Capitolo 27
Guardo Balto sorridendo mentre mordicchia la cinghia del mio zaino e lo accarezzo.
“Possiamo uscire di nuovo domani, non è un problema” Dice Luke confortante.
“Io e Luke.” Specifica poi Ethan.
Quando entriamo in casa lascio lo zaino e l’accetta vicino alla porta, Ethan fa per salire le scale ma poi si gira e mi guarda. E lo vedo di nuovo, senza scudo, solo che stavolta non è niente di piacevole.
Non sembra arrabbiato, no, più che altro è....triste, preoccupato.
“Vieni” Mi fa un cenno con la testa per indicare il corridoio e io lo seguo fino al bagno, lo stesso del giorno in cui sono arrivata qui.
Lui entra e io rimango sulla soglia, esitante. Ha aperto gli sportelli del mobile sotto il lavandino e sta cercando qualcosa, poi si gira a guardarmi e aggrotta le sopracciglia “Entra” Mi dice tornando a concentrarsi su...qualsiasi cosa stia cerando.
Avanzo titubante. Il mobile è molto largo e si vanno a formare come due davanzali ai lati del lavandino, così mi do una spinta e mi siedo sopra a quello di destra.
Ethan prende un kit del pronto soccorso e lo apre poggiandolo dall’altro lato. Ogni tanto lo vedo lanciarmi qualche occhiata di sottecchi.
Mi piace pensare che in un altro momento avrei rifiutato il suo aiuto, ma voglio cercare di rimediare e l’orgoglio non mi serve a nulla al momento.
“Potresti togliere...” Indica la giacca, e io annuisco sfilandola. La appoggio di fianco a me e tiro su la manica della maglietta fino a scoprire i tagli.
Lui inizia a tirare fuori garze e disinfettante e faccio una smorfia quando vedo l’ago e il filo “Tu sai mettere i punti?” Chiedo dubbiosa.
Incontra il mio sguardo e per un momento rilassa il viso “Si”.
Si avvicina e si china leggermente per vedere meglio. Comincia a disinfettarmi la ferita e io devo mordermi la guancia per non pensare al dolore.
È così vicino che riesco a sentire il suo respiro, e questo non rende le cose semplici, così cerco di guardare dall’altro lato, a disagio.
Lavora senza dire una parola, concentrato mi auguro. Ma ancora una volta, sembra più che altro perso in chissà quali pensieri e mi ritrovo a desiderare di nuovo di essere in grado di sapere cosa pensa.
Sfiora la mia pelle con le dita e rallenta quasi fermandosi. Mi domando se anche lui ha i brividi.
Mi sarei aspettata una sfuriata, non so forse qualche urla, una litigata. Sarebbe stato comprensibile, ma niente. Si comporta come se fosse completamente indifferente a tutto quello che è successo, e forse questo è anche peggio.
“Mi dispiace” Faccio una smorfia quando l’ago mi buca la pelle “L’hai già detto” Risponde con voce calma.
Ogni volta che la sua mano sfiora il mio braccio si lascia dietro una scia di brividi e spero che non lo noti.
Lo osservo cercando di non far cadere lo sguardo su quello che sta facendo. Si morde il labbro inferiore, concentrato, e alcuni riccioli gli ricadono scompigliati sulla fronte. È davvero bello.
“Non sei arrabbiato” La frase mi esce in un sussurro, mi schiarisco la voce ma sembra esser scomparsa.
"Non è una domanda” Osserva lui alzando per un momento lo sguardo.
Con l’ago tocca un punto particolarmente sensibile e presa alla sprovvista sobbalzo leggermente “Scusami” Dice veloce.
Quando finisce di mettermi i punti inizia ad avvolgere una benda attorno al mio braccio.
“Balto è tutto ciò che mi rimane” Dico ad un tratto, distogliendolo da quello che stava facendo. Si blocca per qualche secondo ma non osa incrociare il mio sguardo, poi riprende.
Voglio che lui mi perdoni.
È stupido, non dovrebbe importarmi, ma voglio lo stesso che mi perdoni.
“Anche prima che tutto questo iniziasse, lui è sempre stato il mio migliore amico, il mio unico amico. So che sembra patetico detto così e forse lo è ma...io non sono mai stata il tipo di persona di cui gli altri vogliono essere amici. Più che altro passavo il tempo con mio fratello e i suoi amici, e beh...non esiste un modo carino per dire che ero sola” Continuo lentamente, abbassando lo sguardo.
Lui inizia a mettere via le cose che ha usato “Non vado molto a genio alle persone, ma Balto mi è sempre stato accanto e in qualche modo mi faceva sentire meno sbagliata. Quando sono rimasta sola, chiusa in casa per due mesi, non ho avuto nessun altro, e lui mi ha aiutata a non impazzire. È tutto ciò che mi rimane della mia famiglia. Mi fa sentire a casa”.
Il suono dei nostri respiri è l’unica cosa a riempire il silenzio per qualche secondo. Alzo la testa e i miei occhi incontrano i suoi, calamitati, a pochi centimetri dai miei. Non si è spostato di un millimetro.
Il suo respiro mi sfiora la pelle, il battito del mio cuore accelera e arrossisco pensando che possa sentirlo.
“So che non è una giustificazione, vi ho messi in pericolo e mi dispiace davvero, ma non potevo lasciarlo lì” La mia voce si riduce ad un sussurro.
All’improvviso lo sento, il modo in cui lascia cadere la barriera e mi guarda senza filtri. La sensazione ormai familiare mi invade rendendomi difficile respirare con lui così vicino.
Sento le dita delle mani formicolare e cerco di respirare lentamente sperando che il mio cuore la smetta di battere così rumorosamente.
“Non importa” Dice poi continuando a guardarmi negli occhi, e gli credo.
“Perché siete rimasti?” Aggrotta le sopracciglia “Non potevamo lasciarti lì....non potevo” Sollevo le sopracciglia sorpresa e sono abbastanza sicura di essere arrossita, di nuovo.
Lo sguardo mi cade sul suo collo, la collana che porta sempre è uscita fuori dalla maglietta, forse mentre correva, o magari quando ha combattuto con gli zombie. Ora riesco a vedere cos’è.
Ha un ciondolo grande appena quanto l’unghia di un dito, una medaglietta con dentro inciso un fiore. Ma non è un fiore qualunque, è un giglio.
Sembra rendersi conto solo dopo un po’ di quello che ha detto e distoglie lo sguardo indietreggiando leggermente. Si gratta la nuca e si schiarisce la gola “Voglio dire, siamo una squadra, ora” Dice visibilmente agitato.
Ma io resto concentrata sulla sua collana, anche se non sembra rendersene conto.
Prendo un bel respiro sollevata dal fatto che si è un po’ allontanato, ma ora tutto sembra più freddo, e mi sorprendo a pensare che vorrei che tornasse vicino a me. Da quando penso queste cose?
Sorrido guardandolo, è buffo quando è in imbarazzo.
Scendo dal davanzale e mi metto in piedi prendendo la giacca.
“Grazie” Dico con un filo di voce, lui torna a guardarmi “Forse la prossima volta è meglio lasciarlo a casa...” Dice sorridendo appena “Si, hai ragione” Scuoto leggermente la testa concentrandomi sulla conversazione.
Annuisce una volta prima di uscire dal bagno, lasciandomi in piedi al centro della stanza col cuore in subbuglio.
Un giglio.
Era il fiore preferito di mia madre, per questo mi ha chiamata Lily, in inglese significa giglio.
Credo di aver cercato di non fargli notare l’effetto che quel ciondolo ha avuto su di me perché è come se in quel caso avrei messo a nudo i miei sentimenti, per quanto precoci e confusionari ancora siano. Come se parlarne avrebbe rotto la magia che quella collana ha donato al nostro legame.
Ma è qualcosa di più speciale, profondo. L’approvazione di mia madre, che non potrò mai più consultare per un consiglio. Una sorta di benedizione, un qualcosa di intimo, privato.
La conferma che ho preso la scelta giusta, che questo è il mio posto.
Mi prendo ancora qualche secondo prima di muovermi, quasi come se facendolo perderei immediatamente l’equilibrio, scombussolata, commossa.
“Lily! Ethan! Venite a mangiare?” Luke grida dal corridoio facendomi sorridere, e finalmente mi decido ad uscire dalla stanza, improvvisamente di ottimo umore.
Entro nel corridoio e mi blocco di nuovo, così come Ethan. Stava camminando verso di me, come se si fosse ricordato di dovermi dire qualcosa.
Attendo aggrottando le sopracciglia, sorpresa e curiosa, ma allo stesso tempo istintivamente faccio scorrere lo sguardo dove dovrebbe trovarsi il suo ciondolo. Lo ha rimesso sotto la maglietta.
“Un giubbotto, credo” Dice all’improvviso attirando di nuovo la mia attenzione.
I nostri occhi si incontrano e deve aver percepito la mia confusione perché continua “Si....credo che sarei un giubbotto” Si riferisce al gioco che stavamo facendo prima in macchina.
Mi appoggio allo stipite della porta “Perché?” Chiedo sinceramente curiosa.
Si morde il labbro inferiore prima di rispondere, come se stesse scegliendo con cura quali parole utilizzare “A volte mi sento di troppo, cerco sempre di restare accanto alle persone, specialmente quelle a cui voglio bene, ma ci sono dei momenti in cui ho l’impressione di essere opprimente perché voglio proteggerli. Quindi si, sarei un giubbotto, sempre disponibile ad aiutare quando si ha freddo ma allo stesso tempo pronto ad essere messo da parte se non sono necessario”.
Non so cosa dire né cosa fare per non rompere la magia e il fatto che si stia aprendo in questo modo con me, così semplicemente non dico nulla.
È quasi buffo, il modo in cui ci sono persone che passano tutta la vita a non sentirsi abbastanza, mentre altre si sentono di troppo.
E pur rimanendo in silenzio a guardarci, ci diciamo tutto, confortandoci l’un l’altra in un linguaggio di sguardi e battiti tutto nostro.
_______________________________________
vi capita mai di domandarvi se i pelati si lucidano la testa di proposito o no? tipo l'equivalente di noi che pettiniamo i capelli?
io me lo sono domandato
e se fossi in voi non cercherei la risposta su internet
adesso riesco a concentrarmi solo su quello ogni volta che vedo un pelato
scusate pelati del mondo
-emme <3
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro