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Capitolo 47

Il mio stomaco brontola, sono seduta a terra, di nuovo. Non mi hanno nemmeno dato dell’acqua e ho la gola secca per aver pianto e urlato.
Ogni tanto mi alzo per vedere Noah, solo perché ancora non ci credo che è qui ed è reale, e ogni volta, appena mi vede mi saluta con la mano e sorride, come quando eravamo piccoli a scuola. Nella mensa cercavo di sedermi con altre persone ma il mio sguardo tornava sempre al suo tavolo e sapevo che se avessi voluto sarei potuta andare lì in ogni momento; lui mi salutava ogni volta.
Vorrei abbracciarlo, dirgli di nostra madre, dirgli quello che ho fatto e quanto sono stata stupida, e ho così tante domande...
Tecnicamente potremmo sentirci se urlassimo, ma nessuno dei due vuole coinvolgere nella conversazione tutte le persone chiuse qui sotto, probabilmente c’è anche qualche guardia all’entrata. Da quando sono arrivata sono cambiate tre volte, senza contare il momento in cui mi sono addormentata, e ogni tanto girano per il corridoio guardando dentro la cella.
La stessa guardia che mi ha portata qui, il soldato Kedlark, è passato e ha bussato sul vetro della mia porta mentre cercavo di fare pipì in quel secchio minuscolo. Io l’ho salutato, col dito medio, ma sono sicura di essere arrossita.
Sbuffo sedendomi sulla brandina, solo per cambiare posizione, il pavimento è decisamente più comodo e questa la dice lunga.
Mi sgranchisco cercando di alleviare il mal di schiena quando una botta sulla porta attira la mia attenzione.
Sempre lui, lo stesso soldato “Alzati!” Ordina mentre apre la porta. Scatto in piedi mettendo più distanza possibile fra noi: me e la sua pistola.
“Vieni” Si mette da un lato dell’entrata tenendo con un braccio la porta aperta mentre con l’altro agita la pistola facendomi cenno di avvicinarmi.
Io resto ferma.
Mi punta la pistola addosso “Ho detto vieni!” Dice quasi urlando.
Noah batte sulla porta della sua cella ma cerco di non guardarlo per non rendere le cose più difficili.
Dove mi deve portare? Cosa mi faranno? Provo a non pensarci.
Mi avvicino a lui cercando di non mostrare la mia preoccupazione e appena lo raggiungo mi mette un paio di manette, poi mi spinge con l’arma in avanti.
Cammino seguendo le sue indicazioni come l’altra volta, ci lasciamo le celle alle spalle e respiro profondamente ignorando le grida di Noah.
Stavolta incontriamo molti altri soldati, alcuni fermi davanti a delle porte, altri che si spostano nei corridoi stretti. Il bianco comincia a darmi alla testa.
Torniamo nella stanza dove mi sono svegliata ma stavolta è totalmente vuota ad eccezione di una sola sedia posizionata al centro.
Kedlark mi spinge verso di essa e mi fa sedere liberandomi le mani per legarle di nuovo dietro la mia schiena, solo che stavolta mi blocca anche le gambe.
Senza dire una parola si allontana e si chiude la porta alle spalle, a chiave. Resto a fissarla per qualche secondo, poi mi guardo intorno.
Bianco. Non c’è niente di utile.
Stringo i denti e provo ad agitarmi un po’ ignorando le ferite ai polsi ma non riesco a muovermi
Mi do una spinta in avanti e la sedia avanza di qualche centimetro. Non è fissata a terra.
Provo ancora e ancora fino a riuscire a darmi una spinta tale da mettermi in piedi ma, essendo legati, perdo l’equilibrio in un attimo e cado a terra rovesciandomi con tutta la sedia e sbattendo la parte sinistra del corpo e la testa sul pavimento. Atterro sopra al mio braccio e mi scappa un urlo di dolore, stringo gli occhi respirando affannosamente.
Le serrature della porta scattano ancora e questa viene spalancata. Mi sforzo per alzare la testa da terra e vedere chi sta entrando. Kalan avanza seguito dal soldato di prima e Josh  che restano fermi sulla soglia a guardarmi. Sento altri passi e poco dopo vedo entrare anche Ethan.
La voragine che ho nel petto mi fa stringere i denti, non riesco nemmeno a guardarlo.
Improvvisamente la mia cella non sembra più così male.
Kalan scoppia a ridere, tanto per cambiare, e si china verso di me portandosi una mano alla pancia, come se fossi la cosa più divertente che vede da settimane.
“Non è stata una mossa molto furba” Sottolinea camminando su e giù per la stanza. Gli altri si chiudono la porta alle spalle dopo che Kedlark se ne va.
“Visto che ti sei impegnata tanto resterai così, forse la prossima volta ti comporterai meglio” Assottiglio lo sguardo “Ti è piaciuta la tua sorpresa?” Domanda riferendosi a Noah. Sorride e io provo a dare un altro strattone alla corda sui miei polsi “Non ci è stato molto di aiuto mentre ti cercavamo” Fa qualche passo avvicinandosi a me, si blocca solo quando le sue scarpe si trovano a pochi centimetri dal mio viso e arriccio il naso disgustata. La guancia premuta contro il pavimento gelido.
“Dov’è la formula?” Non so cosa darei per sapere di cosa sta parlando.
“Non lo-“ Un dolore lancinante alla pancia mi fa concludere la frase in un verso strozzato. Chiudo gli occhi tossendo, mi ha dato un calcio.
“Dov’è. La. Formula.” Ripete scandendo bene le parole. Scuoto la testa tenendo gli occhi chiusi “Non lo s-“ Urlo di dolore mentre preme col piede sul bordo dello schienale per schiacciare il braccio sotto.
“Non te lo chiederò di nuovo Elizabeth, puoi dirmelo con le buone o con le cattive” Solleva il piede dandomi tregua e rilascio l’aria che stavo trattenendo.
Sbatto le palpebre un paio di volte e sullo sfondo vedo Ethan con lo sguardo basso e i pugni stretti lungo i fianchi. Chiudo gli occhi costringendomi a non guardarlo. Non gli importa niente di me, devo cavarmela da sola.
Sento le lacrime salirmi agli occhi ma non oso piangere.
“Allora?” Grida Kalan. Stavolta non rispondo, e quando avanza di nuovo trattengo il respiro cercando di rimpicciolirmi, solo che stavolta si ferma. Alzo la testa e lo guardo negli occhi, ma lui non parla con me “Kedlark!” Grida, il soldato apre la porta entrando a metà “Vai a prenderlo” Dice solo. Lui annuisce e fa per lasciare la stanza “No!” Urlo dimenandomi “Non lo so dov’è la formula! Non lo so!” Insisto. Non possono coinvolgere Noah in questa storia.
Kalan prende fiato pronto a rispondere ma qualcuno batte sulla porta “Comandante?” Un soldato che non ho mai visto prima entra nella stanza seguito da Kedlark. Non è andato a prendere Noah, questo mi da un po’ di sollievo.
“Sono tornati i cercatori numero Quattro e Dodici, li hanno presi.” Kalan annuisce e alterna lo sguardo da me al soldato come se stesse soppesando le sue possibilità.
Quattro e dodici. Quanti ne hanno? Quanti sopravvissuti ci sono ancora là fuori?
“Gheden” Chiama guardando Ethan, gli fa cenno di tirarmi su e lui si avvicina velocemente.
Sento a malapena Kalan parlare con Kedlark e l’altro soldato, quando Ethan si china accanto a me mi appoggia una mano sulla vita e con l’altra afferra lo schienale. Rabbrividisco sperando che non lo noti.
Si può provare disgusto per una persona che si ama?
“Non è il momento di fare la coraggiosa, digli dov’è la formula o ti farai ammazzare” Mi rimprovera sottovoce mentre mi tira su. sembra arrabbiato.
Non può essere serio.
Lui arrabbiato? Sono io quella a dover essere arrabbiata, e perché dovrebbe importargli di quello che mi fanno? Sono loro che mi hanno catturata e consegnata. Apro gli occhi solo per rifilargli un’occhiataccia “Toglimi le mani di dosso” Sibilo a denti stretti.
Mi guarda negli occhi e io sostengo il suo sguardo finché non si allontana impassibile.
È troppo chiedere di non vederlo mai più? È quella la vera tortura.
Ignoro la stretta al petto, sento ancora il suo tocco sulla pelle.
“...riportala nella sua cella, riprendiamo domani” sento Kalan dire ritornando concentrata su di lui.
Quando il soldato Kedlark chiude di nuovo la porta della mia cella raggiungo la brandina ancora scossa dai tremiti. Mi massaggio il braccio, non dovrebbe essere niente di grave.
Noah continua a battere sulla sua porta per attirare la mia attenzione, alzo lo sguardo e lo vedo mimare con la bocca le parole “Stai bene?”
Annuisco e tolgo la mano dalla spalla cercando di sorridere in modo convincente, non voglio che si preoccupi.
Aggrotta le sopracciglia scettico ma alla fine annuisce.
Dobbiamo andarcene da qui.

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come pensate che andranno a finire le cose?

-emme<3

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