Tra l'altro, ora che ricordo, tu stesso hai ammesso, davanti a mio fratello, di aver fatto uso di psicofarmaci durante il corso della tua vita.»
«Capita a tutti di essere stressati in più di trentacinque anni di vita! Non sopporto i luoghi chiusi.» Si affrettò a dire per tagliare corto con il discorso.
Sven aveva passato giorni difficili da quando era tornato a casa ed era stato soccorso da Aris. Non era stato più lo stesso. Sì, faceva le solite battute, ma era più scostante, più silenzioso, più pensieroso e questo preoccupava terribilmente Aris. Sven, quella mattina, aveva deciso perfino di frequentare le lezioni che, guarda caso, non combaciavano con quelle di Aris. Non quel giorno.
Ci sarà andato per non sentire le mie domande, ma io non voglio assillarlo, sono solo preoccupato, maledizione!
Era presto, ancora troppo presto per chiunque. Aris si era diretto verso il salone, disastrato come al solito. Quella era la parte più vissuta delle casa e Sven la usava come sala relax oltre che di studio. Infatti, sul tavolino basso c'erano libri vari e quaderni di vari colori.
«Allora, pure lui prende appunti...» disse ad alta voce ridacchiando appena. «Mi fa sentire quasi un alieno.» Aris si portò la tazza di caffè alle labbra e decise di aprire uno dei quaderni di Sven. Non aveva mai visto la sua calligrafia, ed era curioso.
Sfogliando le pagine si rese conto di come Sven cercasse di mantenere una linea dritta, ma finiva irrimediabilmente a scrivere slanciando le lettere verso destra. Sapeva che fosse mancino, ma non che creava un tale caos nei quaderni. C'era ordine che sfociava nel disordine «Probabilmente dipende da quanto è o meno invogliato quel giorno o se gli piace la materia.» Disse continuando a sfogliare il quaderno. Poi sì fermò. Vide una data come se fosse diventato improvvisamente un diario. «Mamma mia che casino hai in testa, Sven!» disse, portandosi una mano tra i capelli. Alzò il quaderno cercando di leggere al meglio, di decifrare la sua calligrafia. Guardò bene la data e strabuzzò gli occhi. Il giorno in cui si erano conosciuti.
Era tremendamente curioso, ma si disse che non poteva invadere la sua privacy in quel modo, così, di scatto chiuse il quaderno. Lo fissava, il ticchettio dell'orologio che fungeva da cuore rivelatore, i pensieri fissi su quella pagina. Sospirò e cedevole come ogni essere umano, aprì il quaderno.
«Perdonami Sven.» Si fece coraggio e cominciò a leggere.
Oggi è davvero un giorno bizzarro! E quando non lo è...
Ho conosciuto un ragazzo sulle scale dell'università, lo avevo visto da lontano e mi sembrava molto triste, preoccupato. Così mi sono avvicinato e gli ho chiesto cosa avesse. Lui mi ha spiegato la sua situazione e io l'ho compreso subito, perché, insomma, la mia infanzia la conosco, non è stata proprio felice.
Ha dei capelli rossi bellissimi, mi ricordano un po' Aleph e un po' Misha. Ma non credo che nonno sarebbe felice se guardando questo ragazzo mi tornasse alla mente Aleph!
Dunque dicevo che lui mi ha raccontato la sua storia, io l'ho ospitato qui a casa mia...
A questo punto della lettura, Aris sbatté le ciglia velocemente, nervosamente. Casa sua? E perché paga l'affitto? Scosse la testa, sapeva che era pieno di misteri, avrebbe indagato più avanti.
«Dunque...»
Ho deciso di ospitarlo non perché mi sembra un ragazzo molto bello, ma ho intravisto un animo gentile in lui. Ho proprio bisogno di un amico gentile, qualcuno di cui potermi fidare.
I suoi genitori non li sopporto, non lo avrei mai potuto lasciare lì sulle scale della scuola. Dove sarebbe andato? Senza soldi, senza niente. L'unico lato positivo, per lui, è che adesso avrà la sua indipendenza, lontano da genitori bigotti che lo costringono a vivere come vogliono loro.
Spero che con me si trovi a suo agio, perché sono consapevole di non essere proprio semplice come persona e che il mio lavoro potrebbe mettere a disagio chiunque.
Beh questo potrò saperlo solo tra qualche mese.
Se la carte potesse riportare a voce ciò che scrivo, mi piacerebbe ascoltarmi sbuffare o ridere, tutto sarebbe più incisivo. Adesso ci starebbe bene una bella risata.
E ora Neuropsichiatria a noi due!
Aris era con le lacrime agli occhi, tirò su col naso. Si era letteralmente commosso. A volte Sven gli sembrava avere un animo davvero innocente.
Si strinse il quaderno al petto e sospirò, poi lo posò sul tavolo da dove l'aveva preso e scese a comprare qualcosa da mangiare, qualcosa di speciale per Sven.
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