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39. L'altra parte di me

Vincent Valli era sempre stato considerato, da suo padre e segretamente dai suoi conoscenti, un ragazzo pigro, uno scansafatiche, e talvolta un attaccabrighe. Lui era consapevole di essere in quel modo, e non faceva nulla per smentire quelle voci, perché quella facciata ne copriva un'altra, molto più profonda, che lo terrorizzava.
Era incapace di gestire una parte di sé che in fondo sapeva di possedere da sempre ma che solo negli ultimi mesi lottava per uscire, prepotentemente e sempre più a gran voce. C'erano due Vincent nello stesso corpo, e gestirli entrambi non solo era estremamente difficile, ma anche pericoloso, perché era cosciente che prima o poi una delle due avrebbe comandato sull'altra, uccidendo inevitabilmente una parte di sé stesso.

Il culmine del turbamento giunse un lunedì pomeriggio, dopo un'intera mattinata passata solo in casa a dormire, poiché la sua famiglia non era presente. Non si era domandato il motivo di quell'assenza, talvolta dimenticava anche che Agnese fosse tornata, mentre suo padre... beh, impegnato tra il lavoro e la sua totale incapacità di empatizzare con il figlio, era come una figura mistica.
Fu attratto dal tumulto di voci, schiamazzi, toni sconosciuti.
Si diresse ancora assonnato per la notte in bianco verso l'ingresso, con una camicia sgualcita, i capelli in disordine e i pantaloni in cotone con un bottone aperto.
C'erano quattro figure nella stanza: suo padre, sua cugina, una donna sulla cinquantina ed un ragazzo che gli porgeva le spalle.

Quando Agnese lo scorse, oscillò il braccio e lo invitò ad avvicinarsi a quel gruppetto. Lui annuì non convinto, con la sola intenzione di restare in pace con sé stesso. Roberto lo osservava con un velato tono di rimprovero, ma non proferì parola.

-Vincent, loro sono Dalia e Graham- li presentò la ragazza, e lui rivolse una fugace occhiata alla donna dai capelli bianchi, per poi spostare lo sguardo sul ragazzo.

Senza neanche rendersene conto, si ritrovò a studiarne i tratti: lineamenti duri, decisi, che gli davano un'aspetto da uomo tutto d'un pezzo; occhi sottili e verdi, non un verde qualsiasi, ma una tonalità che ricordavano le olive grandi e succose, e i capelli erano rasati, ma dal colore delle sopracciglia Vincent presuppose che fosse biondo. Aveva le spalle dritte, le gambe divaricate, e forse lo osservò un po' troppo a lungo, perché avvertì la voce di sua cugina richiamarlo nuovamente.

-Allora, ti va bene?-

-Eh, cosa?!- tentò di riprendersi il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli castani e deglutendo, senza evitare un imbarazzante rossore che si impossessò delle sue gote.

-Vincent, ma stai bene? Ho detto che Dalia e Graham resteranno per un po' nella villa, finché non troveranno un'altra abitazione sicura- lo informò la giovane, e lui ebbe l'impressione di essersi perso troppe cose in quei giorni, di essere rimasto all'oscuro di tutto.

-No, aspetta, cosa? E dove dormiranno?-

-Dalia può dormire in camera di Agnese, e Graham in camera tua- intervenne Roberto, fossilizzando lo sguardo sul marcato turbamento del figlio, che era rimasto con la bocca aperta, incapace quasi di reagire.

-Cosa?! Mi dispiace, ma in camera mia non è possibile- scosse il capo Vincent, estremamente contrariato, per poi rivolgere gli occhi verso Graham e riavvertire una sensazione di fastidioso malessere, tentennamento.

-Perché no? Non sarà per molto, per favore!- lo supplicò Agnese, avvicinandosi a lui e assumendo un'espressione di tacita preghiera, che però suo cugino non riusciva proprio ad accettare.

-No, non se ne parla, mi dispiace-

-La decisione è già stata presa e non si discute. Accompagnalo in camera tua, forza- comandò Roberto, e in quel momento Vincent si sentì impotente, un pesce fuor d'acqua.

Fece come gli era stato detto, solo perché lui in quella villa si era sempre considerato un ospite e non un abitante. Graham lo seguì in silenzio, osservandolo in quel fascio di nervi che il ragazzo era in quel momento, e portando con sé un borsone con poche cose essenziali.

Il figlio del padrone di casa lo fece entrare nella sua stanza, a disagio.

-Immagino che aggiungeremo un letto qui... staremo comodi, sommariamente- gli disse, più per educazione che per cordialità.

-Ce ne andremo il prima possibile, te lo assicuro. L'idea di essere un parassita mi disturba e non poco. Ma stamattina ho parlato con Agnese e tuo padre, e mi hanno assicurato che con noi hanno le migliori intenzioni. Non sono pericoloso, Vincent, io e mia madre siamo solo due scherzi di questo maledetto destino- affermò Graham, con voce roca e tagliente, e Vincent percepì dei brividi lungo le braccia, sia per il tono che per le parole appena uscite.

-No, non preoccuparti, non siete di disturbo. Mi sembra solo strano condividere i miei spazi con un'altra persona, non sono...- prese un attimo di respiro, troppo agitato per quella cascata di eventi ed emozioni che lo stavano turbando -abituato- terminò con un sospiro.

-Cercherò di dare il meno fastidio possibile, te lo assicuro-

-Ah, a proposito, posso chiederti una cosa?- domandò Vincent, riprendendo improvvisamente lucidità.

Graham aggrottò la fronte, però annuì.

-Certo-

-Ma tu, esattamente, chi saresti?- domandò, e il nuovo ospite trovò quella domanda talmente spontanea quanto ingenua che si liberò in una breve risata.

-Tu e tua cugina non parlate molto, immagino-

-Non molto, in effetti. Forse è colpa mia, non credono che sia una persona tanto affidabile- commentò il ragazzo, non riuscendo ad evitare un tono aspro e dispiaciuto.

-Sono semplicemente un uomo che si è trovato nel posto giusto al momento giusto. Ho visto che Agnese era in evidente difficoltà, e non ho avuto un attimo di tentennamento nel salvarla da morte certa. Per alcuni giorni mia madre ed io l'abbiamo curata e vegliato su di lei, ma lei dormiva. Immagina che quando si è svegliata mi ha aggredito con un frammento di vetro- il ragazzo rise, e quel sorriso coinvolse anche Vincent, che finalmente non si sentì escluso dalla vicenda -aveva perso momentaneamente la memoria. Avevamo pensato di tenerla con noi finché non si fosse ripresa del tutto, ma lei è scappata. Ti dirò la verità, sono ancora piuttosto offesso e contrariato dal tuo atteggiamento, ma mi sembra seriamente dispiaciuta-

-Lo è, te lo assicuro. In questi giorni vagava per casa come un'anima in pena- confermò Vincent, capendo chi fosse il protagonista della teoria "sindrome di Stoccolma", e Graham sembrò sentirsi sollevato da quelle parole.

-Torniamo dagli altri?- propose l'ospite, dopo qualche attimo di silenzio.

-Eh?! Ah, sì, sì certo. Un'ultima domanda-

-Dimmi-

-Hai il sonno leggero o pesante?-

-Molto leggero-

-Ah. D'accordo- annuì Vincent, nascondendo un eccesso di inquietudine che si era impossessata dei suoi occhi quasi color grano.

Si domandò come avrebbe fatto a nascondere ancora la sua vita notturna, i suoi rientri furtivi, l'altra parte di sé.
Forse, proprio quella parte, aveva trovato la via giusta per uscire.

Capitolo di passaggio anche questo, me ne rendo conto, e stavolta dal punto di vista di Vincent. Ho sempre voluto approfondire questo personaggio, non lasciarlo come una pedina su uno schermo, e spero che un minimo minimo minimo vi abbia interessato!
Grazie♡

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