2. Insonnia
Non riuscì a chiudere occhio quella notte.
Si rivoltava nel letto, più e più volte; aveva la pelle madida di sudore a causa del caldo, e forse non solo.
Osservava il soffitto bianco e ripensò agli occhi di quell'uomo, gli stessi occhi che l'avevano perforata, anche se per puro caso.
Era stressante avere la testa rivolta ad un minuscolo quanto infimo dettaglio, ad un istante impresso solo nella sua mente di sognatrice.
Stufa e con la testa dolorante, scese dal letto.
Avvertì immediatamente il freddo del pavimento prendere possesso della nudità dei suoi piedi, e le piacque quel brivido.
Andò in cucina scalza, con la sola vestaglia addosso, e si riempì un bicchiere d'acqua fresca, che subito allietò la sua gola secca.
Vagò per il salotto e si soffermò vicino ad un'ampia finestra, che mostrava la strada deserta e il cielo limpido e pieno di stelle. In Italia era quasi impossibile osservare quelle costellazioni, così brillanti, così magiche.
Solo quelle luci lontane avevano assistito a quello scambio di sguardi, solo loro erano stati i taciti testimoni.
Le sembrò buffo, ma a stento ricordava le sembianze di quell'uomo, per quanto ci provasse; solo il suo sguardo, solo gli occhi profondi e fieri.
Posò una mano sul petto, dandosi della stupida.
I suoi genitori, la sua famiglia, tutti rischiavano la vita in Italia e lei pensava a quelle sciocchezze.
Fu grata a quell'uomo, a quel pirata gentiluomo, perché per un istante, per una notte, le aveva fatto dimenticare il tormento che covava dentro.
Il giorno dopo Agnese si preparò per uscire. Si legò i capelli ricci e castani, tendenti al dorato, in una coda alta, ed indossò un pantalone di cotone marroncino. Doveva rinnovare il suo guardaroba, trovarsi qualche hobby, cominciare a vivere sul serio, non come una parassita, ed integrarsi.
Suo zio non era in casa, era troppo occupato per il lavoro in banca, e sarebbe tornato verso l'ora di pranzo.
Non gli avrebbe mentito, avrebbe comunicato di essere uscita, le sue intenzioni, la sua voglia di non essere un uccello in gabbia.
L'avrebbe capita, o almeno così sperava.
Si diresse con Margherita verso il grande mercato. Quella mattina, come preannunciata dalla notte insonne, era calda ed umida, la camicetta le si appiccicava addosso e si domandò come facesse la sua amica a non emettere nemmeno una piccola goccia di sudore, a sembrare fresca come una rosa. Si asciugò la fronte, osservando le altre isolane che indossavano vestiti freschi e colorati.
Nessuno portava jeans o scarpe da ginnastica, i capi che era solita indossare in Italia e che aveva in valigia, per questo era consapevole che doveva rinnovare il suo abbigliamento.
«Notte insonne?» la riscosse dai suoi pensieri Margherita, che controllava le offerte sulla frutta.
«E tu come lo sai?»
«Ho notato il bicchiere vuoto in cucina. Non ho mai visto tuo zio e tuo cugino mettere piede lì, io non dormo alla villa, perciò tutti gli indizi portavano a... te»
«Ottimo lavoro, Sherlock» scherzò Agnese, sventolando la mano per cercare di darsi un sollievo che però non giunse.
«Non hai dormito per il caldo o per il nostro bel pirata?»
«Che domande, per il caldo, ovvio, non so come possa venirti in mente un'idea del genere» arrossì la giovane, mentre la domestica pagava la frutta e scuoteva la testa, contrariata da quella candida bugia.
«Ah no, mia cara principessa, sei incapace di mentire. Non ti prenderebbero mai a recitare per una rappresentazione in piazza»
«Ma ti sto dicendo la verità!»
«Ah, quindi non ti interessa rivederlo ancora, giusto?» la provocò la ragazza, che si liberò in una risata nel vedere l'espressione confusa e combattuta della padroncina.
«Beh...»
«Stà tranquilla, hai bisogno di vestiti nuovi, no? Oggi lui e i suoi colleghi dovrebbero fornire i negozi, se siamo fortunate lo incontreremo! E non preoccuparti, non dispiacerebbe nemmeno me rivederlo» ammiccò Margherita, e in quel momento Agnese la invidiò.
Invidiò la sua positività, il suo modo di interagire, la freschezza della sua risata.
Al suo fianco, lei sembrava un'ombra buia e scialba, come si era sempre descritta, una figurina che passava in secondo piano.
Non aveva alcun segno particolare, nessun talento, nessuna esperienza da raccontare, nessuna caratteristica che permetteva di ricordarsi di lei.
Semplicemente era anonima, e questo la demoralizzava, perché sapeva che niente e nessuno poteva cambiare quel deprimente tratto.
Acquistò diversi capi, era contenta di poter contare sui suoi risparmi e non sui soldi dello zio, benché era consapevole che doveva trovarsi un'occupazione. Voleva essere parte integrante di quel popolo, assemblare la loro cultura, contribuire alla loro crescita, anche se prima o poi sarebbe andata via.
«Io questo caldo non lo sopporto» si lamentò Agnese, appoggiandosi al tronco di un albero, al riparo nell'ombra della chioma.
«Questo lo chiami caldo? Siamo solo a maggio! Dovresti vedere i mesi estivi... se ci arrivi, di questo passo»
«Quindi se non muoio prima» la assecondò Agnese, annuendo.
Si avvicinò ad una fontana, si sciacquò viso e collo ed attese Margherita, che si era allontanata per concludere la spesa giornaliera.
Chiuse un attimo gli occhi, appoggiandosi alle mura di un palazzo, e sperò che quel fuoco che la divorava si affievolisse almeno un secondo.
«Se vuole proteggersi dal sole temo che abbia scelto il posto meno adeguato» sentì una voce canzonatoria, che le fece aprire le palpebre.
Appena mise a fuoco il suo interlocutore, le guance avvamparono come non mai.
Due occhi neri, scrutatori ed ironici, la osservavano, e lei li avrebbe riconosciuti tra mille.
«Dice a me?» si riprese un attimo dallo shock, dovuto dall'improvvisa vicinanza all'uomo che le aveva turbato il sonno.
«Vede altri qui vicino?»
«Effettivamente no»
«Che ci fa lei qui? Non è posto per turisti»
Agnese non seppe interpretare se quella domanda fosse un'accusa, una curiosità o semplice gentilezza.
«Dovrò restare qualche mese qui, se non di più. Senta, si nota così tanto che sono straniera? Anche vestita come voi?» domandò la giovane, quasi sottovoce.
«Non credo che sia l'abbigliamento il problema. È la sua carnagione, i capelli chiari...» rispose l'uomo, bloccandosi quando notò la ragazza porre una mano sul volto, nascondendolo imbarazzata.
«E io che vorrei semplicemente essere come voi»
«Cosa c'è di bello nell'essere come tutti?» aggrottò la fronte lui, improvvisamente interessato a quella sconosciuta.
Gli faceva tenerezza.
«Mi sentirei parte di questo posto» scrollò le spalle lei, guardandolo negli occhi senza timore, con sincerità.
«Ah, questo discorso si sta facendo troppo serio. Indossi un cappello o una fascia, porti acqua e zucchero con sé quando esce e metta abiti freschi. Vedrà che col tempo si abituerà» le consigliò, prima di allontanarsi in silenzio, esattamente come era arrivato, come un fantasma.
Agnese sospirò.
Non so se ho tempo.
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