47. Perla Blu
Se l'intenzione di Daario fosse stata quella di lasciare senza fiato Agnese, quel giorno riuscì nel suo intento.
-Ma dove mi hai portata...- sussurrò appena, con gli occhioni sgranati e la bocca spalancata, voltando lentamente il viso da destra verso sinistra, dall'alto verso il basso.
-Carina, vero?- convenne il pirata con un sorriso, assistendo con le braccia incrociate allo stupore puro ed ingenuo della sua compagna di viaggio, che adesso avanzava lentamente.
Perla Blu era soprannominata così per via delle sue tinte, che ricordavano ad un turista le onde del mare. Migliaia di casette variodipinte con le tonalità del cielo e dell'oceano, erano sovrastate da un vulcano inattivo che sembrava volesse abbracciare il paese. Varie file di scale collegavano la spiaggia al centro abitato, ed altre ancora collegavano le case alla parte rocciosa.
-È magico- commentò Agnese, mentre Daario cominciava ad incamminarsi.
-Andiamo, o farò ritardo all'appuntamento- le disse, mentre lei lo seguiva distratta, osservando i balconi delle casette addobbate con colorate e profumate piante rampicanti.
Sorrise a quella vista, ai vasi colorati che avevano la forma di teste umane, ai negozietti che vendevano oggetti tipici del luogo, all'odore di menta che si liberava nell'aria.
-Devo lasciare questi documenti in quell'ufficio laggiù. Mi aspetti qui?- domandò il pirata, incerto, come se gli sembrasse ingiusto lasciarla sola.
-Sì, certo, ne approfitterò per girare un po' nei dintorni, ti aspetto- annuì lei.
-Cerca di non farti rapire-
-Farò del mio meglio-
Fu così che si ritrovò sola, immersa in quell'oceano artificiale, ad osservare ogni dettaglio delle abitazioni, a salire e scendere ripide scale, a soffermarsi su qualche gioiello che catturava la sua attenzione. Puntò lo sguardo verso un ciondolo tondo, azzurro, legato ad una catenina d'oro. La osservò a lungo.
-Le piace, signorina?- le domandò una donna anziana, con un sorriso senza denti.
-Molto- confermò Agnese, prendendo la collana tra le mani e passandosi il ciondolo tra le dita. Il suo colore era quasi ipnotico, era un gioiello che non passava inosservato, e su di lei avrebbe perso valore.
Lo comprò con i pochi soldi che aveva nella borsa, per poi tornare nel punto dove si era lasciata con il pirata. Lo vide raggiungerla poco tempo dopo.
-Sei stato veloce- disse lei, sollevata di rivederlo.
-Già. Hai comprato qualcosa?-
-Sì-
Agnese estrasse dalla bustina bianca la collana che aveva comprato, mostrandola all'uomo.
-È molto bella-
-Credi che possa piacere a Margherita?-
-A Margherita? L'hai presa per lei?-
-Certo. Un gioiello del genere ha bisogno di stare su qualcuno che possa dargli valore. Chi meglio di Margherita?- rispose ovvia lei, riponendo il regalo nella sua tracolla.
-E per te? Non hai comprato nulla?-
La ragazza scosse la testa.
-Hmm, d'accordo. Ascoltami, io... vorrei andare a trovare una persona. Mi dispiace portarti da una parte all'altra come una bambola, ma...-
-Stà tranquillo, possiamo andare dove vuoi-
-Dobbiamo camminare un po'-
Agnese scrollò le spalle, incurante.
Lui la osservò per qualche secondo, come se dovesse prendere una decisione, ed infine annuì, più a sé stesso che a lei.
Cominciarono ad avanzare verso la parte alta della città, salendo ripide scale, impresa resa ancora più faticosa dal caldo insopportabile.
Daario era silenzioso, aveva l'espressione seria e concentrata, e la ragazza più di una volta si chiese se non si fosse pentito di averla portata con sé.
Le faceva male quel silenzio, la metteva in soggezione, la rimpiccioliva.
-Stiamo andando da mia sorella. Si chiama Magda- disse improvvisamente lui, senza guardarla.
-È da molto che non la vedi?-
-Quasi un anno-
-Lei... vive con tua madre?- si permise di chiedere, incerta e titubante.
Daario fermò la sua avanzata, bloccandosi di colpo. Lei ne approfittò per riprendere fiato, ma l'espressione indecifrabile di lui la preoccupava.
-Scusa, non volevo essere invadente- chinò il capo, mortificata, toccandosi la fascia nera legata al braccio.
Non avrebbe dovuto accettare quell'invito. Doveva restare a Stendhal. Non doveva invadere quel campo, non era il momento giusto, o forse lei non era la persona giusta.
-Io non so dove sia mia madre. Non so se sia viva o morta. Lei è ovunque e da nessuna parte. È sempre stato così- affermò il pirata con la voce spezzata, roca.
Agnese non rispose. Non era in grado di proferire nessun pensiero, nemmeno una sillaba. Ogni frase le sembrava fuori luogo.
-Ha avuto me quando aveva solo diciotto anni. Mio padre perse letteralmente la testa per la cantante squattrinata che viveva qui. Penso che sia stata l'unica donna della sua vita, la stessa che ha segnato il suo declino. Non ricordo molto di lei durante la mia infanzia, mio padre non ha perso tempo nel portarmi con sé nei suoi viaggi. Non lo biasimo, in fondo. Mia madre ha avuto molte relazioni, e solo due figli: me e Magda. Ha abbandonato entrambi. Non è una donna che vuole essere incatenata. Nella sua vita ciò che ha sempre importato era libertà. Nessun vincolo. Nemmeno quello con i suoi figli-
Daario parlò in maniera atona, quasi meccanicamente, ma Agnese immagazzinò tutto il dolore, la sofferenza che covava.
-Preferirei che fosse morta e conservare un bel ricordo di lei. Ma non ho nessun ricordo bello. Avrei potuto perdonare il mio abbandono, ma non quello di mia sorella. Magda ha una malattia genetica che le impedisce di camminare. Ma a mia madre non è importato nemmeno di questo-
Stavolta la voce di Daario era carica di risentimento, odio. Continuava a non guardarla, ad evitare il suo sguardo, e riprese il cammino senza dire nulla.
Agnese lo seguì con un macigno nel petto, barcollante, impotente. Avrebbe voluto abbracciarlo, stringerlo a sé, dirgli che non era solo.
Ma non fece nulla di tutto ciò.
-Siamo quasi arrivati. Magda è stata adottata da una famiglia straniera che risiede qui. Stanno molto bene economicamente, e le danno tutto ciò che io non avrei mai potuto offrirle. Protezione, cure, stabilità. Nella sfortuna, è stata fortunata. Non è sola, lei-
La ragazza accusò il colpo, l'amaro le riempì la bocca, delle fitte le colpirono lo stomaco.
La vedeva. Era una villa decisamente più grande delle altre, maestosa, curata, moderna. Un cancello divideva la strada dalla proprietà privata, ma era aperto.
Una ragazza su una sedia a rotelle girava per il giardino, sembrava che inseguisse con lo sguardo una farfalla.
Agnese tentò di usufruire al massimo della sua buona vista e mise a fuoco la sua figura, per quanto le fosse possibile, ma notò solo capelli lunghi, neri e liscissimi. E gambe magre, rigidi, immobili.
Gli occhi della giovane saettarono verso di loro, e Daario sfoderò un sorriso luminoso, sincero.
-Daario! Daario!- esclamò Magda incredula, mentre il pirata correva verso di lei, come un bambino.
Agnese rimase lontano, in disparte.
Le sue iridi castane, che talvolta presentavano striature dorate regalate dalla luce solare, assistettero ad uno spettacolo naturale e meraviglioso al contempo: le braccia di Magda smaniavano per stringere al petto piccolo il corpo alto e robusto di Daario, che assecondò la sua tacita richiesta stringendo a sé la sorella, con un sorriso spontaneo e felice, condiviso dalla ragazza stessa, che a stento tratteneva lacrime di gioia. Ignoravano l'afa, il sudore, per loro l'importante era unirsi nel loro affetto acerbo, e le labbra della giovane baciarono ben presto le guance dell'uomo, che si lasciò andare a quelle coccole a cui non era abituato. Rimasero incollati, quasi indistinguibili se non fosse stato per quell'orribile carrozzella, che ostentava per ostacolare quell'unione.
Fu in quel preciso istante, mentre pensava che Daario non era mai stato bello come in quel momento, che Agnese arrivò ad un'agognata consapevolezza: il pirata le era entrato dentro.
E non si limitava più agli occhi neri che tanto le piacevano, ai sorrisi stentati, alla barba nera come i capelli, al fascino virile che trasudava.
Era oltre.
Le erano entrate dentro la sua fragilità, la sua rabbia, il dolore accumulato, l'abbandono. La gentilezza nei gesti, la determinazione nelle azioni, l'irruenza nelle decisioni.
E deglutì, perché quelle consapevolezze le bruciavano sulla pelle chiara, infiltrandosi senza permesso nelle vene.
Le era entrato dentro perché si era aperto a lei, si era fidato, si era rifugiato.
Socchiuse gli occhi per tenere sotto controllo l'irrequietezza indomabile del suo cuore.
Le era entrato dentro per gli sguardi intensi, per la vita che senza rendersene conto le stava dando, per essere così diverso eppure così vicino a lei.
E forse non c'era niente di più sbagliato, forse lei era sbagliata, ma lui no. Non poteva, perché era lui l'essenza che aveva smosso qualcosa nel suo animo, qualcosa di ignoto e mai provato prima.
Perché nella sua vita precedente era stata solita a non lasciarsi andare con nessuno, a non provare nulla di più che fosse attrazione fisica, talvolta mentale che però scemava subito, inaridendosi.
Lui era un connubio di emozioni inaspettate, e lo comprese in quel momento, nell'amore che Daario stava dimostrando per sua sorella.
Stupidamente, una lacrima le solcò la guancia abbronzata. Si era emozionata, commossa non solo per lo scenario a cui stava assistendo, ma per essere arrivata a quelle conclusioni.
Magda puntò lo sguardo oltre la schiena di suo fratello, verso quel puntino denominato Agnese.
-Lei chi è?- chiese, facendo voltare Daario.
-Te la presento, se vuoi-
-Mi piacerebbe!- annuì entusiasta la ragazza, invitando con una mano la giovane riccia ad avvicinarsi.
La vide irrigidirsi, ma incamminarsi comunque.
I due consaguinei la seguirono con lo sguardo: la gonna lunga e a fanstasia colorata accompagnava una semplice canotta bianca, lungo la spalla vi era una tracolla viola, e i capelli erano sciolti, rossicci sotto il sole. Sembrava un pupazzo fluttuante sotto i raggi egoisti, una figura instabile, ma decisa nello stesso momento. Quando si avvicinò, furono visibili gli occhi piccoli e lucidi e le guance rosse. Stentò un sorriso sincero, gentile.
-Piacere, io sono Agnese- si presentò con voce chiara, e Magda accettò immediatamente la stretta.
-Io sono Magda, sua sorella- indicò Daario, per poi concentrarsi nuovamente su di lei -non sei di queste parti, vero?-
-No, sono italiana-
-Così lontano? Accidenti! Rimarrete un po' qui? È da tanto che non ci vediamo- stavolta rivolse nuovamente lo sguardo verso suo fratello.
-Entro stasera devo tornare a Stendhal, ma posso intrattenermi un po' se vuoi-
Non usò possiamo, usò il verbo posso. Fu impossibile per Agnese non notare quel minuscolo dettaglio, e chinò il capo.
-Resti con noi?- domandò Magda, gentile.
-No- scosse la testa la riccia, declinando con un sorriso -ne approfitterò per fare un giro in paese. Sono sicura che desiderate passare un po' di tempo insieme-
-Per me non è un problema che tu rimanga-
-Infatti, resta- intervenne Daario, puntando gli occhi sulla ragazza.
-No, davvero. Meritate di stare un po' soli. Io e Daario possiamo vederci spesso, con te è più difficile. Non vi preoccupate, me la caverò- assicurò Agnese, salutando Magda e cominciando ad incamminarsi verso l'uscita della villa.
-Torno subito- mormorò il pirata a sua sorella, per poi correre verso la giovane e bloccarla per il polso.
Lei si voltò lentamente, sapeva che fosse lui e che le avrebbe chiesto tiepidamente di restare, che la sua presenza non era di troppo.
Ma si sarebbero trattate di bugie di circostanza, e lei non le avrebbe assecondate.
-Non voglio che tu vada via- mormorò appena, indugiando incerto nei suoi occhi.
-Non vado da nessuna parte- la mano di Agnese si posò per qualche secondo sulla guancia ruvida dell'uomo, per poi scivolare velocemente via -ma so che hai bisogno di restare un po' con tua sorella. Ed io qui sono davvero di troppo. Non ti preoccupare, ti aspetto, tornerò qui quando vorrai-
-Sei sicura?- si accertò Daario, stranito che lei si rivelasse così comprensiva, matura.
Era vero, forse non era ancora pronto ad esporsi, a condividere così tanto, e solo il fatto che tra le due ci fosse stato un incontro aveva varcato un muro altissimo.
-Và da lei, il tempo scorre- lo incitò Agnese, ricevendo in risposta un bacio sulla fronte, come se fosse un sigillo per proteggerla, onorarla.
-Grazie- disse, allontanandosi per tornare da Magda, mentre la ragazza si addentrava nuovamente per le vie di quel luogo sconosciuto, inspirando l'odore di fiori e case vicine, cibo cucinato e mare.
Si fermò su uno degli innumerevoli gradini. Si sedette, estrasse dalla sua tracolla una bottiglietta d'acqua e bevve, bagnandosi il mento e la canotta. Fissò per alcuni minuti un punto distante ed infine pianse.
Le lacrime scorrevano incontrollate, violente, accompagnate da singhiozzi. Non ce la faceva a tenere nascoste quelle emozioni, a non liberarsi, e il pianto era la sua via per sfogarsi.
Si sentiva sola, aveva paura per ciò che stava provando, stava male per ciò che Daario le aveva raccontato. Lo immaginava piccolo, un bambino indifeso e senza amore, e quel pensiero non andava proprio via.
Non le importava che qualcuno potesse vederla in quelle condizioni, la solitudine la stava soffocando.
-Ne vale la pena?-
Sentì una voce in sottofondo.
Alzò il capo, la vista era appannata, ma delineava una figura maschile che le porgeva un fazzoletto.
Lo accettò incerta, asciugandosi gli occhi e soffiando il naso.
-Ne avevo bisogno- si giustificò lei, osservando quel pezzo di tessuto -te l'ho sporcato, mi dispiace-
-Non importa, puoi tenerlo- disse il ragazzo, sedendosi accanto a lei -stai bene? Hai bisogno di qualcosa?-
Agnese puntò lo sguardo verso un giovane forse un paio d'anni più grande di lei, che aveva gli occhi marcati con la matita nera. Lo osservò per un po', asciugandosi nuovamente il volto.
-Sto meglio, grazie- rispose, schiarendosi la voce.
-Hai bisogno di qualcosa?- domandò preumuroso il giovane uomo, non convinto della sua risposta.
-Ho fame. C'è un luogo dove potrei mangiare qualcosa?-
-C'è un mio zio che fa insalate ottime e ad un prezzo ragionevole-
-Sapresti portarmi da lui?-
-Certo! Comunque io sono Hassan- le fece un piccolo inchino.
-Oh, già, scusami, sono Agnese. A quanto pare ho dimenticato le buone maniere- si imbarazzò lei, seguendo lo sconosciuto.
-Perché piangevi? Mal d'amore? Problemi in famiglia?-
-È complicato-
Camminarono pochi metri, ed Agnese ebbe il piacere di constatare che le insalate fossero davvero buone e piuttosto saporite, e la compagnia di Hassan la faceva sentire meno sola.
-Hai davvero dei bellissimi occhi- constatò la ragazza, mordicchiando il suo pasto.
Hassan era un bell'uomo, affascinante, con i capelli mossi e neri e gli occhi penetranti, probabilmente grazie al trucco che marcava lo sguardo.
-Merito del trucco suppongo-
-A me il trucco non fa gli occhi così- borbottò la giovane, ridacchiando -adesso che ci penso mi ricordi qualcuno-
-Ah sì? Chi?-
-Mio cugino. Se vivessi a Stendhal te lo farei conoscere-
-Vivi a Stendhal?-
-Sì, al momento. È la prima volta che sono a Perla Blu-
-Capisco. Ma sei sola?-
-No, il mio... ecco, il mio amico è con sua sorella. Ed io lo aspetto-
-Quest'amico ti piace proprio tanto, accidenti- constatò Hassan, strofinandosi il mento liscio con la mano.
-Ma che dici- diventò rossa lei, coprendosi il volto tra le braccia.
-Ma dai, ti sei illuminata solo pensandolo! Non c'è nulla di male, lui non è qui. E scusami se te lo dico, ma non avrebbe dovuto lasciarti sola-
-Ho deciso io così, lui non c'entra- scosse la testa Agnese, difendendolo.
Lo sconosciuto annuì non convinto.
Si salutarono poco dopo, la ragazza lo ringraziò più volte per la gentilezza e, un po' triste, tornò verso la villa dove abitava Magda.
Attese fuori al cancello, il sole si stava nascondendo dietro grandi nuvole, e lei giocava distratta con i piccoli ciottoli che trovava per strada, calciandoli lontano.
-Hai finito di torturare quei piccoli sassi?-
Si voltò di scatto, trovando avanti a sé l'espressione divertita di Daario. Sorrise appena.
-Tutto bene?- le chiese lui, notando il volto leggeremente stanco della ragazza.
-Tutto bene. A te?-
-Tutto bene-
Agnese annuì, non chiedendo altro.
-Io ho finito qui- la informò il pirata, continuando ad osservare sospettoso il volto indecifrabile della giovane.
-Capisco. Se vuoi possiamo tornare a Stendhal- rispose lei arrendevole.
-Hai pranzato?-
-Sì-
-Possiamo passeggiare insieme per il paese-
-Come vuoi-
Non riusciva a spogliarsi di quel velo di tristezza che era piombato su di lei. Temeva che fosse un'ombra indesiderata per Daario, che non la volesse lì, che cercasse di accontentarla.
Eppure si era confidato.
Ma allora perché si sentiva il cuore pesante? Cosa le prendeva?
Attraversarono in silenzio le vie, le salite e le discese, e passarono accanto ad un piccolo parco. Agnese si intrattenne ad osservare i salici, i rami che si dirigevano in basso come delle lacrime. Si diresse sotto una di quelle chiome, seguita da Daario che la guardava incuriosito.
-Agnese?-
-Hmm?-
-Cos'hai?-
-Nulla- rispose lei, poggiando il palmo sul tronco di un salice, mentre alcune foglie le solleticavano il collo.
Sotto quel cappello naturale passavano timidi dei deboli raggi solari, dando l'impressione di essere circondati da fasci luminosi.
-Agnese. Cos'hai?-
-Nulla, davvero-
-Perché non lo dici guardandomi negli occhi?-
-Per favore Daario, lascia stare- chinò il capo lei, poggiando la schiena all'albero.
Lui si mise davanti a lei, con sguardo scrutatore.
-Dimmi cos'hai-
Agnese sollevò finalmente la testa, incrociando gli occhi neri e accusatori di Daario, e non potè frenare il pizzicore che infastidiva la sua vista.
-Non voglio che tu stia male- mormorò appena, un groppo in gola.
-Ma che dici...- si stupì il pirata, avvicinandosi di più al suo corpo.
-Non voglio che tu stia male. Dico sul serio. Non voglio-
-Ma io non sto male- sorrise appena lui, racchiudendo tra le mani il viso della giovane.
-Ma ti senti solo-
-Non quando sono con te-
Un singhiozzo uscì dalle labbra di Agnese, seguite da due lacrimoni caldi che Daario si apprestò ad asciugare con i pollici.
-Non piangere- le disse, passando le labbra sulle guance, sugli occhi di lei, intrappolando quelle catene d'acqua.
La ragazza si avvinghiò a lui, stringendolo forte a sé, affondando il viso nel suo collo, verso l'attaccatura dei capelli. Il pirata ricambiò quella stretta disperata, la tenne forte a sé, inspirò il suo odore, le sue paure.
-Aggrappati a me. Quando ti senti solo, quando hai paura, quando stai male. Aggrappati a me- mormorò Agnese al suo orecchio, provocandogli un vulcano di emozioni nel petto, nello stomaco, nel cervello.
-E tu a me- ricambiò l'uomo, prendendo il volto della ragazza tra le mani -tu a me- ripetè, inchiodando gli occhi lucidi che in quel momento si stavano affidando a lui.
Se lo promisero in quel paese sconosciuto.
Sotto un salice.
Lontano dal resto del mondo.
Spero che siate arrivati fin qui, alla fine del capitolo più lungo della storia (al momento).
Spero che via sia piaciuto, in questo momento mi sento prosciugata!
Per quanto riguarda il paese, mi sono ispirata a Chefcaouhen, in Marocco.
Grazie per chi mi ha seguita fin qui!
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