19. Cuore di pirata
-L'hai sentito anche tu?-
Daario deglutì. Una minuscola, impercettibile e silenziosa goccia di sudore strisciava lungo il collo teso, mentre i nervi erano stati scossi da quello che sembrava essere uno sparo.
-Certo che l'ho sentito, mi fa male la gamba, non l'orecchio- lo riprese Roberto, ancora appoggiato al corpo solido e robusto del pirata, mentre la caviglia esplodeva ad ogni passo.
Avevano stretto un tacito patto, un legame d'intesa.
Niente rancori.
Non in quel momento, non in quel luogo.
Mentre il pirata gentiluomo calpestava il suolo, affondando i piedi nel fango formatosi dopo la tempesta di qualche giorno prima, gli sembrò impossibile non pensare al motivo per cui stesse lì, facesse quella fatica immane, perché le sue meningi pulsavano per cercare Agnese.
Agnese, Agnese, solo Agnese.
Era quello l'unico pensiero che lo dilaniava, assieme ai pochi ricordi che avevano vissuto assieme.
Adesso che gli sembravano così lontani, bruciavano addosso come carbone ardente.
Rammentò il momento in cui, quel giorno di maggio, tornò a Stendhal annoiato, e non si sforzò nemmeno di mostrare un entusiasmo che non possedeva. Chi aveva il suo stesso umore, seppur più tormentato, era solo Can, che odiava ed amava l'idea di rivedere Margherita, la donna che gli aveva fatto perdere non solo la testa, ma anche il cuore.
Presto però, la situazione prese una piega completamente inaspetatta.
Ricordò di aver voltato il capo con indifferenza, per puro caso, mentre la folla lo accoglieva come se fosse un eroe partorito dal mare.
Quella notte, i suoi occhi si posarono su un corpicino quasi minuscolo ed insignificante in mezzo a tutta quella gente che sembrava risucchiarla. Difatti, non riuscì a scorgere quasi nulla, se non due occhi che nello stesso frangente si erano incatenati ai suoi, anch'essi per puro scherzo del destino.
Erano due occhi nuovi, stranieri, eppure non si limitavano a guardarlo: lo osservavano.
Doveva essere sincero con sé stesso: non gli era capitato quasi mai di incrociare lo sguardo in maniera tanto diretta, cruda.
Lui amava interloquire con la gente incastrando le pupille, ma in modo volontario.
No, quello sguardo era stato diverso, non dettato dalla volontà.
Era stato un caso.
Poi la folla, la stessa che lo osannava, l'aveva inghiottita, spinta al largo, interrompendo quel tacito legame durato forse poco, forse tanto.
E poi il giorno dopo l'aveva rivista.
Era al mercato, al fianco di Margherita, e già in quel momento il dubbio si insediò nella sua mente: che fosse una parente di Roberto Valli?
Nonostante l'incertezza, si era avvicinato a lei con fare ironico ed intrigante, fingendo di non averla mai vista prima.
Lei aveva alzato lo sguardo su di lui, era rimasta per un attimo in silenzio, l'aveva osservato, e gli fu abbastanza facile capire che l'aveva riconosciuto, che la sua mente l'aveva focalizzato e delineato.
Qualche semplice scambio di battute, poi di nuovo il nulla.
Il quella locanda, tra la sua ciurma, Daario non aveva mentito: Agnese non era davvero il suo tipo.
Dal suo modo di parlare, dalla sua titubanza e velata vergogna, aveva capito che fosse una ragazza ancora ingenua, capace di provare pudore, mentre lui era sempre stato attratto come una calamita dalle donne passionali, determinate, quelle che avevano il fuoco dentro.
Consapevole del distacco che l'aveva riportato alla realtà, ebbe un unico obiettivo: scoprire cosa ci facesse sull'isola.
Perciò l'aveva accerchiata, provocata, e a volte, se non sempre, era stato scortese e duro con lei.
Ma la principessa Europa era molto più di due gote arrossate e una corona di boccoli biondo-ramato.
Aveva tirato fuori le unghie, gli aveva tenuto testa, l'aveva affrontato.
E li aveva rivisti; gli occhi incandescenti, che eruttavano parole di difesa ed attacco, poi aveva scorto l'indifferenza, il desiderio di tenerlo il più lontano possibile, ma lui era stato testardo e in un modo o nell'altro, cercava di metterla sempre contro suo zio, come se desiderasse plasmare la sua mente, renderla volubile sotto le sue mani.
Ancora una volta, lei non aveva ceduto, anzi, difendeva il suo parente a spada tratta, cominciando persino ad ignorare i commenti degli isolani, a comprendere che non le serviva l'approvazione della gente.
E stranamente, con quell'atteggiamento, aveva conquistato il rispetto di Stendhal.
Rivide distintamente lo sguardo truce che gli aveva dedicato quando, brillo, si era avvicinato al tavolo dove cenava con Roberto e l'aveva invitata a ballare.
Lei non voleva, era evidente, eppure aveva conquistato quella piccola flebile vittoria.
Fu la prima volta che si toccavano, che la sua mano sfiorava la schiena, ma lei inizialmente non aveva il coraggio di guardarlo.
Percepiva il nervosismo che le fasciava i muscoli, il respiro più pesante, ma poi l'aveva fatto: aveva unito i loro occhi, e l'aveva accusato brutalmente, dicendo che non si fidava di lui e che fosse solo un uomo come tanti.
Non seppe il motivo, ma quelle parole rimbombarono nella notte insonne.
Le chiese scusa, e lui non era un tipo da scuse. Si sentiva in colpa, e in fondo sapeva che fosse giusto porre un attimo via l'ascia da guerra.
Agnese aveva espresso l'intenzione di andare via, e lui tentò con tutto il cuore, con la sola forza del pensiero, di distrarla da quell'ipotesi.
Quando aveva annusato la minaccia, poi, la situazione era nuovamente cambiata.
L'aveva avvisata, ammonita, ed aveva letto il terrore nel suo sguardo vuoto, triste.
Aveva provato compassione per lei, e forse qualcosa in più.
Una notte si addentrò nella villa di colui che considerava il suo acerrimo nemico, come un folle sconsiderato, e l'aveva chiamata, cercata.
Quando l'aveva vista con addosso solo la camicia da notte, non vide una ragazza: vide una donna.
La coprì con il suo sguardo, che si trascinò lungo la sua pelle nuda, scoperta, liscia e giovane.
Percepì il disagio che provava Agnese nell'essere guardata in quel modo, e si ricompose, nonostante gli risultò difficile parlarle in modo distaccato, farla cadere nuovamente in un baratro.
Le aveva regalato un pugnale, e quel dono era molto più di una semplice arma, era un modo silenzioso per dirle: ti prego, vivi.
Poi si erano stuzzicati, non riuscivano a parlare civilmente per troppo tempo, ed avevano giocato tra loro.
La ragazza finì su di lui, sul suo corpo, e Daario avvertì una vibrazione che non poteva aver avvertito solo lui: fu tentato per un frammento di secondo di afferrarle i fianchi, di toccare quella carne giovane, ma lei non lo permise.
E poi, aveva commesso l'ennesimo sbaglio, anzi due.
Il primo era stato quello di spaventarla, terrorizzarla con la sua prova idiota da cretino quale era, e il secondo quello sicuramente più assurdo: abbracciarla.
Come poteva, un uomo come lui, duro e inaridito, cedere ad una debolezza del genere?
Lei gli aveva dato una grande lezione: tra i due, non era lui il più forte.
Agnese non ricambiò mai quella stretta, anzi, dalla rigidità del suo corpo comprese che la disprezzava, e quel disprezzo fu confermato dallo sguardo truce.
L'ultimo, prima che qualcuno la strappasse dal paese, dalla sua esistenza.
E fu in quel frangente che comprese il motivo per cui era così ostinato a cercarla: odiava le cose lasciate in sospeso.
E lei, era sicuramente una questione sospesa.
Allora allora allora.
So che questo capitolo non manda avanti la vicenda, che forse speravate di avere notizie di Agnese, ma... che dirvi, ho letteralmente AMATO immergermi nella psiche di Daario, sbirciare per vedere cosa ci fosse dietro la facciata dura da pirata, e spero vivamente che anche a voi sia piaciuto.
Che ne pensate?
Grazie per la pazienza che avete nel seguire questa storia♡♡
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