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Secondo Cornelia Puddifoot, le cose andavano fatte con ordine. Sul filo fuori dalla finestra andava stesa prima la biancheria da sotto, come lei amava definirla, poi le camicie da notte, se le aveva lavate, e successivamente, in ordine crescente di larghezza e lunghezza, gli abiti.

Nella zuppa di coniglio andava prima bollito il pomodoro, e poi, solo poi, andavano aggiunte le verdure, e giusto una manciata di foglie di melissa. Quel giorno, nelle ultime ore della mattina, si era accorta di aver terminato proprio la melissa; annodati i capelli in uno scialle e preso il cestino di vimini, se ne uscì di casa, diretta nel bosco. Ne avrebbe fatta una gran bella scorta e, se c'era una giustizia divina (Cornelia Puddifoot era piuttosto convinta che ci fosse), l'annuale premio per la zuppa di coniglio più buona di Hobbiville sarebbe spettato a lei. 

«Buongiorno, signorina Puddifoot!» la richiamò la voce di un uomo, immerso fino alla punta dei capelli in una siepe che stava tentando in ogni modo di domare. 

Cornelia ricambiò con cordiale freddezza il saluto, consapevole che lui, circondato dal verde com'era, non avrebbe potuto vedere l'arricciarsi delle sue labbra. Non aveva nulla contro il suo vicino di casa, Isengrim Pott: era uno hobbit umile e ordinario, la cui esistenza stessa pareva chiedere scusa per il disturbo. Da un impasto ben diverso era stata modellata sua moglie Hilda, la quale amava la novità e i piatti dai colori vivaci, con cui abbelliva i muri della sua caverna con tre finestre. 

Si diceva in paese, e anche nel paese vicino, che Hilda Pott avesse più volte conosciuto Jolly, il giovane che lavorava per l'ufficio postale, ma non era per questo che Cornelia non la poteva soffrire. Ella, infatti, l'anno precedente, aveva imbrattato con dei ceci la zuppa di coniglio e, cosa ch'era ancora peggiore, li aveva aggiunti prima della carne. I giudici della gara, che ormai avevano passato i tre quarti di secolo, per non mostrare di avere gusti obsoleti avevano premiato quell'ardire con il primo posto, oltraggiando la tradizione.

Per una strana e irrazionale associazione di idee, la signorina Puddifoot fece il giro largo per dirigersi nel bosco, quasi temesse che Isengrim, istruito dalla diabolica moglie nell'arte dei Crebain, avrebbe potuto seguirla e svelare a tutti in quale punto crescevano le erbe più profumate.

Con l'andatura claudicante che la contraddistingueva sin da quando era giovinetta, si diresse sicura verso Suorlegno, una quercia che ormai conosceva talmente bene da poter chiamare per nome. Il sole tiepido, benedizione della Contea, filtrava tra i rami degli alberi, illuminando il cammino disordinato del pulviscolo e dei piccoli insetti. 

Fu proprio dalla verde collina su cui sorgeva il bosco – un luogo pacifico, ameno, che non aveva mai visto violenza alcuna se non quella, necessaria, di un predatore che ghermisce la preda – che la signorina Puddifoot ricevette dal destino un colpo che non vide arrivare.

O meglio, che vide arrivare; perché, a dire la verità, era piuttosto consistente: dall'altura rotolava, diretto proprio verso di lei, un oggetto somigliante in tutto e per tutto a un grosso cono di metallo. Se ne avesse avuto il tempo, la signorina Puddifoot si sarebbe chiesta: "ma che diamine ci fa lassù un cono di metallo? A cosa potrà mai servire?". 

Forse, ripensandoci meglio, avrebbe sostituito il termine "diamine" con "accipicchia", o "acciderbolina", dato che non era suo costume utilizzare le male parole che si sentivano sempre più di frequente uscire dalla bocca dei giovani.

Tuttavia, per pensare a queste cose ci vuole tempo, e il cono di metallo, molto più grosso di una piccola hobbit, era piuttosto veloce. Rotolava e rotolava verso di lei, tanto che la signorina Puddifoot, prima di esserne fatalmente travolta, riuscì a pensare solo: ah.

Un'automobile, per l'esattezza una Rover 45, dettaglio di cui gli hobbit non potevano certo essere a conoscenza, si fermò davanti alle case di legno e mattoni di Hobbiville. Il rombo dell'inusitato veicolo, sul quale avevano udito solo racconti provenienti da terre lontane, suscitò nei paesani una vivace curiosità, in netto contrasto con la situazione che stavano vivendo. Quasi tutti misero il naso fuori dalle loro botteghe, dalle loro abitazioni o caverne, e ciò che videro non li deluse.

Due uomini, uno grande e uno squadrato, enorme, scesero dalla carrozza lucida. Un terzo, più piccolo e più anziano, era rimasto seduto sui sedili posteriori. Talvolta passavano, nella Contea, rappresentanti della loro razza, ma nessuno aveva mai visto gente abbigliata in quel modo. Indossavano strane brache rigide, e al loro collo era fissata una striscia di stoffa, sottile e lunga sino alla vita, che forse stava a indicare il loro stato sociale o il loro grado all'interno della polizia. 

Di polizia, pensava il sindaco Peregrino Tuc mentre si avvicinava allo sproporzionato mezzo, la Contea non aveva mai avuto granché bisogno. Negli anni dorati precedenti il centoundicesimo compleanno di Bilbo Baggins, gli hobbit erano stati il popolo più tranquillo e pacifico di tutta la Terra di Mezzo, tanto da arrivare a pensare che quell'arcadica serenità non regnasse solo nella Contea, ma in tutto il globo. Solo, talvolta, aveva minato la loro tranquillità qualche scontro con gli Orchi al confine, risolto facendo alle sassate. 

La consapevolezza della violenza era giunta assieme alla Guerra dell'Anello, al breve ma duro dominio di Saruman. Ma il verde era tornato, l'aria era pura di nuovo, e di quelli che avevano combattuto non si ricordavano le mani sporche di sangue e l'oscurità nell'animo, ma piuttosto le gesta eroiche, le lucenti armature bianche nelle ballate dei bardi.

In un mondo del genere, pensare che qualcuno avrebbe potuto – deliberatamente, o anche solo per caso – uccidere qualcun altro, era fuori da ogni possibilità. Certo, non bisognava guardare oltre al proprio giardino, ma lì a Hobbiville erano fieri di coltivare tutti un unico, grande giardino.

«Ispettore Barnaby» si presentò l'uomo squadrato con un leggero sorriso, un po' disorientato dalla necessità di guardare verso il basso, e non dritto davanti a sé, per incontrare gli occhi del sindaco, «e il sergente Troy. Veniamo dalla contea di Midsomer, abbiamo ricevuto noi la vostra chiamata».

«Oh, sì, sì» esordì il sindaco in modo un po' impacciato, sfregandosi la mano destra sul panciotto per accertarsi che non fosse sudata. «Benvenuti nella Contea. Ecco, vedete... è un fatto inaudito! Assurdo! Ancora non riusciamo a capacitarci che sia successo!»

Mentre il piccolo uomo, infervorato, gesticolava e scuoteva la testa, facendo ondeggiare i boccoli perfettamente tondi, il terzo straniero uscì dalla macchina, si stiracchiò con discrezione e aprì il bagagliaio per estrarne una valigetta di metallo.

«Il dottor George Bullard,» lo presentò Barnaby, «il nostro medico legale».

Di nuovo Peregrino Tuc si profuse in ringraziamenti, e con la coda dell'occhio non poté fare a meno di notare che il poliziotto giovane – sergente Troy, lo avevano chiamato – non faceva che guardarsi attorno con aria nervosa. I campi e gli alberi, così come le case, non erano poi differenti da quelle che era abituato a vedere a Causton. Era tutto il resto che non andava.

«Il bosco... è quello laggiù, signor Tuc?» domandò il sergente, forse per cavarsi dall'impiccio di quella situazione imbarazzante.

«Sì,» replicò il sindaco, avviandosi verso l'interno del paese e facendo cenno ai poliziotti di seguirlo. «Abbiamo già rimosso il... cadavere» continuò, chiaramente inorridito da quella parola. I suoi occhi avevano visto una guerra che aveva decretato la fine di un'era e l'inizio di un'altra, eppure non riusciva a capacitarsi che un tale delitto fosse avvenuto nel suo prato. 

«La casa della... sì, della vittima è quella laggiù» indicò poi. «Vedete, noi non abbiamo una vera e propria stazione di polizia... a dire il vero non abbiamo nemmeno la polizia... quindi abbiamo portato la signorina Puddifoot» la fu signorina Puddifoot, avrebbe dovuto dire, «in questo edificio».

«Oh, non si preoccupi» lo rassicurò Bullard con un sorriso, oltrepassando la porta di una grotta. «In realtà, per queste cose basta solo un tavolo».

«Sì... sì, certo, capisco» rispose, deglutendo nervoso, Peregrino Tuc, che negli ultimi anni aveva usato i tavoli solo per consumare la sua colazione, prima o seconda che fosse.

Fu la gola di Barnaby che si schiariva a riportarlo alla realtà.

«Se il signor Tuc è così gentile da accompagnarci, possiamo intanto vedere il luogo del delitto. Che ne pensi, Troy?»

«Certo, signore» ribatté il giovane, che ancora non aveva finito di guardarsi intorno.

Il sindaco, per l'ennesima volta, parve cadere da una nuvola, cosa che effettivamente mancava in quella Contea, pur abbondando in Inghilterra.

Visibilmente in imbarazzo, mormorò delle scuse e condusse i due nel bosco dove, poche ore prima, la povera signorina Puddifoot era stata trovata senza vita. Era stata rinvenuta da alcuni bambini che si erano recati lì per giocare e che, per ovvi motivi, non potevano essere sottoposti a un interrogatorio, men che meno essere nell'elenco dei sospettati. Barnaby aveva accolto la notizia con un sorriso gentile e, mentre si dirigevano verso la collina, aveva fatto qualche domanda sul vicinato.

L'insolita arma del delitto, che ancora non era stata esaminata da nessuno, se ne stava ancora lì dove aveva fermato la sua corsa: era stata solo scostata un poco, in modo da poter rimuovere il corpo.

Avvicinatosi, Barnaby si rese conto che la descrizione che gli era pervenuta, "grosso cono di metallo", non era dovuta alla scarsa immaginazione degli hobbit, o piuttosto alla loro poca familiarità con gli oggetti degli uomini, ma era esatta e calzante. L'ispettore aggrottò la fronte, e diresse lo sguardo perplesso verso Troy, per trovarlo ugualmente confuso.

«Non ne ho idea, signore,» commentò il sergente, «non ne ho mai visto uno prima d'ora».

«Ha delle ipotesi, signor Tuc?» lo incalzò Tom Barnaby, leggermente infastidito, anche se sempre con garbo, poiché gli pareva che il sindaco nascondesse qualcosa.

Peregrino Tuc, con gesto teatrale, si passò una mano sul viso, e si scusò per l'ennesima volta.

«Nessuno hobbit ha mai visto o utilizzato un oggetto simile,» spiegò loro, «ma gli Orchi...»

La voce gli mancò, e un'ombra impalpabile, oscura, gli attraversò le iridi chiare.

«Gli Orchi?» gli fece eco il sergente Troy, con il suo tono scettico. Tom lo liquidò con un cenno della mano, poi tornò a confortare il sindaco.

«Torni a casa, signor Tuc, e non si preoccupi. Questa non è l'opera di un Orco, ma di qualcuno che vuole spaventarvi facendosi credere tale. Per il momento non caveremo un ragno dal buco qui, meglio isolare l'area, e tornare domani con la luce. Ci pensi tu, Troy?»

«Sì, signore».

«Volete vedere la casa della signorina Puddifoot?» suggerì Peregrino Tuc, che pareva essersi liberato da un peso.

Più che una casa, quello della compianta Cornelia Puddifoot era un buco hobbit, in stile tradizionale. La porta arcuata, che permetteva l'ingresso a un uomo solo se piegava la schiena in modo buffo, conduceva a un'ampia sala, con un solo tavolo di legno ma con diverse finestre tonde come i rosoni di una chiesa, anche se perfettamente lisce. Il tutto insinuava una genuina curiosità nell'animo dell'ispettore Barnaby, e la spiacevole sensazione di trovarsi in una casa delle bambole troppo cresciuta in quello di Gavin Troy.

La camera da letto era anonima, il letto era a una piazza e mezza e sul comodino stavano solo, assieme a una lampada ad olio, alcuni libri di ricette.

La cucina, invece, era ordinata in modo maniacale. Mestoli di ogni tipo erano allineati a seconda della loro forma e dimensione, suggerendo più il pensiero di un serial killer che quello di un'amabile casalinga, e lo stesso si poteva dire per le pentole. Le uniche due fuori posto erano un grosso calderone di rame, adatto per una zuppa, e un pentolino più piccolo.

Alle loro spalle, vi erano centinaia di libri di cucina, alcuni identici a quello che si trovava in camera da letto, altri più massicci. Uno solo era stato riposto non in linea con gli altri, come se fosse stato consultato di recente, e Troy si avvicinò per poterne leggere il titolo.

«Zuppe del Decumano Nord» disse, ad alta voce.

«In questi giorni a Hobbiville si stanno svolgendo i preparativi per la gara della zuppa di coniglio» si intromise Peregrino Tuc, guadagnandosi uno sguardo infastidito da parte del sergente. «Cornelia era determinata a vincere, quest'anno» aggiunse, con amarezza.

«Aveva qualche ricetta particolare?» domandò Barnaby, per il quale non era certo fatto insolito che la gente potesse uccidere per concetti come "la zuppa più buona", oppure "la zucca più grande". «Ha notato se la serratura era forzata, o se manca qualcosa?»

Il sindaco Tuc sembrò un po' risentito da quell'ultima domanda, ma quando parlò la sua voce era calma:

«Vede, ispettore, quasi nessuno di noi, se non chi ha dei veri tesori in casa, mette una serratura alla porta. Sono poche le cose che ci interessano, e quelle che troviamo mathom, cioè inutili, ma interessanti, talvolta ce le scambiamo ai banchetti, e sono di qualcun altro come potrebbero essere nostre».

«Capisco,» ribatté Barnaby, «e la signorina Puddifoot aveva qualche nemico?»

Lo hobbit sobbalzò nell'udire quell'ultimo termine:

«No! Santo cielo, no! A qualcuno non stava simpatica, certo, e un anno fa ebbe un'aspra discussione, riguardante la zuppa di coniglio, con la sua vicina, Hilda Pott. Ma non riuscirei mai a pensare che...» s'interruppe.

«D'accordo» lo aiutò Barnaby. «Direi che qui abbiamo finito».

Fece per attraversare la porta, ma qualcosa lo bloccò, tirandolo per il braccio.

«Questo posto non mi convince, signore» gli sussurrò nell'orecchio Troy, di modo che le orecchie appuntite e fini del sindaco non percepissero le sue parole. «È troppo ordinato, troppo perfetto. È come se fosse tutto sistemato per non far notare qualcosa».

L'ispettore assunse un'espressione pensierosa, gli angoli della bocca leggermente piegati verso il basso.

«Hai ragione» commentò, per poi rivolgersi allo hobbit che stava trotterellando verso la strada principale:

«Un'ultima cosa, signor Tuc!»

Quello trasalì e si voltò, provato dalla giornata e dall'orribile avvenimento cui aveva assistito.

«Saprebbe indicarmi il pub del villaggio, per mangiare qualcosa e per passare la notte?»

«Oh,» commentò Peregrino Tuc, sinceramente sorpreso. «La polizia non ha pensato alla vostra sistemazione... sono desolato, ecco... la verità è che qui a Hobbiville non abbiamo pub. Però posso consigliarvi una locanda, lungo la strada di Lungacque: si chiama il Drago Verde e non è molto lontana».

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