23. Amnesia
Aspettò trepidante che quei passi, che rimbombavano come il rintocco di un pendolo, si facessero più vividi, più vicini.
Il cuore le scoppiava nel petto, ed era una sensazione strana quell'assurda tachicardia, perché ad ogni battito le sussurrava qualcosa: tu sei ancora viva.
Deglutì, e sembrò che quel movimento riecchieggiasse per la stanza, per quanto ci fosse un silenzio tombale.
Vedeva il proprio petto abbassarsi ed alzarsi freneticamente, coperto da una camicia che non poteva appartenere a lei, così come anche quei pantaloni.
Qualcuno l'aveva spogliata, Dio solo sapeva chi, e notando le ferite e gli ematomi capì che i suoi aguzzini non si fossero limitati solo a quello.
I passi erano sempre più vicini, il momento era arrivato.
Appena la porta di legno cigolò, saltò addosso alla figura incappucciata dandosi lo slancio con le braccia, e questa per la sorpresa cadde a terra come un peso morto, sovrastato dal corpo della ragazza che puntava un coccio di vetro verso la sua gola.
Finalmente il cappuccio scivolò dal capo, rivelando le sembianze di un ragazzo forse poco più grande di lei, che la guardava stranito e certamente sorpreso.
Vide due occhi verdi, simili a due grandi olive, ed uno sguardo che in quel momento era più divertito che spaventato. Un solco disegnava la sua guancia destra, mentre un sorriso sornione si dipingeva sulle labbra.
-Dove pugnale- riuscì a dire la giovane, che sentì la sua voce estranea, dura e roca.
-Oh, hai smesso di fare la smemorata ora?- il tono del giovane uomo era tagliente, acuto.
-Dove. Mio. Pugnale- ribadì lei, che provava una fitta di dolore e bruciore ogni volta che l'aria attraversava le corde vocali.
- Non so di cosa tu stia parlando, bambolina- rispose lui, innervosendo la giovane che spinse il pezzo di vetro più in fondo, facendo uscire una goccia di sangue dalla cute dello sconosciuto, bloccato per i fianchi dalle sue gambe che lo stringevano.
-Dove è mio pugnale, dove! È mio, è mio!- riuscì ad urlare, ma questo richiese un notevole sforzo, ed una fitta colpì violentemente la sua testa.
Sentì due mani forti afferrarla per le spalle e spingerla via, e lei era così deperita da crollare come una pezza, con i palmi delle mani e il volto rivolti verso il pavimento.
-Tesoro, come stai? Ti ha fatto male?- udì la voce di una donna, e la risposta indistinta dell'uomo che aveva attaccato.
Si strinse le gambe con le braccia, chiudendosi a riccio.
-Avanti, alzati, noi non siamo tuoi nemici- affermò la sconosciuta, toccandole la schiena, ma la ragazza con uno scatto si allontanò, porgendo la schiena contro il muro e guardando le due figure con terrore.
-Tu... tu... hai fatto lividi!-
-Non siamo stati noi. Chi pensi che ti abbia curato quelle ferite?- intervenne il ragazzo, puntando il dito verso le sue gambe e le sue braccia, coperte da garze pulite.
- Ma guarda un po', ha persino rotto lo specchio per attaccarti. Povera piccola però, sarà spaventata- affermò la donna, osservando nel frattempo il piccolo taglio che presentava l'altra figura al collo.
-Chi siete?-
-La domanda più importante al momento è chi sei tu- sorrise la sconosciuta, avvicinandosi alla giovane ed aiutandola ad alzarsi, nonostante lei la guardasse ancora diffidente.
-Dov'è il mio pugnale?- chiese allora, con un luccichio agli occhi.
-Ancora con questo pugnale, quando ti abbiamo trovata non avevi alcuna arma, sciocca- l'aggredì verbalmente l'uomo, toccandosi la pelle che perdeva ancora sangue.
- Non essere rude, Graham. È spaventata, ed è comprensibile- lo riprese la donna, una signora all'apparenza sulla cinquantina d'anni e con i capelli completamente bianchi, forse troppo prematuri per la sua età.
La giovane si fece trasportare fuori dalle quattro pareti dove negli ultimi giorni aveva vissuto, e fu condotta verso quella che doveva essere la cucina della casa.
La dimora era costruita interamente in legno, ed in effetti quella caratteristica dava un'aria pesante ed afosa, nonostante le piccole finestre coperte da tende verdi fossero aperte. Si sedette ad una piccola seggiola posta vicino al tavolo ovale, che aveva altre due sedie. Le pareti erano spoglie, l'unico oggetto di arredo erano delle piante poste in varie parti della stanza.
-Bevi un po', ti preparo qualcosa da mangiare. Sei deperita. A proposito, ti senti bene? Hai qualche dolore? Riesci a capire tutto ciò che dico?- chiese la donna, cominciando a tagliare delle verdure per preparare un minestrone.
-Io... ho male qui- rispose la ragazza, portando una mano alla testa.
-Beh, dev'essere proprio danneggiata- affermò Graham, sedendosi difronte a lei e dedicandole uno sguardo derisorio.
-Tu grande stupido- rispose a tono la giovane, suscitando una risata spontanea della donna, che le porse un bicchiere d'acqua.
La ragazza bevve a grandi sorsi, bagnandosi il mento e la camicia, che aderì al petto.
-Selvaggia-
-Adesso smettila, Graham. Basta. E anche tu, ragazza, mostra un po' di riconoscenza. Se non ci fossimo stati noi, tu adesso saresti morta e sepolta-
-Letteralmente- aggiunse il ragazzo, sollevando un sopracciglio e nascondendo un sorriso beffardo dietro l'indice.
-Chi... Chi vuole uccidermi? Voi chi siete?- supplicò la ragazza, osservando prima la donna e poi l'uomo.
-Io sono Dalia, e lui è mio figlio Graham-
-Contentissimo di fare la tua conoscenza, un po' meno lo è il mio collo, s'intende- ammiccò il ragazzo, e la giovane si morse il labbro a disagio.
-Scusa- arrossì appena, osservando le sue braccia fasciate.
- Il tuo nome è un segreto di stato o siamo così privilegiati da poterlo sapere?-
-Io... non ricordo. Non ricordo nulla. Non so chi sono. Non so... non so chi vuole uccidermi. Non so...-
-Abbiamo capito, non sai- la interruppe Graham, spazientito -ma hai nominato un pugnale. Quindi così smemorata non sei, principessa-
A quella parola la giovane fece un sussulto, che però tentò di sopprimere immediatamente.
Principessa.
Chiuse gli occhi, con la speranza che qualcosa le balenasse per la testa, anche per un solo secondo, ma il dolore era prepotente.
Si mise una mano alle tempie, sofferente.
-Aspetta, ti prendo qualcosa per il dolore alla testa. Qualcuno ti ha colpito violentemente, è un miracolo che tu sia viva- intervenne Dalia, impietosita dalla visione di quella giovane che sembrava solo un cucciolo spaventato.
La donna sparì dalla stanza, e il ragazzo ne approfittò per avvicinarsi con la sedia alla giovane sconosciuta, con l'intenzione di studiarla meglio.
-Tu non mi convinci. Nascondi qualcosa- affermò lui, afferrandole il volto ed inchiodando i suoi occhi verdi a quelli castani della giovane.
-Vorrei davvero sapere se nascondo qualcosa. Togli tue manacce- rispose allora lei, spostandosi, facendo ancora fatica a comunicare.
-Perché per te è così importante quel pugnale?- indagò allora Graham, sempre più interessato a quella ragazza misteriosa e selvaggia.
-È un regalo... almeno credo- rispose lei con tono nostalgico -non sei stato tu a prenderlo?-
Il ragazzo scosse la testa, e lei annuì debolmente.
-Come vuoi che ti chiami? Non ricordi il tuo nome, vero?-
-No-
Lui sospirò. La osservò ancora, e in quel momento si fidò di lei.
Le sorrise, e la ragazza non ne capì il motivo.
- Ti piace il nome Smemorella?-
-Chiamami Margherita-
-Margherita? Perché?-
-Non lo so- scrollò le spalle lei -mi piace-
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