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28. Ritardo

-Lei dov'è?- domandò Graham, prendendo una mela dal cestino della frutta e mordendola, mentre sua madre tagliava le carote per preparare il pranzo.

-Indovina un po'- rispose Dalia, rivolgendogli uno sguardo complice.

-Ancora in bagno? Ma sicuro che stia bene? E se stesse cercando di farsi del male?- ipotizzò l'uomo improvvisamente agitato e preoccupato, lasciando stare il frutto sul tavolo.

-Ascolta, perché non esci un po'? Và a prendere dell'acqua pulita. Magari la ragazza ha bisogno di aiuto e si imbarazza se ci sei sempre tu attorno- sentenziò la donna, pulendosi le mani e posandole sui fianchi larghi.

-Sono giorni che non ci parla, credi davvero che riuscirebbe a confidarsi con te?!- replicò il figlio, scettico e segretamente offeso da quell'ipotesi.

-Ascolta tua madre. Và e torna tra poco- ripetè Dalia, posando una mano sulla spalla del ragazzo che però si scostò ed uscì di casa a passo svelto ed innervosito.

La donna sospirò sconfitta e si diresse verso il bagno, bussando alla porta.

-Ehi, tutto bene lì? Hai bisogno di qualcosa? Problemi di stomaco?- chiese lei, avvicinando l'orecchio per percepire la presenza di qualche rumore.

Avvertì solo dei passi e si allontanò prontamente, assistendo alla comparsa della giovane dal volto pallido e quasi sconvolto, che si dirigeva frettolosamente verso una sedia per non rischiare di svenire.

-Tutto bene? Puoi parlarne- mormorò Dalia, avvicinandosi cautamente a lei e sedendosi al suo fianco.

-Graham è in casa?-

-No, siamo sole. Puoi parlare, se vuoi-

Agnese si passò una mano tra i capelli corti, mentre il piede batteva nervosamente sul pavimento. Socchiuse gli occhi e respirò profondamente, tentando di essere più lucida.

-Quando mi avete trovata, ero sporca di sangue?- domandò improvvisamente, inchiodando gli occhi scuri a quelli confusi della sua interlocutrice.

-Sì, certo. Avevi ferite ovunque e...-

-Non mi riferisco a quel tipo di sangue- la interruppe la giovane, arrossendo appena.

-Oh- rispose interdetta la donna, titubante -no-

-Lo sapevo, dannazione!- esclamò la ragazza, con la voce prossima ad una crisi di pianto.

Le dita tremavano, come le sue labbra e le palpebre stanche.

-Cosa ti turba? Perché sei così sconvolta?- chiese Dalia, lasciandosi trasportare dalla sua paranoia.

-Ho un ritardo-

-Cioè...-

-Cioè non ho le mestruazioni. Nessuna perdita, nessun gonfiore, nessun dolore! Ho fatto dei veloci calcoli, e secondo il conteggio dovrei avere un ritardo di qualche giorno, forse cinque. È impossibile che le abbia avute prima, o mi avreste trovata sporca di sangue, e ciò non è successo. Io... io sono terrorizzata- confessò la ragazza sconvolta, con il cuore che scalpitava prepotente contro il petto e gli spilli che le pungevano gli occhi e la testa.

-Non penserai che mio figlio ti abbia fatto del male, vero?- si assicurò Dalia, rossa in volto.

-No. Non credo che siate così vili. Ma chi mi ha rapita... e se mi avessero violentata? Se fossi... no, non ci voglio pensare!-

Scattò il piedi come un fulmine, rovesciando la sedia e dando sfogo alle lacrime che lottavano imperterrite contro i nervi, che finalmente concessero il potere di scendere copiosi lungo le guance giovani e corrose dai troppi problemi e preoccupazioni.

Dalia si alzò con lei, sistemò la sedia e si avvicinò cautamente.

-Non pensare subito al peggio. Ascolta, tu non hai molti ricordi, magari sei solo confusa... o magari...-

-Magari cosa?- sbottò la ragazza, sollevando un sopracciglio.

-Magari avevi un fidanzato e...-

-No. Non è così. E in tal caso, avrei perso il feto dopo tutte quelle violenze subite e il digiuno. Santo cielo, mi sembra di impazzire- singhiozzò la giovane, mettendosi entrambe le mani tra i capelli ricci, che sembravano essere spenti quanto lei.

Dalia porse le braccia in avanti, con l'intenzione di accoglierla in un gesto affettuoso, ma il corpo di Agnese era in preda ad un fascio di nervi tremanti.

-Voglio mamma. Voglio stare con con la mia mamma. Portami da lei- pianse, disperata, per poi fiondarsi tra le braccia della donna che l'aveva trovata ed accolta, solo per avere un po' di calore umano.

Dalia, dapprima incerta, abbracciò la giovane, accarezzandole con delicatezza il capo e dandole modo di sfogarsi, accogliendo le sue lacrime e i suoi singhiozzi.

-Ci sono io con te, non avere paura- mormorò dolcemente, mentre il cuore le si riempiva di pena e compassione.

Graham aprì improvvisamente la porta e rimase interdetto e quasi sconvolto nell'assistere a quella scena.

-Che succede?- domandò, senza però avvicinarsi a loro.

Era come se capisse che in quel quadro, non c'era posto per lui.

-Nulla, è solo tanto stanca- Dalia liquidò frettolosamente la faccenda, mentre la ragazza si allontanava dalla stretta, ringraziandola con lo sguardo.

-Stai bene?- domandò l'uomo, ricevendo un'occhiata di fuoco.

-Ti pare che stia bene?!- sbottò Agnese, prendendo un fazzoletto di stoffa che le porse Dalia ed asciugandosi il volto.

Graham non fiatò, ma durante tutto il pranzo non riuscì a staccare gli occhi e la mente dalla giovane, che aveva invece il capo chino e mangiava senza appetito, solo per soddisfare il suo corpo debole.

Il pomeriggio stesso, usando una scusa con sua madre, l'uomo convinse Agnese a seguirlo. Lei accettò riluttante, ma la sua testa era talmente confusa che non aveva neanche la forza di prendere una decisione sensata.
Non parlarono molto durante il tragitto, nemmeno quando il ragazzo chiamò Spirit con il suo caratteristico fischio e la fece salire sul cavallo.
Era abbandonata completamente a lui, e se le avesse fatto del male sarebbe stata solo colpa della sua ingenuità.

Chiuse gli occhi durante la cavalcata, come se durante il percorso desiderasse solo volare lontano, in un posto dove poteva essere serena e, magari, anche felice.

Graham arrestò bruscamente l'avanzata, costringendola ad aprire le palpebre.

-Siamo arrivati- annunciò lui trionfante, aiutandola a scendere dal cavallo.

Agnese si osservò attorno, con le gambe ancora deboli e il respiro accelerato. Tremava, e quel passaggio non faceva che acuire quell'emozione.

Davanti a lei, si estendava il mare, calmo come una tavola e arancione, poiché aveva preso in prestito il colore dei raggi solari.

-Perché mi hai portata qui?- chiese lei, fredda, imperscrutabile.

-Pensavo che ti sarebbe piaciuto vedere il mare...- rispose lui, incerto ed imbarazzato.

-Pensi davvero che portandomi qui avresti risolto tutto? I miei problemi, la vostra ossessione nel tenermi rinchiusa? Davvero? Non siamo in un romanzo d'amore, ragazzo- affermò, incrociando le braccia al petto indispettita.

-Speravo che per poco tu dimenticassi i tuoi problemi. Pensavo che il mare ti piacesse e che...-

-Infatti il problema non è il mare, il problema sei tu-

La voce della ragazza risultò volutamente graffiante, e l'uomo si sentì spiazzato e leggermente deluso da quelle parole amare.
Dopotutto, forse, doveva aspettarselo.
Era stato uno stupido ed un ingenuo, avrebbe dovuto fregarsene di lei e del suo stato e trattarla come sempre.
Aveva mostrato il suo lato più compassionevole e buono, ed era stato ferito.
Come sempre, d'altronde.

-D'accordo, torniamo a casa- sospirò lui, ma lei scosse la testa.

-Ormai siamo qui. Tanto vale approfittarne- disse, allontanandosi da lui e dirigendosi verso la battigia.

Si sfilò i sandali, affondando i piedi nella granulosità della sabbia che la accolse come una nuvola calda. Una sensazione di torpore e piacere si impossessò di lei man mano che le sue estremità si lasciavano accarezzare, e questa sensazione raggiunse l'apice quando il mare avanzò su di lei, bagnandola fino alle caviglie. Sorrise inaspettatamente, come una bambina.

Alzò la gamba e le gocce schizzarono come fuochi d'artificio davanti a lei. Lo fece ancora, le piaceva vedere quella pioggia creata da lei, mentre l'acqua aveva ormai raggiunto i polpacci.

Graham se ne stava in disparte, accovacciato sulla sabbia, e la osservava in silenzio. Guardava la sua figura che appariva scura con i raggi del sole che sembravano farle da ombra, e notare un sorriso sincero comparire finalmente non solo sul suo viso, ma anche nei  suoi occhi lo fece stranamente sentire bene.

Non staccò lo sguardo nemmeno quando la vide sbottonarsi i pantaloni e gettarli al largo, restando solo in intimo e con la camicia addosso. La guardò incuriosito ma al contempo dispiaciuto nel vedere gli ematomi che dipingevano il suo quadro costituito dalle gambe lunghe.

Lei si voltò, dedicandogli un fugace sguardo.

-Perché non vieni con me?- lo invitò, ma lui scosse la testa.

Preferiva restare lì, osservarla da lontano, ammirare quel passaggio da spettatore.

-No. Resto qui-

-Chi mi dice che non scapperai e mi lascerai qui sola?- urlò lei per farsi sentire.

Nonostante scherzasse, in quella domanda c'era una paura radicata nel profondo. Quella di essere abbandonata.

-No. Non ti lascio- rispose lui, e quelle parole arrivarono dritte al ventre di Agnese, che arrossì senza neanche rendersene conto.

Gli voltò le spalle e si tuffò completamente nella distesa di acqua salata, immergendosi e desiderando di essere una sirena libera, indipendente.
Il contatto totale con l'acqua le provocò una scossa di brividi, ma per la prima da quando aveva ricordo quelle scosse erano piacevoli.
Allargò le braccia e poi le richiuse, constatando che sapesse nuotare alla perfezione, ma c'era un dettaglio che mancava.

Con metà voltò nel mare, osservò Graham, che faceva lo stesso con lei.
Ad un tratto, cominciò a dimenarsi, a ad immergersi e poi riemergere a fatica.

-Aiuto, Graham! Aiuto! Affogo, affogo!- esclamò, dimenandosi come un uccello in gabbia.

L'uomo, attivo come un fulmine, non ebbe nemmeno la premura di togliersi i vestiti che si fiondò subito nel mare, raggiungendola dopo poche bracciate.
Quando le fu vicino, però, si rese conto che la ragazza non era affatto in pericolo e che stesse ridendo di gusto.

-L'hai fatto apposta!-

-Perspicace!- esclamò lei, prima di buttarsi su di lui ed immergerlo completamente nell'acqua, per poi staccarsi e guardare la scena divertita.

Graham riemerse poco dopo, con gli occhi rossi per il sale e una leggera tosse.

-Ma sei scema?!- esclamò istintivamente, strofinandosi il volto.

-Bla bla bla... dovevo convincerti in qualche modo- sorrise la giovane, avvicinandosi a poco a poco a lui.

Graham la osservò incuriosito, e pensò che con quei capelli bagnati che le si appiccicavano al viso, le guance rosse, le labbra più gonfie e le ciglia nerissime fosse davvero graziosa.

-Mi sento strano- mormorò l'uomo, inchiodando lo sguardo in quello della ragazza e percependo una stretta al petto.

Lei tentennò, indugiando nelle iridi verdi, e chinò il capo, sorridendo appena.

-Forse è meglio che usciamo- disse Agnese, senza aspettare una sua risposta.

In un certo senso, si sentiva strana anche lei.

Salve!
Spero che questo capitolo, più lungo rispetto ai precedenti, sia risultato comunque scorrevole e non noioso!
Che ne pensate di Graham? E del ritardo di Agnese?
Fatemi sapere cosa ne pensate♡
Grazie a tutti♡

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