50. Il passato non si cancella
L'avevano pulita.
Dormiva in una culla omologata, affiancata da altri neonati, ma il suo nome spiccava tra tutti.
Le avevano messo una tutina bianca, corta, che lasciava scoperti i piedini piccoli e rossi, mentre il viso era paffuto, roseo. Sembrava tranquilla Venere in quell'ambiente, inconsapevole del caos che girava attorno a lei.
Agnese la osservava dietro la vetrata, notava ogni movimento, ogni spostamento involontario del corpicino.
Aveva assistito per la prima volta nella sua vita alla nascita di una nuova vita, e si chiedeva cosa sarebbe successo ora che probabilmente sarebbe rimasta sola.
Sua madre non era morta, ma aveva presentato complicazioni ed un'emorragia importante, e i medici tentavano di fare il possibile pur di salvarla.
Quella donna è identica a te.
Socchiuse gli occhi.
A quelle parole Daario era impallidito, l'aveva accompagnata all'ospedale ed era letteralmente scappato un secondo dopo, senza entrare, senza verificare chi fosse la misteriosa sconosciuta, senza dirle nulla.
Si strinse nella sua camicia, quella che le aveva dato per coprirsi, e ne percepì l'odore.
Le risultava impossibile non pensare alla storia del pirata e di sua madre, a Magda. La donna aveva nominato quattro figli, e questo non coincideva con il racconto di Daario.
Eppure...
-Come stai?-
Sussultò appena quando quella voce la richiamò alla realtà. Si voltò, scorse la figura di Can e si rilassò un po'.
-Un po' stanca, credo- rispose, riportando lo sguardo su Venere che ora aveva gli occhi aperti.
-Pensavi a Daario, non è vero? È assurdo, entrambi assumete la stessa identica espressione- ridacchiò lui, scuotendo la testa.
-Che vuoi dire?-
-Che avete un'espressione così seria, così concentrata... entrambi corrucciati- l'uomo simulò una faccia improbabile, ed Agnese sorrise.
-Can posso farti una domanda?-
-Solo una a cui posso rispondere-
-Tu credi... beh, che sia impossibile un rapporto più... più serio con Daario?-
Stavolta lo guardò negli occhi, voleva scorgere sincerità, ma nel suo sguardo vide solo incertezze.
-Ti avevo detto solo domande a cui posso rispondere- disse bonariamente, provando un impeto di tenerezza nei confronti della ragazza, troppo sballata a causa della moltitudine di eventi che si erano verificati negli ultimi mesi.
-Però avrai una tua opinione-
-Agnese, chi sono io per giudicare?-
In un attimo lo sguardo del pirata si fece torbido, nostalgico, ed Agnese capì che stesse pensando a Margherita.
-Però posso dirti una cosa: io e Daario siamo incapaci di amare correttamente perché nessuno ce l'ha mai insegnato e nessuno ce ne ha mai dato- affermò, con un sorriso triste.
-O non sapete riconoscerlo- mormorò la ragazza, per poi sospirare.
-Cosa hai detto a Daario per farlo scappare in quel modo?-
-Che la donna che io e Marghe abbiamo assistito è identica a lui. Credimi, Can. Stesso taglio degli occhi, stessa espressione...-
-Se Daario dovesse incontrare sua madre non sarebbe nemmeno in grado di riconoscerla- la interruppe lui, serio.
Agnese tentennò, ma preferì tacere.
Il silenzio imbarazzante fu interrotto dai passi di Margherita, che si era allontanata per parlare con qualche medico. Indossava degli abiti puliti, troppo grandi per il suo corpo snello, ma almeno non contenevano macchie di sangue.
Si avvicinò a loro, guardandoli entrambi.
-Venere sta bene, ma deve restare in ospedale per alcuni giorni per effettuare accertamenti. Per quanto riguarda la madre, invece... ancora nulla. A proposito Agnese, ora che ci penso, hai notato quanto assomigliasse a Daario?-
La riccia portò lo sguardo verso Can, come per dirgli te l'avevo detto, e questi di risposta roteò gli occhi.
-Va bene ragazze, ho capito, ma non sarò di certo io a convincerlo a visitarla! Sono un suo amico, sarò sempre dalla sua parte, anche quando commette delle enormi cazzate- alzò le mani, eludendo che non volesse più insistere su quell'argomento.
-Esco un attimo, ho bisogno d'aria- affermò Agnese, lasciando i due soli, che si guardavano imbarazzati.
-Sei stata bravissima. Dico sul serio. Tu... sei fantastica- disse Can, guardando Margherita con la solita aria di ammirazione e venerazione, perché non riusciva proprio ad osservarla in maniera differente.
-Ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque al mio posto-
-Non è assolutamente vero, lo sai. Mi domando ancora come tu ci sia riuscita-
Margherita tentennò, torturandosi le mani.
-Marghe, c'è qualcosa che devi dirmi?- domandò allora l'uomo, notando quel cambio d'umore e la nostalgia nell'osservare i neonati oltre la vetrata.
-Sediamoci un attimo- disse lei, conducendolo verso una panchina grigia poco distante, posta lungo il corridoio.
Il pirata la osservava preoccupato, teso. Aveva voglia di toccarla, di prenderle le mani, di afferrarle il viso, ma non fece nulla di ciò che l'istinto imponeva.
-C'è qualcosa che non ti ho mai detto. Ecco... - si bloccò, mordendosi il labbro, e Can le scostò i ciuffi di capelli che ricadevano sul volto chino, per osservarla meglio -nel settembre di tre anni fa ho avuto un ritardo. Tu eri appena partito, ci eravamo lasciati in maniera piuttosto brusca, ed io ero arrabbiata. Pensavo che quel ritardo fosse dovuto allo stress, invece...-
-Santo cielo Marghe, eri incinta?!- esclamò l'uomo, sconvolto, con gli occhi sgranati, increduli.
Lei si limitò ad annuire, poi tirò su il naso.
-Sì. Ero al secondo mese quando l'ho scoperto, ero sconvolta, non sapevo cosa fare. Ho cominciato ad informarmi in biblioteca sulla gravidanza, sul parto, le complicanze... in pochi giorni avevo divorato qualsiasi informazione possibile. Ero spaventata. Poi ho avuto l'epatite e... nulla, ho perso il bambino- soffiò le ultime parole, desiderando che volassero via il più lontano possibile.
Can si sentì il cuore pesante, le orecchie gli fischiavano, la testa girava e la gola era secca.
Portò lo sguardo verso i neonati, e poi su Margherita, che aveva le dita intrecciate e il volto basso. Non voleva mostrargli la sua fragilità, ma in quel momento appariva come un vaso rotto.
-Nostro figlio...-
-Sì-
Can si alzò, camminando avanti e indietro per il corridoio, mentre Margherita lo osservava pallida, con gli occhi lucidi.
Era convinta che avrebbe sbottato, che l'avrebbe rimproverata, che avrebbe sfogato tutta la sua rabbia.
Invece lui si fermò.
Le rivolse una lunga occhiata, le si avvicinò e si inginocchiò, poggiando la testa sul ventre di Margherita, che lo accolse incredula, con le braccia sollevate. L'uomo le circondò la vita, si strinse a lei, affondò il viso in quell'addome piatto, dove tempo addietro aveva seminato una vita.
-Mi dispiace, Marghe. Mi dispiace-
-Dispiace anche a me- sussurrò lei, poggiando delicatamente le dita sui capelli castani di Can, per poi accarezzarli con dolcezza, riservandogli delle premure che solo lei sapeva donargli.
Agnese osservava la scena dal piccolo giardino dell'ospedale, mantenendosi sulle punte e sbirciando da dietro una piccola finestra sporca.
Sorrise appena, per poi voltarsi e quasi perdere un battito quando notò un uomo fin troppo familiare seduto su un muretto, non molto distante da lei. Lo raggiunse con passo lento, senza fretta.
-Sei tornato- gli disse, sollevando il capo per guardarlo meglio, mentre Daario aveva gli occhi che miravano altrove, in un punto che lei non poteva scorgere.
-Come sta la bambina?-
-Bene-
-E la madre...?-
-Non bene-
Il pirata annuì, mentre la ragazza con un piccolo sforzo si dava forza sulle braccia e lo affiancava, sedendosi vicino.
-Agnese, non mi va di parlare di...-
-Non ne parleremo- lo interruppe subito lei -in fondo gli amici servono a questo, no? A stare dalla parte dell'altro, anche quando questo compie enormi cazzate-
-E noi siamo amici?- domandò lui, portando lo sguardo su di lei.
Agnese non potè non pensare a quanto fossero cambiati.
Era tutto nato dalla casualità di un incrocio di sguardi. Lei era una ragazza spaventata, forse infantile, che voleva solo essere accettata.
Era consapevole che il tempo l'avesse fortificata, resa probabilmente anche più matura, ed assieme a lei era cresciuto il rapporto con Daario, alla quale però non sapeva dare ancora una definizione.
-No, non lo siamo- rispose seria -ma sotto un salice ti ho promesso che potevi aggrapparti a me, in qualsiasi occasione. Non sosterrò mai tutte le tue decisioni, non quelle che per me sono sbagliate, ma non significa che tu non possa contare su di me-
Daario la ascoltò in silenzio, notò il suo desiderio di stargli vicino, e ne fu segretamente grato.
-Non so se sono pronto per affrontare il mio passato, se mai fosse in quella stanza-
-Non lo affronterai da solo- mormorò allora lei, quasi spaventata dalle sue stesse parole.
Daario portò lo sguardo al cielo, prese un profondo respiro e scese dal muretto.
-Andrò da lei. Non è detto che sia mia madre, in fondo-
-Sono orgogliosa di te- sorrise allora la ragazza, con le mani strette al muretto, osservandolo.
Lui ricambiò il sorriso e, ancora titubante, si diresse verso l'entrata dell'ospedale.
Salve!
Spero che questo capitolo non sia troppo noioso.
Il caldo afoso oltre alle energie mi ha anche privato di una buona immaginazione, ma spero di riprendermi presto.
Tuttavia sto revisionando la storia, correggendo gli ORRORI grammaticali commessi ed integrando con qualche descrizione in più.
Siamo arrivati al 50esimo capitolo, accidenti!
Grazie a chi mi sostiene ancora, a chi continua ancora a leggerla e sopportarmi!
Buon ferragosto a tutti!
Un bacio❤
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