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53. Requiem for a dream

Fu un violento e doloroso sussulto a riportarlo alla realtà. Respirò grandi boccate di ossigeno, come se questo mancasse ai suoi polmoni, e sollevò di scatto la schiena, toccando la spalla sofferente. Una fascia bianca ben stretta gli stringeva tutto l'arto sinistro e il petto, mentre una flebo era attacato all'avambraccio destro.
Staccò la medicina che si stava inoltrando nel suo corpo malandato e tentò di alzarsi da quel letto stretto e scomodo, lontano da quello a cui era abituato.
Porse lo sguardo verso una piccola finestra: era notte.
Con la bocca impastata ed amara e le gambe che tremavano appena per la debolezza, si alzò.
Barcollò, più e più volte, e utilizzò un bastone posto vicino alla parete per rendere il suo deambulare più stabile.
Aprì la porta con fare sospetto, senza voler dare nell'occhio, e attese il passaggio veloce di un'infermiera.
Uscì nel corridoio grigio, si addentrò in quello che capì essere un ospedale, e camminò nel tenebroso silenzio, senza meta alcuna.
Non ricordava il motivo per cui fosse nel luogo che più detestava al mondo e nemmeno a cosa fosse dovuta la ferita alla spalla.
Sembrava che nel suo vagare cercasse delle risposte, nel tacito suono della notte, e che queste fossero raffigurate nella donna che giaceva in piedi davanti ad una vetrina.
Si accostò a lei, per poi riporre lo sguardo dove ella poneva la sua attenzione, e fu lì che li vide: neonati.
Quanto aveva camminato per giungere in un reparto totalmente differente dal suo?
Il dolore gli portava allucinazioni o era in grado di ragionare in maniera lucida?

-Qual è il suo?- domandò però,  spezzando l'incantesimo di quel silenzio.

La donna, vestita con una veste verde d'ospedale, increspò appena le labbra in quello che doveva essere un sorriso mal riuscito.

-La terza neonata, prima fila. Venere-

-Primo figlio?-

-Ultimo- sospirò la donna, ponendosi un ciuffo immaginario dietro l'orecchio.

-La guarda come se fosse l'ultima volta-

-Perché lo è-

-Cosa vuole dire?-

-Che tra meno di ventiquatt'ore di me non rimarrà che un corpo senz'anima. Me lo merito, sa. Ho vissuto da egoista. Non mi sono mai affezionata e niente e nessuno. Ma ho generato vita, e di questo ne vado fiera-

L'uomo si portò una mano verso il mento, grattandosi la barba ispida. Tentò di mettere a fuoco il profilo della donna, di delinearla, ma non ci riuscì. Era come se fosse solo una parvenza.

-Sto sognando o sono sveglio?-

-Non mi domanda se è morto?-

-Non credo di esserlo-

-Non lo è, infatti-

-A me sembra di conoscerla, di averla già vista. È possibile?-

La donna scrollò le spalle, ridendo appena. I lunghi capelli neri oscillarono al suo movimento, come se prendessero vita, e lui per un po' li osservò incantato.

-Può essere. Sono conosciuta da molti e amata da pochi-

-Crede che potremmo esserci già visti prima?-

-In un ricordo, in una frase, in una fotografia sbiadita. Potrei essere ovunque e da nessuna parte. Come un fantasma. Lo sono stata per tutta la vita, ecco perché non ho paura di morire-

-Lei è fermamente convinta di questo-

-Sì-

L'uomo annuì, sbuffando dal naso.
Venere, quella neonata dal viso più scarno rispetto agli altri neonati, dormiva beatamente, avvolta nella copertina rosa.

-Lei ha figli?-

-Uno solo-

-Gli ha mai dimostrato di volergli bene?-

Tentennò.
Ripensò al rapporto con suo figlio, ai litigi, alle parole non espresse, agli sguardi accusatori. Poteva dire di conoscerlo sul serio? No, non poteva.
E ora che ne prendeva consapevolezza, il dolore al petto acuiva esponenzialmente.

-Probabilmente no-

-Neanche io. Ma lei ha la possibilità di redimersi. Io no-

-Quanti figli ha?-

-Quattro. Non so neanche se ricordano il mio viso-

-È una cosa triste-

-Sì, lo è-

-Credo di averla vista in uno dei miei viaggi-

-O nella sua fantasia-

-Non ne ho-

-Non la sua. Quella di un suo vecchio amico-

-Sei la moglie di Unai?- sgranò le palpebre l'uomo, sconvolto, avvicinando il naso al volto della donna, che sembrò però essere irraggiungibile nonostante restasse immobile.

-Non sono mai stata la moglie di nessuno. Ho avuto tanti amori, alcuni più importanti di altri-

-Sei la madre di Daario...-

-Daario... sarà un uomo adesso, un bellissimo uomo. Spero che non abbia ereditato nulla dai suoi genitori-

-È un brav'uomo- si limitò a rispondere l'altro, provando un improvviso fastidio nell'aver dato una consistenza più terrena di quella donna.

-Ne sono contenta- annuì lei, con la voce che tradiva un filo di emozione.

-Comincio a credere di essere morto e che lei sia un demone. O un angelo-

-Sono solo una donna invece, ma sì, sono prossima alla vita ultraterrena. Sempre che ce ne sia una. Ma non può finire tutto qui-

-Come si chiama?-

-È ora che lei si svegli, Roberto-

-Conosce il mio nome? Ma lei chi è? Mi dica il suo nome!-

-Sono Nahid. Saluta i miei figli. E dì pure loro di non soffrire per me-

Fu un violento e doloroso sussulto a riportarlo alla realtà. Respirò grandi boccate di ossigeno, come se questo mancasse ai suoi polmoni, e sollevò di scatto la schiena, toccando la spalla sofferente.

-Ben svegliato- lo salutò una donna vestita di bianco, un'infermiera.

-Era un sogno?!- mormorò Roberto, guardandosi attorno.

-Ha dormito per tre giorni. Il dottore controllerà la sua ferita. Credo che nel sonno abbia staccato la flebo, deve stare fermo se vuole rimettersi in forma-

-No, aspetti! Devo scendere!-

-Ma come, non può muoversi, lei...-

L'infermiera tentò di fermare l'improvvisa forza dell'uomo, ma lui la spinse ad un lato, trascinandosi sui piedi e dirigendosi verso il reparto di neonatologia.

-Dov'è? La donna, dov'è?- chiedeva, mentre dei dottori bloccavano la sua avanzata e lo spingevano indietro.

Lui sembrava fuori controllo, irragionevole, ma placò la sua furia quando notò una barella uscire da una stanza con un lenzuolo nero che copriva una figura.

E lì capì.

Nahid era morta.

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