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MONDO ETERNO

I miei occhi si muovevano come una piccola pallina che rimbalzava ripetutamente su un tavolo.
Le ciocche disordinate dei miei capelli color castano chiaro, tendente al biondo, solleticavano la mia fronte sudata.
Il piede destro picchiettava ripetutamente sul pavimento bricciolato della Taverna del Re, piccolo ristoro al centro di Roskilde.
Non riuscivo a trovare una posizione comoda, su quella sedia di legno duro che sembrava rompersi a momenti.
«Chiudi gli occhi!» esclamò mio fratello con un furbo sorriso sul volto.
«Io non mi fido di te!» l'uomo di fronte a lui parlò con una voce bassa e rauca, mentre passava continuamente una mano nella sua barba arricciata.

Nell'altra, invece, stringeva il suo quinto boccale di birra.
«È solo un gioco Reig, smettila di frignare!» esortò mio fratello Nimar, stufo delle sue lamentele.
Reig era uno degli uomini più ricchi del villaggio, lavorava al palazzo reale e a volte veniva da chiedermi quanti problemi avesse, per ridursi in quello stato.
«Mh, va bene!» Reig si rassegnò e chiuse gli occhi in un lungo sospiro.
Nimar lanciò una veloce occhiata verso di me, per assicurarsi che stessi bene e che fossi pronta per ciò che stavamo per fare.
Annuii con la testa e poggiai il palmo della mano sul dorso del mio coltellino, che avevo attaccato alla cinghia dei miei pantaloni larghi.

Nimar afferrò il collo della bottiglia presente sul tavolo e senza esitare, colpì con freddezza Reig sulla testa.
Sentire il vetro rompersi mi fece sussultare, ma fu in quell'esatto momento che tirai fuori la mia arma e affondai la lama nel fianco destro di Reig.
Lui urlò dolorante cadendo dalla sedia.
Fortunatamente la locanda era stracolma di gente, che danzava ubriaca a suon di musica. Non venimmo neanche notati.
Nimar si calò sull'uomo per raccogliere il mazzo di chiavi che pendevan dalla sua cintura poi, prese la mia mano per fuggire fuori da lì.

Gliela strinsi e lo seguii, correndo al freddo e al gelo di quella terra scandinava, immersa tra la neve e i ghiacciai.
«Nimar rallenta, nessuno ci segue!» urlai tirandolo verso di me quando mi fermai di colpo.
Eravamo in un vicolo del villaggio e nel frattempo iniziai a respirare profondamente poggiando una mano contro il muro.
«Stai bene?» domandò Nimar.
Chiusi per un istante gli occhi, successivamente mi voltai per dargli uno schiaffo.
«Ha visto i nostri volti... l'avevo detto sin dall'inizio che non era una buona idea!»

«Sei impazzita!?» si massaggiò la guancia accigliato. «Calmati sorella, quell'idiota era ubriaco fradicio!»
«Se succede qualcosa a...» mi interruppe.
«Non gli succederà nulla...» Nimar si avvicinò per prendermi il viso tra le mani.
Poca era la differenza d'altezza, ma tanta era la nostra uguaglianza. Avere un gemello era la cosa più confortante a questo mondo.
Il colore dei nostri capelli erano uguali, allo stesso modo anche disordinati ma i miei erano più lunghi dei suoi, tuttavia, gli arrivavano fin sopra le spalle.
I nostri occhi erano color ghiaccio e i nostri modi di fare erano decisamente gli stessi, grezzi ma talvolta gentili.

«Te lo prometto...» Nimar mi accarezzò il viso con il pollice, baciandomi la fronte. «Ora meglio fare ritorno o nostra madre si preoccuperà, vieni!»
Riprese di nuovo la mia mano e a passo svelto raggiungemmo una piccola casetta non tanto distante da noi.
Roskilde in piena notte era tranquilla... solo se ti tenevi lontano dal centro, immerso tra locande stracolme di ubriaconi e bordelli pieni di prostitute, nel bel mezzo di un venerdì di inverno.

La porta in legno della nostra dimora si aprì accompagnata da un cigolio ed entrammo scrollando la neve dai nostri vestiti.
Ad accoglierci c'era Rowolf, un husky siberiano dalle dimensioni medie.
Con il suo pelo bianco a macchie nere e marroni, mi saltò addosso contento mentre scodinzolava senza fermarsi.
Quando si metteva su due zampe, arrivava perfettamente alla mia altezza.
«Sta buono, Rowolf!» esclamò Nimar accarezzandolo per un secondo.
Rowolf venne regalato a me e Nimar all'età di diciotto anni, da nostro fratello maggiore Mitgar.
«Dove sono tutti?» domandò Nimar guardandosi intorno e avvicinandosi al focolare ancora acceso per riscaldarsi.
Il fuoco, era l'unica fonte di luce in quella stanza composta da un cucinino con sopra delle pentole appese, un tavolo di legno con attorno delle sedie fatte dello stesso materiale e dei tronchi lucidi di fronte al camino.

«Staranno già dormendo... è notte inoltrata!» esclamai avvicinandomi a lui con Rowolf, con la lingua che pendeva dalla sua bocca.
Mi sedetti sul pavimento con la schiena poggiata a un tronco, mi sfilai i vecchi stivali stiracchiando i piedi ghiacciati contro il focolare.
Rowolf si stese al mio fianco.
«Se Reig parla...»
«Nauthiz, smettila...» mi rimproverò mio fratello, voltandosi per guardarmi. «Stai diventando peggio di nostra madre!»
«Non ti permettere!»
Nostra madre Valeska, era una bellissima donna di cinquantadue anni che, pur per sopravvivere e farci mangiare, si era piegata ai cristiani dimenticandosi delle sue origini.
A Roskilde tutti la conoscevano per la sua bontà verso il prossimo, aiutava i più bisognosi anche se a oggi eravamo noi ad essere nella categoria più bassa della società.

«Nostra madre ha fatto di tutto per noi, non ti permetto di offenderla così!» dissi su di giri.
Però Nimar, prima che potesse replicare, si voltò verso la porta sentendo del vociferare all'esterno.
Io feci lo stesso e anche Rowolf si voltò ma alzandosi, mentre si irrigidì ringhiando silenziosamente.
Le voci si fecero sempre più vicine potendo infine notare, dagli spiragli della porta, della luce rossa... sicuramente fuoco!
«Nauthiz, spegni le fiamme, porta Rowolf di sopra e nascondi le chiavi...» disse Nimar sottovoce senza distogliere lo sguardo dalla porta, passandomi l'oggetto in questione.

Presi un secchio pieno d'acqua a lato del camino, buttando il contenuto sul fuoco acceso che si spense immediatamente, creando del fumo in tutta la stanza.
Dopodiché, raggiunsi il piano di sopra con Rowolf finendo infine sul tetto.
Camminai attentamente su quelle tegole rotte, provando a fare il meno rumore possibile.
Nascosi le chiavi sotto una di esse e mi stesi infine, verso l'estremità del tetto così da ascoltare la conversazione che stava per avere atto al piano terra.

«Principe Leofric, a cosa devo la vostra visita?» domandò Nimar appena aprì la porta.
Notai, da quell'altezza, che il principe era accompagnato da cinque delle sue guardie.
Leofric, l'uomo che avevo erroneamente amato, che mi aveva donato la cosa più bella a questo mondo portandomela infine via.
Lui era il figlio di Re Elike, nonché il Re d'inghilterra che, insieme a Leofric, conquistò la Danimarca in meno di tre mesi.
«Nimar, dov'è tua sorella?» chiese l'uomo, stringendo in una mano il dorso della spada.
Nimar abbassò per un secondo lo sguardo su quel gesto, portandolo nuovamente poi sul viso di Leofric.

«Sapete com'è fatta mia sorella...» fece un passo in avanti, stando più vicino al principe. «Di notte il dovere la chiama!»
«Quindi ho motivo di pensare che è stata lei a far del male a uno dei miei messaggeri!» esclamò Leofric sorridente, portandosi le mani dietro la schiena.
«Non so di cosa voi stiate parlando sua maestà... Nauthiz è stata con me a caccia fino a tarda notte, poi io sono tornato qui e lei è rimasta fuori le mura!»
«E questo cos'è allora?» domandò lui facendo pendere dalle dita una collana, un ciondolo d'argento con la runa Naudiz incisa su di essa.
D'istinto mi toccai il collo e non percependola al tatto, chiusi gli occhi in un sospiro.

Nimar guardò la collana ma non ebbe nessuna reazione, rimase impassibile davanti all'evidenza.
«Sapete principe Leofric, dopo tutto ciò che ha fatto non mi sorprenderebbe se lei avesse qualcosa di Nauthiz nascosta fra le sue cose!»
Leofric ammiccò un sorriso e rimise a posto il ciondolo, poi scosse la testa: «Sei davvero terribile Nimar, ma vi terrò d'occhio...» si avvicinò a mio fratello per sussurrargli qualcosa all'orecchio così mi sporsi di più.
Però fu una mossa stupida, perché non riuscii a sentire, notai solo una smorfia sul viso di Nimar.
«Buona serata Nimar!» esclamò Leofric prima di congedersi.
Ma la sua ultima mossa fu di alzare lo sguardo verso il tetto e io sussultai, tirandomi velocemente all'indietro.

Non ci misi molto a rientrare in casa, dopo essermi congelata sotto la fitta neve della Danimarca.
Scrollai da dosso i fiocchi che colorarono di bianco metà del pavimento in legno.
Accarezzai per un secondo Rowolf, sdraiato sul mio materasso mentre scodinzolava compiaciuto.
Poi accesi le due torce appese al muro di marmo, che illuminarono di rosso la stanza e infine mi sdraiai sul mio letto dopo essermi svestita, rimanendo in vestaglia e aspettando Nimar che salisse.

Quanto avrei voluto abbandonare Roskilde e lasciarmi tutto alle spalle, crearmi una nuova vita in un altro posto nel mondo.
Ricordo ancora quando gli Inglesi ci attaccarono, io e Nimar eravamo piccoli ma non tanto da non capire cosa stesse accadendo.
Lo sguardo mio e di Leofric che si incontrarono, con lui che impugnava la sua spada e io che correvo fuori dalla mia casa in fiamme.
All'ora non ci trovavamo a Roskilde ma a Ribe, un villaggio lontano giorni, in via mare e in via terra.
Eppure, dopo anni mi feci abbindolare dal principe, da uno sporco Cristiano desideroso di potere e denaro.

Ribe, che bel posto era prima di esser conquistata dagli Inglesi.
Lì era dove io nacqui, crescendo tra il verde delle montagne e l'azzurro dei laghetti.
In un bosco lì vicino, nostro padre ci insegnò ad usare il primo arco e proprio lì uccisi il mio primo cervo.
Avevo bei ricordi di quel posto, prima che venisse rasa al suolo.

Alzai di poco il capo quando sentii la porta della stanza scricchiolare, segno che qualcuno l'aveva aperta.
Infatti Nimar entrò, pallido in viso.
«Ti senti bene?» domandai preoccupata.
«Pensavo dormissi già!» esclamò lui lasciandosi cadere sul letto, immerso tra un gemito di dolore.
I miei occhi percorsero il tragitto da porta a materasso e notai una sottile striscia di sangue.
Mi alzai di scatto inginocchiandomi successivamente al suo fianco.
«Nauthiz sta ferma... oh...»
Ignorai quelle parole spostando le sue sudice mani dalle mie, per alzare i vestiti dalla ferita che presentava sul suo fianco destro.
Sospirai di sollievo quando capii che non era profonda, ma strinsi le labbra apprendendo che era stato Leofric a procurarglielo, quando gli si era avvicinato.

Afferrai la borraccia ripiena d'acqua per la notte e bagnai un panno, tamponandolo lievemente sulla ferita per togliere il sangue in eccesso.
La mano di Nimar si posò sulla mia guancia accarezzandola con il pollice, mi sentii sollevata a quel gesto lasciando la pezza fredda sulla ferita.
«Come farei senza di te, sorella?» domandò ad occhi socchiusi, probabilmente stava per addormentarsi. «Non lasciare che Leofric l'abbia vinta... presto Ceolo conoscerà la verità!»

Ceolo... il mio amato bambino, cresciuto in una menzogna e da un padre impostore!
Portatomi via dal suo primo pianto, senza rancore e senza pudore.
Lasciandomi tra il fieno di uno stalla puzzolente e sporca di sangue, tra il pianto e il vedere mio figlio esser portato via da quel mostro, avvolto nel suo lungo mantello nero.
Una scena impressa nella mia mente da quindici, lunghi anni.
Ma ero ormai stanca di rimanere in silenzio, succube di un impero bugiardo.
Tuttavia, mancava ancora tanto all'inizio del novilunio e di Mitgar non vi erano ancora tracce.
Ma una cosa era certa: la famiglia Vaughan era pronta a rimettersi in piedi per riprendersi ciò che gli era stato portato via.

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