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Prologo

"Pablito, lasciami qui!" grido a mio fratello afferrandolo per una spalla con entrambe le mani, le unghie curate gli incidono quasi dei solchi sulla pelle perennemente abbronzata anche se non abbiamo ancora pienamente raggiunto il picco che va oltre i quaranta gradi al di sopra dello zero.

Un french classico è quello che mi si addice di più, semplice ma al tempo medesimo caustico. Esattamente come se mettessi lo stesso smalto trasparente e perlaceo in un flûte e qualcuno lo mandasse giù per la gola ancora sicchè secca scambiandolo per acqua tonica mista a gin. Ecco, non so se avete perfettamente presente tutto questo.
Ebbene sì perché nessuno sa chi sono io, miss ribelle dai tempi della scuola e ne è passata di acqua sotto i ponti per arrivare fin qui. Ah, chiedo scusa se non mi sono presentata. Hola todos, Soy Dolores Llorente. Manca poco per compierne trenta anche se non sempre come i guai che forse sono anche di più e decisamente parecchi.
Pablito accosta il mezzo e frena, apro lo sportello e scendo, lo zaino infilato con il sacco davanti e riprendo la mia strada a passo sostenuto. Il mio zainetto di Balenciaga giallo copre la t-shirt viola in poliestere abbinata agli shorts elastici neri in jersey e alle sneakers bianche, sportiva. Un paio di occhiali in metallo dorato con le lenti a forma di ottagono verde rame è l'unico tocco di stile sul mio volto a parte i colpi di sole sempre rinnovati altrimenti la mia fisionomia risulterebbe smorta e questo poi non è che mi piaccia più di tanto.
Raggiungo un vecchio fabbricato beige, quello che praticamente un tempo era una scuola. Stranamente mi cade l'occhio e puntualmente è aperto, non credo ai miei occhi fino all'ultima volta che ci sono passata davanti non lo era affatto eppure non è che ne sia passato assai di tempo dopotutto.
Trasportata dalla curiosità, mi spingo verso dentro. Voci lontane mi tentano a proseguire ancora. Giro l'angolo e continuo a camminare fino a trovarmi davanti a un'aula, stavolta silenzio. È aperta ma non vuota, percepisco dei sussurri. Un gruppo di ragazzi in rosso, dovrebbe essere quello il colore della loro divisa. Un segno distintivo, il ritorno dei comunisti è il primo e il solo pensiero che mi sovviene a mente. È il completo di una tuta. La sola maglietta grigio blu. Sono tre uomini e due donne tutti ammassati a una cattedra e una lavagna in noce sullo sfondo, intorno tutto latteo. Adesso guardano verso di me, io diffidente ma abbandono subito quell'idea senza darmi per vinta, devo indagare o se ne accorgeranno, se non lo hanno già fatto.
Due di loro ridono, sono entrambi mori solo che uno ha gli occhi leggermente più chiari e dovrebbe essere il più anziano. Sembra carino, ma mi continuo a rimproverare di non essere lì per questo anche perchè per una come me non è facile e rischierebbe di grosso.
Passa ancora un attimo e il più giovane mi indica, si atteggia con il mento rivolgendosi anche all'altro, che staranno dicendo? Quest'ultimo si mette in moto, lo vedo venirmi contro. Mi trovo davanti a un bivio, non so se andarmene o restare. La sete di saperlo è più forte a tal punto da scegliere la seconda delle due opzioni, alla fine decido e rimango.

"Prego, Signorina! Entri!" inizia sorridendo, sarà sarcastico? "Stavamo cercando Lei e proprio di questo stavamo parlando, c'è un posto vacante... tranquilla, che non mordo! Ah, forse... si... mi scusi se non mi sono presentato, lo sa? Il mio nome è Andrés ma tutti mi chiamano Berlino... al di fuori di qui nessuno deve sapere il mio vero nome mi raccomando, eh? Lei è Tokyo e questi Nairobi e Mosca, quell'altro... aspetta, dove si è cacciato..." continua.
"È andato a fumare... comunque io sono Rio, piacere... nella realtà, Anìbal..." irrompe il più giovane, carino ma meno attraente.
"Ah, ecco... è sempre il solito, mannaggia a Denver!" batte le mani schiacciando la lingua sul palato, è proprio teatrale.
"Il piacere è tutto mio, Dolores..." aggiungo entrando nella stanza, una risata delicata.
"Bienvenida, Señorita Dolores! Che pseudonimo sceglierebbe? Non so se già Se ne è accorta, ma qui tutti noi ci siamo ribattezzati con nomi di capitali... ora, Lei... quale vorrebbe, non è un ricatto ma poi..."  ancora Andrés, lo interrompo.
"Io scelgo questa, Phoenix... la capitale dell'Arizona, uno stato degli USA!" inizialmente ha il sopracciglio alzato poi sorride.
"Lo so!" aggiunge telegrafico.
"Ragazzi, ai vostri posti!" una voce estranea piomba nell'ambiente, mi volto e mi appare un uomo con la barba lunga e un paio di occhiali grandi.
"Sissignore! Lui è il Professore..." ancora una volta Andrés.

Prendo posto al secondo banco, davanti a me c'è Nairobi con il suo solito lungo carrè nero e liscio che gli piove dritto lungo le spalle e la carnagione olivastra. Sembra una ragazza piena di carisma, è  abbastanza magra e atletica ma non troppo alta. Dietro di me c'è Tokyo che è sempre mora ma con una incarnato chiaro e delicato come i lineamenti del suo volto. Ha un paio di occhi neri metallici con il taglio a mandorla, sembra una geisha nei panni di un samurai.

"Siete stati proprio bravi ragazzi, complimenti! Solo che ora c'è un altro piano... oh, Buongiorno! Non siamo per tutti, bella ragazza... che ci fa qui? Lasci perdere quello che dicono loro..." adesso il professore.

E poi qui ci sono, lo dici tu, professore! Yo, Dolores Llorente y para los nuevos amigos Phoenix. Un po' tutti direi, si te gusta tu eres mi nuevo amigo. Da ora in poi sono questo e basta, avevo proprio bisogno di cambiare il look e tutto, persino il nome per depistare. Continuo a dire, come voi e tutti con le vostre esitazioni. Pensate que no entiendo nada y invece hoy entiendido todo. Lascio pensarlo a voi e pensatelo benissimo ma non è così. Nada, affatto. L'ho fatto, ok?  Il mio sguardo sembra dolce ma in realtà si fa minaccioso e più che mai. Come adesso, lo è. Quindi, adesso vediamo un po' se riuscirete davvero a prendermi.

P. S. Ana Mena como Phoenix è la foto è sopra

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