Capitolo II
Sei mesi prima.
Caro Saul. Eccoci. Mi sono preso la libertà di portare il nostro diario fino in questo posto, e, tranquillo, non ti scriverò l'indirizzo.
Lo so. Lo so. Sono un fottuto bastardo, so già come la pensi. Quindi, per favore, non sprecarti a offendermi, mentre ti scrivo queste parole.
Dunque. Ti sto scrivendo, Saul, perché non ti sento più nella mente, sono contento di ciò, ma è bene che io ti informi riguardo i miei spostamenti.
Oggi sono state tre le vittime. Una, credo fosse una ragazzetta di diciotto anni, non ricordo neanche come l'ho uccisa, so solo, che ha urlato. Tanto. E che è corsa via da questo posto, fin quando le gambe non le hanno ceduto e bhè... forse il resto della storia la sai.
Due. L'ho uccisa semplicemente. Saul. Come saresti in grado di fare anche tu, senza arrivare alla fine però ─ è morta di spavento. In fondo i maschietti piacciono sia a me che a te. Non puoi negarlo.
Terza e ultima, ma non per importanza, l'ho soffocata. Con una corda. Sì. Sai non avevo mai provato questo brivido e tu? No tu, no. Se hai la reputazione di oscuro signore, è solo merito mio, tu non soffocheresti nessuno. Comunque, è stato bello, davvero, mai visto così tante sfumature di colore.
Detto questo, mio stupido Saul, la preda più preziosa è ancora qui.
A presto.
Tuo diavolo.
Cominciava ad odiare la consueta abitudine di programmare tutto, ma il suo cervello glielo imponeva. Così, dopo aver finito di leggere quella pagina spazzatura, ripose il diario dove lui ricordava e cominciò a mettere in ordine tutto quello che aveva lanciato dopo aver avuto la prima crisi.
Tutto era stato sistemato, l'ansia si era stanziata nel suo cuore, ma almeno non la sentiva più vagare e scorrere nelle vene. Sospirò e dopo essersi ravvivato i capelli, si accinse ad andare a lavoro come sempre.
Quella mattina era iniziata decisamente bene.
Abitare in quella città cominciava ad annoiarlo, ma in fondo c'era legato, qualcosa lo teneva ancorato lì. Forse erano le sue origini, o forse semplicemente la paura di muoversi, o più probabilmente era stato disarmato dal proprio stato d'animo ─ così pigro e privo d'interessi da non volersi spostare.
Una volta raggiunto lo studio entrò senza neanche salutare la segretaria. Saul odiava le donne. Negli ultimi anni aveva cercato un assistente uomo, ma non aveva trovato nessuno che potesse rispecchiare le sue esigenze e pertanto si era arreso all'attuale assistente. Avrebbe potuto salutarla? Certo, ma al mattino era troppo stanco e insensibile, o forse anche troppo lucido, per perdere tempo in chiacchiere.
Entrato nello studio, si rallegrò nel vedere quanto tutto fosse in ordine come il giorno prima. Appese il cappotto sull'attaccapanni rilegato in fondo allo studio, notando se qualche parte di questo fosse o meno fuori posto ─ tutto doveva essere allineato in maniera precisa d'innanzi ai suoi occhi. Si accinse poi verso la poltrona, nera, al di là della scrivania e si sedette, attendendo l'entrata del primo paziente della giornata ─ aiutare qualcuno, magari col suo stesso problema, era l'unica cosa in grado di poterlo scuotere un po'.
«É permesso?» Domandò una ragazza sulla trentina, dopo aver aperto la porta dello studio.
«Prego» disse solamente. Era evidente che fosse ancora assonnato.
La ragazza si fece largo nella stanza, abbassando il viso imbarazzata, come suo solito, visto che l'avvenenza di Saul la colpiva particolarmente.
Si sedette, di fronte a lui, sulla solita sedia dedicata ai pazienti. Si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, simbolo evidente di disagio e impaccio. Saul la stava guardando, riconoscendo perfettamente certe manifestazioni del corpo.
Lui si era impegnato a non mostrare alcuna espressione ─ per lo meno quando era vulnerabile doveva sforzarsi, mentre in altre circostanze, quando il possesso di sé lo aveva qualcun altro, non doveva neanche impegnarsi in quella impresa. Il suo essere distaccato della realtà era così forte da renderlo impassibile di fronte a ogni cosa.
«Allora, signorina?» Domandò scocciato, innervosito dal fatto che la prima paziente fosse una donna.
«Cosa c'è che non va, cosa la infastidisce particolarmente in questo momento?» Il suo tono era monocorde, senza alcuna intonazione, segno evidente della noia, o semplicemente la manifestazione tangibile del disgusto che provava verso le donne.
«Vede, dottore, è che lei mi imbarazza» dichiarò, diventando paonazza in volto, mentre Saul cominciava a sentire la bile salirgli su per la gola.
«Si trovi un'altro psichiatra allora.» Disse laconico senza troppa gentilezza.
«Ma io mi fido solo di lei, dottore.» piagnucolò.
Ma io mi fido solo di lei, dottore. La senti Saul? La cagna ti vuole, Saul. Annientala! Ah già, non puoi, non ha gli occhi azzurri.
Si portò le dita alla tempia sinistra per massaggiarsela, nascondendo con quel gesto il fastidio che lo stava tormentando. Lui non faceva parte della realtà, lui era finzione, frutto di una meccanica difesa della propria mente.
«Non può sapere se al mondo esiste uno psichiatra migliore di me, se non lo cerca.» Saul avrebbe sbuffato se solo quel gesto non sarebbe sembrato infantile e poco professionale. A volte, più di una sua personalità prendeva il sopravvento, e quando lui ne era in grado, cercava di controllarle al meglio, anche se risultava sempre piuttosto difficile. Quelle parole, inoltre, costarono carissime all'ego spropositato di Saul, ma non vedeva altra scelta di fronte a sé, in un certo senso stava cercando di tutelarla.
«Sì, ma lei ormai conosce tutto, con un altro dovrei ricominciare dal principio.» La donna continuava a lamentarsi, sembrava molto insistente, segno rivelatore di un transfer da parte di lei.
«E lei, invece, è sicura di poter celare o quantomeno sopperire a quest'imbarazzo?» Le domandò, poggiandosi contro lo schienale della poltrona, in attesa che quella donna prendesse effettivamente la sua decisione.
Lei deglutì, prese del tempo prima di rispondere. Sapeva che non sarebbe stata in grado di controllare quella pulsione e quel totale affidamento nei confronti dell'altro.
«Allora, signorina?» Incalzò per far si che la sua agitazione aumentasse. Adesso erano soltanto due le reazioni che lei poteva avere: o scappare via e tornare i giorni seguenti cercando di convincerlo, oppure saltargli addosso, ma non era il suo caso, non era una ninfomane, fortunatamente per Saul.
«Forse è meglio che io vada...» Aveva preso a giocare malamente con l'orlo della sua gonna, a massacrarsi le dita, continuando a gesticolare con i propri capelli: per quanto cercasse di trattenere l'agitazione, il suo corpo la tradiva istantaneamente. Saul, dal canto suo, era disgustato al sol pensiero che lei, seppur inconsciamente, stesse cercando di sedurlo.
Saul, annuì semplicemente lasciando che la ragazza se ne andasse, sospirando subito dopo una volta rimasto da solo.
«Dio, come non le sopporto...» borbottò tra sé e sé, rassegnato alla lunga giornata che gli si prospettava d'innanzi.
Erano circa le sette di sera, quando Saul uscì dal suo studio per recarsi a casa. Doveva restarci poco,il tempo che bastava per darsi una rinfrescata ─ meno si fermava lì e meglio sarebbe stato per tutti.
Non voleva e non doveva vedere nessuno. Viveva con la costante paura di poter ledere a qualcuno, troppo affaticato dalla colpa che si portava dietro da sempre ─ il suo vero io non tollerava ciò che si era visto costretto fare ai suoi figli.
Quando Saul entrò in casa, venne colpito dallo strano comportamento euforico di sua moglie: appena lo vide lo abbracciò.
«Sei tornato tardi oggi, stai bene?» Gli chiese. Per Saul, quell'atteggiamento era decisamente strano, troppo abituato a vederla sotto altri aspetti. Stentava a crederlo, gli sembrava impossibile.
Ludmilla non era mai stata né dolce, né premurosa. Il suo istinto lo stata esortando a non cedere alla trappola di sua moglie, perché sapeva bene quanto questi fosse dipendente dalla sua patologia e quanto fosse abile a manipolare.
«Sì. Io sto bene, ma tu sei convinta di poter dire lo stesso?» Gli domandò sarcastico, allungando appena gli angoli delle labbra fini in un ghigno sardonico.
«Uffa, Saul! Non dire così, sto benissimo...» Ludmilla era un'attrice nata, riusciva a fingere persino l'offesa, mettendo su una sorta di broncio fanciullesco; mentre Saul alzava gli occhi al cielo, ormai stanco di tutto quel teatrino.
«Saul, avvicinati.» La voce di Ludmilla prese, improvvisamente, una connotazione suadente. Saul aveva capito il suo scopo. Così, decise di accontentarla, piegandosi verso di lei per poterla baciare sulla bocca. La beneficiò di un bacio dolce, raro caso per Saul. Aveva amato sua moglie, lei era l'unica donna che riusciva per lo meno a guardare, la sola a rispettare i suoi canoni estetici, i suoi propositi, nonostante lui fosse omosessuale. Nella sua testa, in ogni sua personalità ─ tranne una ─ si alternavano emozioni d'odio e d'amore verso Ludmilla.
«Uscirai di nuovo, vero?» Ludmilla, distrusse quell'atmosfera, ponendo quella domanda. A Saul quasi non venne un colpo. Nessuno doveva sapere cosa compieva la sua dissociazione, al di fuori delle mura domestiche.
«Sì» rispose. Non aggiunse altro.
Saul si mescolò, ancora una volta, nell'oscurità della notte. Quella sera, aveva deciso di andare in un locale, magari uno di quelli dove avrebbe potuto fare qualche incontro. Dove avrebbe potuto stare a suo agio.
Saul non era un tipo socievole, pertanto, non aveva partecipato allo speed date organizzato. L'unica sua destinazione era il bancone del bar e, probabilmente, avrebbe potuto offrire un drinck a chi, come lui, reggeva bene l'alccol.
Si sedette senza alcuna aspettativa, dando le spalle a quello che era il serpente di tavoli allestito dietro di lui. Troppo intento a mandare giù bicchieri di Gin.
«Posso offrirti da bere? Vedo che ci dai parecchio dentro!» Un uomo che si era seduto vicino a lui, aveva pronunciato quella frase con un tono di voce piuttosto squillante. Saul non lo degnò di una sguardo, non gli diede la ben che minima attenzione.
«Avanti, non vorrai farti pregare. Un drink gratis, è sempre un drink gratis.» Insistette l'uomo accanto a lui.
«D'accordo» rispose secco Saul. Come se non fosse sufficientemente ricco da potersi permettere tutti gli alcolici che desiderava, ma in fondo era lì per divertirsi e, forse, avrebbe dovuto concedere un 'opportunità al suo nuovo amico.
«Ehi, barman!» Chiamò squillante l'uomo. «Dai un altro bicchiere di Gin al mio amico.»
«Siamo già amici?» Saul, quasi indignato, si voltò a guardarlo e sgranò appena gli occhi, notando i bellissimi, azzurri dell'altro che, di rimando poté osservare quelli ossidiana di Saul, rimanendone stregato in quel momento stesso ─ c'era qualcosa di diabolico e peccaminoso in quegli occhi neri.
«Come devo appellarti? Non conosco neanche il tuo nome.»
«Touché» Saul cominciava davvero a divertirsi, sembrava che l'altro fosse intelligente, o quantomeno, ironico.
«Mi chiamo Saul.» Affermò.
«Björne» Gli sorrise di rimando, riuscendo, addirittura, a incantare Saul.
«Scandinavo.» Saul aveva sussurrato appena.
«Il tuo è biblico» affermò Björne.
«Ti piace?»
«Sì, trovo che sia un bel nome.»
«Mi fa piacere.» Saul, inclinò nuovamente gli angoli della sua bocca sorridendo maliziosamente.
«Orso coraggioso. Il tuo nome viene dato ai ragazzi per i quali si auspica un futuro da cavaliere.»
«Sei informato! E il tuo cosa significa?»
«Desiderato.» Saul non aggiunse altro.
«Oh...» Björne, sorrise piacevolmente sorpreso.
«E dimmi, Saul.»Björne pronunciò quelle parole con fare volutamente provocatorio. Saul gli sembrava un tipo affascinante ed era curioso di conoscerlo più a fondo.
«C'è un motivo particolare per il quale conosci i nomi scandinavi?» Domandò incuriosito.
«Mio nonno è tedesco, mio fratello ha un nome scandinavo e mia madre era per metà norvegese e per metà russa. Credo che tutto questo, basti e avanzi.» Saul cercò di metterlo volutamente a disagio, mentre si scolava l'ennesimo bicchiere di Gin ─ perfino per il barman quella era stata una sera fortunata.
«E tuo padre? Lui di dov'è?» Björne era curioso, affascinato da tutta quella mescolanza di etnie.
Saul, non rispose, anzi virò la domanda, perché meno parlava di suo padre e meglio era.
«E tu? Perché hai questo nome?»
«Sono svedese.»
«Parli bene l'italiano, però.» commentò Saul.
«Vivo qui da quando ho cinque anni.» Björne sorrise. Lo guardava con aria maliziosa, era evidente che Saul gli piacesse.
«Capisco.» Saul rispose secco come suo solito.
«Saul, tu fumi?» Domandò Björne sorridendogli appena, ammiccante.
«Usciamo.» Saul propose la soluzione migliore per entrambi. Era chiaro che tutti e due volessero allontanarsi da quel posto, perché seppure le risposte di Saul sembravano secche e concise, i suoi occhi parlavano per lui.
«Marlboro rosse centos.» Gli disse Björne, guardando Saul mentre sfilava il pacchetto di sigarette dalla giacca.
«Sì, le ho prese a mio fratello, non fumo mai una marca specifica.» Ammise.
«Versatile. Lo sei anche con gli amanti?» Si era mostrato improvvisamente intraprendente. Björne si era lanciato in quello strano corteggiamento, affascinato dal misterioso uomo in nero appena conosciuto.
«Possibile» disse non appena aver sbuffato, lentamente, il fumo della sigaretta fuori dalla sua bocca. E, Björne avrebbe potuto giurare di avergli visto fare dei cerchietti grigi.
«Stai già sondando il terreno?» Saul domandò incuriosito.
«Perché no? Valuto le mie possibilità.»
«Capisco.» Saul rimase in silenzio. Cercò di concentrarsi sul vorticare del fumo per allontanare le voci dalla testa. L'eccitazione provocategli da Björne, avevano messo in modo tutto il resto, anche i suoi ingranaggi sballati
«Ora, devo andare.» Saul fece cadere in terra la sigaretta, spegnendola con la scarpa nera ed elegante.
«Alla prossima, allora.» Björne lo lasciò andare, incuriosito da tutto quel mistero, sperando di poterlo rivedere presto.
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