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Capitolo 1

- 2 mesi e 5 giorni

«Offĭcĭum, officĭi, eccolo! Qui c'è scritto "dovere". Forse però visto il contesto sarebbe meglio tradurlo con "responsabilità". Anzi, considerato quello che stavamo dicendo prima...»

«A causa delle responsabilità. Perché è complemento di causa.»

«Esatto.»

Con la coda dell'occhio vide sua sorella annuire tra sé e sé; la manina pallida e paffuta che scribacchiava con una matita l'abbozzo di una versione di latino.

«A posto così?»

«Sì, adesso fila tutto. Grazie.»

«Tu invece hai bisogno di aiuto?» chiese al fratello, il gemello della minore, che se ne stava stravaccato sul letto, intento a sfogliare svogliatamente il testo scolastico.

Il ragazzino rispose con un secco cenno di diniego del capo e un mugugno, così il maggiore lasciò il dizionario di latino sulla scrivania e tornò nella propria stanza dove, al centro della moquette, imponente nel suo mezzo metro di altezza, lo attendeva una valigia grigia.

Il mattino seguente sua sorella si sarebbe recata a scuola per svolgere la verifica di latino e suo fratello per seguire le normali lezioni scolastiche, mentre a solo poche centinaia di metri di distanza ad attendere lui, nella stazione di Milano Centrale, ci sarebbe stato il treno che avrebbe condotto la sua classe in visita d'istruzione. L'ultima gita della sua vita.

Gli faceva sempre uno strano effetto pensare a quella parola: "ultimo", al punto che a volte, quando quel pensiero gli attraversava la mente per qualsivoglia ragione, faceva di tutto per scacciarlo al più presto, temendo che con una permanenza troppo prolungata potesse affondare le sue radici dentro di lui e che a quel punto sarebbe stato costretto ad accettarlo. Eppure era così, si trattava di un dato di fatto e sapeva bene che prima o poi avrebbe dovuto farsene una ragione: quello sarebbe stato il suo ultimo anno di liceo.

Dal momento in cui erano terminate le vacanze lo aveva colto la disarmante consapevolezza che ogni cosa che avrebbe fatto da quel momento in poi sarebbe stata "l'ultima": l'ultimo primo giorno di scuola dopo la pausa estiva, le ultime vacanze di Natale, l'ultima volta che i suoi compagni avrebbero portato a scuola un vassoio di pizzette per festeggiare il loro compleanno su costrizione della professoressa di italiano, l'ultima volta che sarebbero andati in Aula Magna per assistere alla presentazione delle liste candidate alle elezioni dei rappresentati d'Istituto, l'ultimo progetto di alternanza scuola-lavoro, l'ultima volta che avrebbero votato per scegliere i due rappresentanti di classe e, ovviamente, l'ultima visita d'istruzione.

Una gita che si sarebbe dovuta svolgere almeno due mesi prima, ma che per una serie di complicazioni -prima la difficoltà a raggiungere il numero minimo di partecipanti, poi divergenze con l'agenzia di viaggi e poi l'ammutinamento di gran parte del corpo docenti- erano stati costretti a rimandare fino a quel giorno.

Solo quattro settimane prima avevano festeggiato il MakP 100, ciò significava che mancavano solo poco più di due mesi all'inizio degli esami di maturità. Poco più di due mesi al suo diciottesimo compleanno.

Mentre frugava dentro l'armadio alla ricerca dei vestiti che avrebbe indossato a Venezia per i seguenti quattro giorni, un brivido gli corse su per la colonna vertebrale e di getto richiuse le ante.

Ci avrebbe pensato più tardi, decise. Non c'era fretta, aveva ancora tutto il pomeriggio davanti. E trascorso il pomeriggio ci sarebbero stati i quattro giorni di gita scolastica e terminati i quattro giorni sarebbero iniziati due mesi di studio matto e disperatissimo e trascorsi i due mesi ci sarebbero stati gli esami di maturità e conclusi gli esami scritti ci sarebbe stato l'orale e da qualche parte lì in mezzo sarebbe avvenuto anche il compleanno che avrebbe segnato il suo passaggio alla maggiore età. E dopo quel giorno... dopo quel giorno non ci sarebbe stato più nulla. Quel compleanno era ai suoi occhi il passaggio oltre le famose colonne d'Ercole che per secoli avevano fatto desistere i marinai dall'avventurarsi nell'Oceano Atlantico. Ma lui, al contrario di loro, era convinto che il loro superamento non sarebbe stato seguito dal sollievo dovuto alla scoperta dell'infondatezza di tutte le spaventose leggende che circolavano sul loro conto. Lui superandole si sarebbe davvero imbattuto nei confini del mondo e, trascinato dalla corrente, sarebbe precipitato di sotto, nello spazio siderale, espulso dalla Terra senza alcuna possibilità di tornare sui suoi passi, destinato a vagare per sempre nel nulla più assoluto.

Quasi riusciva a sentirlo, il fragore delle onde che si infrangevano contro il cornicione dell'imbarcazione e il vento che sferzava la vela riducendola in brandelli, ululando con violenza mentre il cielo si faceva plumbeo e l'acqua scura, come se dal fondale una gigantesca piovra avesse appena rilasciato il suo inchiostro.

Guardò dietro di sé e si lasciò sfuggire un sospiro sognante: laggiù le acque del Mar Mediterraneo erano placide e sicure, sormontate da un cielo così azzurro da sembrare dipinto.

Poi, però, fu costretto a tornare a guardare di fronte a sé. Gli si formò un nodo alla gola alla vista delle due sporgenze rocciose che gli si stavano palesando davanti.

Eccolo lì: lo Stretto di Gibilterra. Oltre di esso: il nulla.

Le sue mani fremettero sul timone. Se avesse svoltato in quel momento esatto, sarebbe riuscito a tornare indietro. Era ancora in tempo.

O almeno, questo era ciò che si diceva tra sé e sé, ma in realtà sapeva bene che la corrente aveva già catturato la sua imbarcazione e lo stava trascinando verso la sua inesorabile fine, senza che lui potesse fare nulla per impedirlo. O quasi.

Una via d'uscita c'era: gettarsi.

Tuffarsi in mare e sprofondare lentamente verso l'abisso, lasciando che quell'acqua nera come la pece gli riempisse i polmoni. Anche questo, certo, avrebbe segnato la sua fine, ma almeno sarebbe stato lui a deciderlo.

Una volta che avesse superato lo Stretto le mappe che aveva raccolto nel corso di tutti quegli anni non sarebbero state altro che carta straccia.

Ciò che lo attendeva era il nulla ed era il tutto. Si trattava di qualcosa che non conosceva e nessuno avrebbe potuto dargli consigli in merito, perché in quella barca era solo, capitano nonché unico membro dell'equipaggio. Piuttosto che gettarsi nel nulla, preferiva gettarsi in mare, in quelle acque che ormai conosceva meglio di quanto conoscesse sé stesso.

Eppure esitava.

I suoi occhi non riuscivano a distogliersi da quel punto di fronte alla prua della nave in cui, tra le due sporgenze rocciose, iniziava il banco di nebbia. Una parte di lui fremeva al pensiero di gettarsi nell'ignoto, ma al tempo stesso era consapevole di quanto il suo desiderio fosse irrealizzabile.

Quello che lo attendeva di lì a due mesi non sarebbe stato un compleanno qualsiasi e non solo perché si trattava del diciottesimo. Quel compleanno avrebbe avuto qualcosa di estremamente particolare, che lo avrebbe contraddistinto da tutti quelli che lo avevano preceduto. Perché non ci sarebbe stata alcuna festa a commemorare il suo ingresso ufficiale nel mondo degli adulti, non avrebbe soffiato le candeline di una torta e non avrebbe scartato alcun regalo.

Perché quello era il compleanno che non ci sarebbe mai stato.

Il suo ultimo compleanno.




Sto correndo tra la folla. O almeno, ci sto provando.

Lo zaino mi colpisce ritmicamente la schiena, come incitandomi a darmi una mossa.

Una donna mi urta una spalla e senza una sola parola di scuse prosegue di filato, trascinandosi dietro un trolley. Ho perso di vista il mio obiettivo. Mi alzo in punta di piedi nel tentativo di sovrastare questa fiumana di gente. E ora come faccio a ritrovarlo? No, un momento, forse... Sì, è quel cappuccio grigio. Si muove in fretta, sguscia tra la calca senza difficoltà, dritto verso la sua meta.

Ma cosa sto facendo? Non sarei mai dovuto scendere dal treno. Ma pur ripetendomi questo, continuo a farmi strada a spintoni. Avrei dovuto farm gli affari miei, ma come potevo rimanere seduto al mio posto dopo averlo visto filarsela di soppiatto con lo zaino sulle spalle e la valigia alla mano?

Affretto il passo e finalmente lo vedo fermarsi al binario numero due e iniziare a percorrere la banchina. Arrivo appena in tempo per vederlo entrare nel quarto vagone. Non appena raggiungo l'ingresso metto una mano sullo stipite della porta scorrevole, per impedirle di chiudersi.

Lo chiamo e, con un sussulto delle spalle, lui si gira verso di me. Dal suo sguardo stralunato, come se si fosse appena risvegliato da un brutto sogno, capisco con assoluta certezza che riuscirò a convincerlo a scendere e a tornare sul nostro treno, sa perfettamente quale terribile errore stia per commettere.

Eppure, prima che io possa dire qualsiasi altra cosa o che lui possa raggiungermi all'ingresso, qualcuno nella fretta mi viene addosso da dietro ed entrambi capitomboliamo a terra con un tonfo all'interno del treno. Un treno diretto verso una meta a me sconosciuta. Un treno le cui porte, non appena siamo caduti, hanno iniziato a chiudersi alle mie spalle, mentre una voce annuncia la partenza imminente.

Mi tolgo di dosso la persona che mi ha buttato a terra e scatto in piedi come una molla. Al momento non sento neanche dolore al fianco o alle gambe, è tutto intorpidito e la mia attenzione è completamente catturata da quel pulsante verde che dovrebbe consentire l'apertura delle porte. Tengo l'indice premuto su quel bottone finché la punta del dito non si fa bianca e continuo a premerlo con insistenza anche dopo che il treno ha iniziato a muoversi, come se fosse il campanello della casa di qualcuno che non ha la minima intenzione di aprirmi.

Come sono arrivato a questo punto? Perché ho deciso di scendere da quel treno per inseguire un compagno di classe del quale conosco giusto il nome?

Provo a ripercorrere gli ultimi eventi, alla ricerca di una risposta che non esiste. La mattinata appena trascorsa mi passa davanti a ritroso in una serie di rapidi flashback, fino ad arrivare alle sette di questa mattina, quando mi trovavo ancora a casa e la mia mano stava bussando sulla porta della camera di mio padre.

Ora che ci penso è quasi ironico come questa mattinata sia iniziata e si sia conclusa con una porta che non voleva saperne di aprirsi...

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