26. Il piano
Il tragitto per tornare a casa fu silenzioso, ostile. Graham rivolgeva fugaci occhiate alla giovane accanto a sé, come per controllare se ci fosse ancora, ed ogni volta vedeva il suo sguardo vuoto, spento.
Anche il suo passo era differente, trascinato.
-Non pensavo che l'avrei mai detto, ma sei più tollerabile quando urli che quando ti chiudi in questi fastidiosi silenzi-
-Oh, scusami se ho appena visto due cadaveri in putrefazione e non sono di ottima compagnia, scusami davvero!- replicò lei, seccata, velocizzando il passo per aumentare la distanza da lui.
-Volevi farmi delle domande, no? Avanti, ti ascolto-
-Non sono in vena. Anzi sì, una domanda vorrei fartela- si fermò di scatto, inchiodando gli occhi infuocati in quelli olivastri dell'uomo, che la osservava incuriosito -perché non mi hai lasciato in quella tomba? Perché mi hai salvata? A quest'ora tutti i miei problemi sarebbero risolti!-
-Perché ci servi- rispose semplicemente Graham, con una schiettezza talmente brutale da colpire la ragazza, che istintivamente indietreggiò.
-A cosa?-
-È meglio se ne parliamo anche con mia madre. Ecco, siamo quasi arrivati, si vede la casa. Sicuramente ci aspetterà per il pranzo- disse l'uomo, e lei lo seguì senza fare altre domande ma mantenendo lo sguardo fisso e diffidente su di lui.
Graham aveva ragione, il pranzo era pronto, ma la visione dei due corpi era ancora ben visibile nella testa della ragazza, che mangiò poco quanto nulla.
-Devi nutrirti se vuoi guarire completamente, o non ti rimetterai mai completamente in forze- la riprese Dalia, che aveva i capelli bianchi legati elegantemente in una lunga treccia.
-Ah, per i vostri scopi vi servo in forze? Perché non mi dite chiaramente cosa cercate da me? È ovvio che tutto questo cibo gratuito dovrò scontarlo- quasi li aggredì la ragazza, al colmo della sopportazione.
Era stanca, quella mattina era stata particolarmente difficile, e la mano pulsava ancora dolorante per i colpi inflitti contro l'albero centenario.
-Ma per chi ci hai preso?! Hai ragione, dovevo lasciarti morire in quella tomba!- la riprese allora Graham, sbattendo i punti contro il tavolo di legno e facendole sobbalzare, mentre la mano di Dalia cercava di placare l'ira del figlio, posandosi sul suo polso.
La giovane affrontò sfrontata lo sguardo carico di risentimento dell'uomo, come se fosse partita una silenziosa sfida. Nonostante, sotto i modi spesso bruschi, lui si fosse dimostrato addirittura gentile, lei si era imposta di non fidarsi completamente, di pensare che anche lui come altri in precedenza volessero solo approfittarsi di lei per conquistare i propri scopi.
-Ti dirò la verità. Ma devi calmarti, anzi entrambi dovete farlo. Ve ne prego- intervenne Dalia, guardandoli entrambi e ricevendo un impercettibile consenso.
-Voglio solo che mi raccontiate la verità- affermò la ragazza, impaziente.
La donna annuì lentamente, prima di lasciarsi andare ad un sospiro.
-Ero una cameriera, tempo fa. Lavoravo in una locanda frequentata principalmente da pirati. Ero tra le più giovani ed inesperte, ma sapevo come farmi rispettare. Ma la mia ingenuità mi costò cara. Attratta dalle lusinghe di un uomo apparentemente gentile, fui trascinata con la forza in un sotterraneo, forse un deposito di armi, non saprei dire. Lui... tentò di violentarmi-
Agnese portò istintivamente le mani alle labbra, visibilmente scossa, mentre Graham assottigliò lo sguardo, sofferente nell'ascoltare quella storia.
-Mi dispiace- mormorò la ragazza, a fior di labbra.
-Per fortuna il peggio è stato evitato: un uomo è giunto in mio soccorso, ma la situazione è precipitata. L'ha colpito, e il mio aggressorre è morto. Io sono scappata, ero terrorizzata, e non ho avuto nemmeno il tempo di ringraziare chi mi ha salvato. Pensavo di essere in salvo, ma lì sono partiti tutti i miei problemi. E poi... non ero sola. Avevo un bimbo in grembo- Dalia porse uno sguardo verso suo figlio, che le strinse teneramente la mano e le fece un sorriso di incoraggiamento, instigandola a proseguire il racconto -la notizia della morte del pirata si estese a macchia d'olio. Alcuni l'avevano visto allontanarsi con me, perciò per un po' fui considerata la colpevole, era un uomo molto apprezzato sull'isola, e sicuramente uno dei più potenti. Neanche quando il mio salvatore confessò la verità fu sufficiente: ero considerata una poco di buono, una donna senza rispetto e considerazione, e il fatto che fossi incinta non migliorava la situazione. Molti isolani cominciarono a pensare che fossi pericolosa, altri che portassi sfortuna ed altri ancora che rubassi i mariti alle donne. Fui costretta ad isolarmi per non subire provocazioni, isolamenti, pettegolezzi. Sai, questa casa prima era solo un capanno. È stato solo grazie a qualche amico che mi era rimasto vicino che sono riuscita a convertirla in una dimora. E poi è nato Graham. Siamo sempre rimasti qui, uso il mantello per nascondermi il più possibile-
-Ma... perché lo indossi anche tu? Cosa c'entri?- domandò la ragazza, guardando stavolta l'uomo che sorrise beffardo.
-La vedi questa cicatrice? Mi hanno marchiato quando ero solo un bambino. Ho tentato più volte di integrarmi in paese, e questo è stato il risultato: un marchio per far capire che il mio sangue non è diverso da quello di mia madre- spiegò quasi meccanicamente, toccandosi il solco che presentava lungo la guancia.
Lei lo guardava fisso, quasi assorta, e si pentì di essersi comportata in modo aggressivo nei suoi confronti. Non era un ragazzo cattivo, semplicemente il mondo lo aveva reso ostile e diffidente.
Forse non erano poi così diversi.
Ma questo non poteva ricordarlo.
-Io a cosa vi servo?-
-Tu sei la nostra salvezza! Io sono fermamente convinta che tu non sia una ragazza come le altre. Sei straniera, hai le mani curate, è ovvio che tu in qualche modo sia imparentata con qualcuno di importante! Se annunciassimo al paese che siamo stati noi a trovarti e salvarti, saremmo reintegrati nella società! A me non fa più differenza ormai, ma non voglio che mio figlio sia più additato come il consaguineo di una poco di buono. Non ha nessuno, solo me. Ci aiuterai, vero?- la supplicò Dalia, prendendole le mani e inchiodando gli occhi ai suoi, pregandola con lo sguardo.
-Chi vi dice che qualcuno mi stia cercando?! E soprattutto che sia imparentata con qualcuno di importante?! Credete davvero che avrebbero lasciato che mi rapissero in quel modo? Il vostro piano fa acqua da tutte le parti!- esclamò, alzandosi dal tavolo e camminando per la stanza.
-Per favore, ragiona! Sei la mia unica salvezza, io non sopporto più l'idea che mio figlio viva come un emarginato!- la voce di Dalia era roca, prossima al pianto.
-Allora andiamo subito al paese. Immediatamente! Cosa aspettiamo?- propose la giovane, poggiando le mani sui fianchi.
-Non possiamo- mormorò la donna, quasi impaurita.
-Non sei completamente guarita dalle ferite, e se qualcuno ti vedesse in quelle condizioni ci accuserebbe. Inoltre hai perso la memoria, e finché...- cominciò a dire Graham, ma la ragazza lo interruppe con un gesto della mano il suo discorso.
-Aspettate! Mi state dicendo che finché non sarò guarita e non recupererò la memoria io dovrò restare qui?! Ma siete impazziti? Io non vi conosco nemmeno, ho bisogno di cercare i miei familiari, e di certo non posso farlo qui!- si lamentò Agnese, in preda ad una crisi di nervi.
-Mi dispiace, non abbiamo scelta- sussurrò Dalia, chinando il capo.
La ragazza guardò prima lei e poi Graham, come se sperasse che potesse tenderle una mano.
-Un oggetto, ecco cosa sono per voi, un dannato oggetto danneggiato! Vi odio!- esclamò tra le lacrime, correndo nella stanza che la piccola famiglia le aveva riservato e gettandosi sul letto, bagnando prontamente il cuscino.
Graham seguì la reazione di lei con attenzione, per poi guardare sua madre che fece lo stesso.
-Vado da lei- affermò lui, alzandosi dal tavolo per raggiungerla, ma la mano della donna lo fermò.
-Aspetta, forse vuole restare sola-
Graham si liberò da quella stretta e le sorrise, dandole una pacca sulla spalla.
-Credo che la cosa peggiore sia proprio lasciarla sola, mamma- la rassicurò, per poi raggiungere la giovane entrando cautamente nella sua stanza.
La ragazza era stesa sul letto, voltata di spalle, e tremava.
Lui si sentì terribilmente a disagio, ma si accomodò sul letto, di fianco a lei.
-Non credi che per oggi tu abbia pianto abbastanza?-
-Non sto piangendo- borbottò lei, mentendo visibilmente.
-D'accordo. Ascoltami, mi dispiace che ti senta un oggetto, e sono sicuro che al posto tuo mi sentirei nella stessa maniera. Ma tu per noi sei solo una possibilità. E per quanto questo possa consolare, non ti tratteremo male. Te lo posso assicurare-
Le parole di Graham non ebbero risposta, ma la ragazza ascoltò attentamente, senza distrarsi.
Lui sospirò, passandosi una mano sul capo, tra i capelli corti.
-Sono un burattino nelle mani di padroni diversi- mormorò la giovane allora, calmando il pianto.
-No, non lo sei. Anzi. Sei una speranza. Senza di te probabilmente non avremmo nemmeno il pensiero di un barlume di luce-
Quelle parole suscitarono un sorriso inaspettato sulle labbra della ragazza, che tentò di nasconderlo affondando il viso nel cuscino.
L'uomo sollevò leggermente la mano e, con un po' di timore e timidezza, la posò sulla sua schiena, accarezzandola leggermente e con un tocco delicato.
-Cerca di non odiarmi troppo, se puoi- le mormorò, prima di alzarsi ed uscire dalla stanza.
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