7. Paris-Brest
Se glielo avessero raccontato, Dorian era sicuro che avrebbe fatto non poca fatica a crederlo. Adrien Renard era un uomo sensibile, così timido e riservato, così pieno di fragilità che cozzavano apertamente con il suo aspetto da divo del cinema hollywoodiano. Era stata una gran bella sorpresa: gli stimolava la libido con il suo aspetto un po' rude, ma solleticava anche quella parte di lui un po' paterna che, fino a quel giorno, aveva manifestato soltanto con Yves. Era una parte di sé che non mostrava praticamente a nessuno, che teneva ben nascosta sotto spessi strati di menefreghismo.
Si era pure pentito di aver definito i loro incontri intimi come delle “scopate”, ma era pure vero che la situazione stava degenerando in fretta e rischiava di scottarsi. E Adrien era ancora così chiuso a riccio da non avergli permesso di comprendere se era attirato da altro, in lui, oltre che dal suo corpo.
Però, aveva letto la delusione sul suo viso: «Abbiamo scopato.» e i suoi occhi si erano incupiti.
Se ripensava a quella scena il cuore si stringeva un po' e l'imbarazzo rischiava di soffocarlo. Scosse la testa e tornò alle sue mandorle. Un ultimo tocco, e il dolce sarebbe stato pronto per la consegna. Al suo fianco si agitavano altri membri della brigata di Camille, e detestava in modo viscerale doversi destreggiare tra i loro movimenti improvvisi, il furto continuo di utensili, il disordine cronico che contraddistingueva almeno tre su cinque di loro. Tollerava soltanto il disordine di Yves – e neppure sempre –, ma amava Yves, era una grossa eccezione. Non tollerava neanche che il disordine sentisse gli altri autorizzati ad appropriarsi dei suoi utensili, i compagni di avventura che aveva scelto con estrema cura e precisione – la considerava una mancanza stratosferica di professionalità.
Era difficile concentrarsi pure con il sottofondo delle parole continue e sussurrate che uscivano dalle loro bocche pettegole. Si stava innervosendo e rischiava di spezzare il disco di pasta che stava tentando di collocare sopra la crema.
«Dorian!» Camille fece irruzione nel laboratorio proprio un attimo dopo che aveva liberato le mani. Il suo tempismo perfetto, tuttavia, lo irritò ancora di più. «La Paris-Brest. Sono venuti a ritirarla.»
Si irrigidì. «Devo finire di decorarla.»
«È mai possibile che tu debba sempre farmi fare delle figure squallide con i clienti?!» tuonò e il laboratorio si ammutolì. Si percepì chiaramente una frusta rotolare su una superficie, prima di schiantarsi sul pavimento. Non osò girarsi per vedere chi si era macchiato di un tale crimine, nella speranza che sua madre distogliesse la propria attenzione altrove da sola – anche se detestava i colleghi, non voleva costringerli a diventare il suo diversivo –, ma a lei sembrò non importare affatto di quella interruzione. «Allora? Aspetto una risposta!»
«Sul serio?» domandò, ed ebbe la spiacevole sensazione di avere gli sguardi di tutti i presenti puntati addosso, con una tale precisione e intensità da temere che potessero perforargli la pelle. Loro non erano di certo altrettanto benevoli con lui: anche quando Camille lo ignorava, pur di svincolarsi dalle sue sfuriate, chiunque, lì dentro, era sempre pronto a puntagli un faro addosso per distogliere l'attenzione del capo da sé.
Camille assottigliò lo sguardo e si fece più vicina a lui. «Avevamo garantito la consegna per le ore diciassette.»
«Sono le sedici e trenta...»
«Doveva essere già pronta!»
Compì un passo indietro, allontanandosi dal bancone e incrociò le braccia sul petto. «Hai accettato l'ordine neanche due ore fa.»
La donna sgranò gli occhi e si irrigidì. «È un cliente importante...»
«Tutti i clienti sono importanti.» la interruppe. «E io ho dovuto lavorare pure ad altro, nel frattempo. Ma devi fare presente loro che se vogliono qualcosa di fatto bene, devono rispettare i tempi delle cose fatte bene. Altrimenti, la tua stupida Paris-Brest potevi fartela fare da uno di loro.» e indicò dietro di sé con un pollice.
Percepì un mormorio di dissenso, ma se ne infischiò.
Camille strinse le labbra con tanta forza da farle impallidire. Continuò a fissarlo con uno sguardo saturo di disprezzo e ira, mentre dentro di lei vedeva agitarsi la sua solita arroganza in visibile conflitto con la realtà dei fatti. Era il rischio che si correva se si decideva di porre il guadagno sopra ogni altra cosa, pure al di sopra della ragione. Se si iniziava a fare il loro lavoro privandolo di rispetto e passione.
«Temo di essermi perso.» Adrien stava vivendo lo stesso conflitto interiore di Camille, con la differenza di quasi trent'anni in più di esperienza a favore della seconda, ma Adrien era già riuscito ad arrivare a una consapevolezza più profonda di lei, dei propri tormenti.
Questo li rendeva diversi, questo rendeva Adrien una persona sensibile, a differenza di Camille.
«Finiscila e mettila in consegna.» sussurrò livida di rabbia e uscì dal laboratorio.
Dorian continuò a ignorare il resto dei presenti, si impose di fingere di essere assolutamente da solo nella stanza, per evitare di intercettare i loro sguardi colmi d'odio e rischiare, così, di innescare qualche spiacevole battibecco. Anche perché, non aveva davvero tempo da perdere dietro a stronzate del genere. Concluse il proprio lavoro, ripose il dolce nella sua confezione e lo mise in consegna, non aspettando neanche che una delle ragazze addette alla vendita venisse a ritirarla. Uscì dal laboratorio, si diresse verso la sua moto, prese posto sulla sella, incrociò le dita delle mani e rimase un tempo indefinito a fissare l'asfalto lercio, cosparso di ghiaccio e neve sciolta al centro, cumuli di neve sporca e altra sporcizia ne delimitavano entrambi i lati.
Il vento divenne presto un compagno poco piacevole: era uscito dal negozio senza prendere la giacca, e il freddo si stava già insinuando tra le pieghe dei vestiti, gli stava gelando la pelle, rendendola liscia e tesa. Gli piaceva il freddo, in realtà, la sensazione di lucidità estrema che sembrava accompagnarlo, donandogli una pace interiore, una calma che raramente, in altre occasioni, riusciva a eguagliare. Si concedeva pochi movimenti per non disperdere troppo il calore del corpo, i sensi si acuivano mettendolo in allarme, tentando, forse, di ricordargli che sapeva di rischiare di congelare. Ma ciò allontanava i pensieri superflui, permettendogli di concentrarsi ancora di più. Doveva soltanto non strafare e tornarsene al caldo prima di beccarsi una polmonite. Poteva farcela. Forse.
Venne raggiunto proprio da Camille poco dopo, e l'idillio si spezzò ancora. Sua madre indossava il suo pesante giubbotto sopra la divisa, sopra il grembiule, e vedere ciò aumentò il suo fastidio: la trovava una cosa sporca.
«Hai oltrepassato il limite,» una nuvoletta bianca abbandonò le sue labbra, ma non si trattava soltanto di alito condensato, poiché stava fumando e quando se ne accorse, quando la puzza di sigaretta arrivò alle narici, i nervi si tesero e la rabbia rischiò di mandare in frantumi la calma che aveva riacquisito. «Di nuovo.»
Reclinò il capo da un lato, squadrandola dalla testa ai piedi. «Disse quella che esce dal laboratorio con lo stesso grembiule che indossa mentre lavora. E in più, stai pure fumando!»
Camille fece una smorfia. «Ho un'ottima brigata proprio per permettermi di fare quello che cazzo voglio.»
«Non hai un'ottima brigata, hai soltanto me. E troppi idioti che tentano di tenere il mio passo senza dispiacerti troppo.»
La donna sollevò un sopracciglio con ostentato scetticismo e tutte le rughe che le appesantivano il volto dallo stesso lato si acuirono, rendendo la sua faccia una maschera di linee profonde, che le deformavano i lineamenti. Da quel punto di vista, Dorian sperava di aver preso da suo padre, anche se non ricordava neppure che faccia avesse, nella speranza di non ridursi come la madre, una volta raggiunta la sua stessa età. Gli ricordava una prugna secca, così marcia da rischiare di esplodere. «Tu non arriverai mai da nessuna parte, Dorian.»
Scrollò le spalle e distolse lo sguardo da lei. Con la coda dell'occhio la vide gettare la cicca sulla neve sporca a ridosso del muro che delimitava un fianco della pasticceria. «Non voglio di certo arrivare dove sei tu...» sussurrò furioso.
«Disprezzi tanto i miei successi perché sai che non potrai mai ottenerne di uguali.»
Si alzò dalla moto e si batté le mani sui fianchi, scuotendo la testa. «Pensala come vuoi.» Tanto, non capiresti neppure se te lo spiegassi, conosceva bene i suoi limiti. Insistere per tentare di aiutarla a comprendere sarebbe stata soltanto un'inutile perdita di tempo.
«È così, non ne ho dubbi. Ho due figli e siete entrambi una delusione. Tu sei schifosamente presuntuoso e saccente. Senza spina dorsale, senza ambizioni. Un ameba. E il secondo non ha neanche il più piccolo briciolo di talento che hai tu. È un totale inetto, un fallimento sotto ogni punto di vista...»
Strinse con forza entrambe le mani a pugno. «Lascia fuori Es da questa storia.» sibilò furioso.
Camille mosse le labbra in un'espressione di stupore. «Quanto ardore! Se ne applicassi altrettanto nel tuo lavoro...»
«Io!» tuonò interrompendola, e le puntò un dito sotto al mento. «Vivo soltanto di passione per questo lavoro. Io. Ma tu che cazzo puoi capirne?» scosse ancora la testa e si allontanò da lei.
«Non ti permetto di parlarmi così, Dorian.» la ignorò e recuperò il casco dal bauletto portaoggetti. «Faccio questo lavoro da più di quarant'anni!»
«Allora, forse, dovresti appendere il grembiule al chiodo una volta e per tutte e andartene in pensione.»
La udì grugnire di frustrazione. «Come osi! Dove diavolo stai andando? Sei ancora di turno! Sto parlando con te!»
Indossò il casco e mise in moto, tolse il cavalletto e Camille lo strattonò per un braccio. La spinse lontana da sé e sgommò a tutta velocità fuori dal vicolo.
Lo avrebbe licenziato? Magari. Ma la prospettiva che ciò potesse accadere accese nuova rabbia in lui, accompagnata da una buona dose d'ansia. Era il figlio di Camille Leclerc. Era certo che sua madre si sarebbe prodigata a spargere la notizia ovunque, se fosse stata davvero costretta a licenziarlo. Dopodiché, la sua carriera come pasticciere sarebbe naufragata del tutto, non ne dubitava. Nessuno si sarebbe mai preso la responsabilità di assumerlo, non dopo essere stato rinnegato da lei, nonostante il loro legame di sangue. Sua madre era riuscita a costruirsi un'immagine di perfezione, professionalità e bontà, una maschera così spessa, impossibile da infrangere dopo quarant'anni. Era riuscita a fare fuori un sacco di rivali proprio adoperando la stessa tecnica che aveva usato con Adrien: per il pubblico che la seguiva da sempre era impossibile vedere in lei il carnefice, ma lo diventava chiunque riuscisse a strapparle qualche finta lacrimuccia davanti a una telecamera.
Camille Leclerc così buona e gentile, così facile vittima di un mondo spietato e maschilista.
Dorian non ne dubitava: il perché sua madre non avesse mai detto pubblicamente di avere assunto il proprio figlio era parte di un piano studiato alla perfezione, per un proprio tornaconto, messo in standby, ma pronto per essere riavviato al momento più opportuno.
Se Camille lo avesse licenziato, sarebbe stato lui quello costretto ad appendere il grembiule al chiodo.
Accelerò un po', il ghiaccio sull'asfalto vinse la battaglia contro i battistrada, facendolo sbandare. Riuscì a schivare un'auto, la moto scivolò ancora, piegandosi troppo su un fianco. Non seppe neppure lui quali movimenti riuscì a fare, ma si trovò contromano, a ridosso della carreggiata, ancora in sella al mezzo.
Ansimò dentro il casco, tremò da capo a piedi. Aveva le dita delle mani intirizzite dal freddo, il collo e le spalle gelate. Il cuore batteva all'impazzata per lo spavento. Non si era schiantato, ma si sentiva a pezzi proprio come se ciò fosse accaduto.
Riprese fiato, direzione, rimise in moto. Decise di non fare più cazzate, di non accelerare più, e riuscì ad arrivare all'appartamento che condivideva con Yves sano e salvo. Tuttavia, sentiva così freddo da aver perso un po' la sensibilità degli arti. E quel freddo non lo aiutava a pensare, rischiava di ammazzarlo e basta.
Appena varcò l'ingresso di casa, però, il calore che lo accolse iniziò subito a far evaporare il gelo che gli attanagliava il corpo. Sorprese Yves in cucina, intento a trafficare con un mattarello. Il fratello si girò brevemente verso di lui, imprecò, tornò al proprio impasto. «Mi spieghi perché cazzo mi si buca sempre, 'sta merda?» e lanciò il mattarello nella vasca del lavandino.
Scrollò le spalle e tornò a guardarlo. Soltanto allora si accorse, probabilmente, del fatto che Dorian non solo stava ancora tremando, che era rincasato in anticipo, ma che indossava pure la divisa da lavoro.
Yves sgranò appena gli occhi e reclinò il capo da un lato, studiando ancora il suo viso, mentre gli rivolgeva una muta domanda.
Dorian non aveva bisogno affatto che l'altro parlasse per capirlo, intuiva sempre i suoi pensieri, e si conoscevano in un modo così assoluto da non permettere a nessun fraintendimento di farsi spazio tra di loro. Scrollò le spalle e fece una smorfia.
Suo fratello si fece avanti e allargò titubante le braccia. Sapeva quanto Dorian detestasse mostrarsi vulnerabile, soprattutto se la causa della sua vulnerabilità era l'ennesimo litigio con la madre. Ma sapeva pure di avere il permesso, l'esclusiva, di poterlo vedere così e, infatti, Dorian si aggrappò subito a lui, lasciandosi abbracciare.
«Abbiamo un po' di soldi da parte...»
Scappò bruscamente dalle sue braccia, dirigendosi a grandi passi in direzione del bagno. Cominciò a spogliarsi nel corridoio, ma non si fece sopraffare troppo dallo sconforto, mantenendo inalterata la propria indole, finendo per gettare la biancheria, che aveva indossato, nel cestino apposito in bagno.
Yves lo aveva seguito, e rimase sulla soglia della porta, le braccia incrociate sul petto.
«Ne abbiamo già parlato.»
«C'è tanta gente che la odia e che ti prenderebbe subito con sé...»
«Affatto.» lo interruppe, e finì di spogliarsi. Rabbrividì. «Perché stanno tutti con le pezze al culo a causa sua.» si infilò dentro la doccia e aprì l'acqua calda.
«Potresti lasciarla tu, e aprirti una tua attività.»
Le parole gli giunsero attutite attraverso le pareti della cabina, il frastuono prodotto dal getto che gli picchiava la testa, permettendo al gelo di evaporare. «Non sono fatto per comandare.»
«An...»
«Sono i nostri soldi.» lo interruppe ancora. «E non bastano per permettere a me di rischiare con un'attività tutta mia e non bastano a te per permetterti di mandare Laurent a 'fanculo.» la pelle aveva iniziato a bruciare a causa dell'acqua troppo calda, ma non perse tempo a stemperarla, comprendendo di essersi riscaldato a sufficienza, e uscì dalla doccia. Si avvolse nell'accappatoio.
«Potresti farti assumere da Renard.»
Rise sprezzante e scosse la testa. «Non se ne parla.»
«Perché no?»
Accese il phon e rimasero in silenzio finché non ebbe finito di asciugarsi i capelli. Ma Yves era ostinato e non demorse. Rimase in attesa, in silenzio, poi lo seguì pure fuori dal bagno, fino nella sua stanza. Attese che si rivestisse, senza mai vacillare un po', con lo sguardo puntato su di lui.
Dorian sbuffò e gli rivolse un'occhiataccia, ma l'altro non si fece intimorire per niente, non reagì affatto come faceva sempre Adrien quando gli rifilava lo stesso sguardo di rimprovero. Non un sobbalzo, neanche piccolissimo, né il minimo accenno di imbarazzo. Adrien, invece, mostrava entrambe le cose e spesso arrossiva pure. Era molto dolce pure in questo.
Si passò una mano tra i capelli e cedette all'insistenza persecutoria del gemello. «Lo sai già.» borbottò sconfitto.
Yves sorrise e sedette accanto a lui sul letto. «Sì, me ne sono accorto l'altro giorno.»
«Era soltanto la seconda volta che stavamo insieme.»
«Non ha importanza. Sbavi sulle sue foto da anni.»
Gli puntò contro un dito accusatore. «Non osare fartelo sfuggire con lui.»
Yves sollevò le mani come se fossero uno scudo con il quale potersi difendere dalle sue minacce, e ciò lo fece sorridere, sciogliendo un po' la tensione delle spalle. «Promesso.»
Ritirò il dito. «Sul serio... Hai già cercato di farglielo capire, l'altro giorno. Non ti azzardare più a fare una cosa del genere.»
Yves ridacchiò. «Ti sei difeso bene.» e gli passò un braccio intorno alle spalle, strattonandolo verso di sé.
«Sono abituato a difendermi, ma non mi piace dovermi difendere da te.»
Suo fratello annuì. «Ti chiedo scusa. È che mi hai stupito. Non credevo ti saresti spinto così tanto...»
«Ho sempre ammirato il lavoro di Renard e lo sai. E poi è figo come gli attori dei miei film preferiti.»
«Un'accoppiata letale.» e annuì ancora.
«Non mi ero ancora infilato nel suo letto soltanto perché è il maggior rivale di Camille.»
«Perché lui non ti aveva notato.» ribatté l'altro con tono di rimprovero. «Mi sembra che adesso che, invece, ti ha notato, tu abbia già messo da parte il fatto che è il nemico giurato della mamma.»
Trasalì appena nel sentirlo definire la donna che li aveva messi al mondo come “mamma”.
Camille era una pasticciera capace, un capo desposta e trainante. Una donna in grado di ottenere tutto quello che desiderava, attraverso i mezzi più disparati. Una grande stronza.
La Mamma, no, gli era proprio difficile considerarla tale, anche se si sforzava, con Yves, di ricordarsi, appunto, che proprio lei li aveva partoriti, che gli aveva fatto un dono immenso: suo fratello.
Sospirò mesto e si sgranchì il collo, ma il braccio di Yves rimase intorno alle sue spalle. «Non so ancora che cosa prova Adrien per me. È troppo presto, credo.»
«Ti guardava in un modo, però...»
«Es.» lo interruppe. «Non so niente di lui più di quello che ho appreso dalle sue interviste. E molte cose erano pure false.»
«Esiste il colpo di fulmine, sai?»
«Ma magari lui vuole solo scopare e basta.» ricordò il suo sguardo ferito quando aveva pronunciato quella parola proprio davanti a lui. Ma non voleva illudersi, non ancora. «Se le cose non dovessero andare, non voglio trovarmi a lavorare per uno con cui potrei avere più problemi che con Camille.» Yves annuì di nuovo, gli batté una pacca su una spalla e ritirò il braccio.
Dorian si sentì subito denudare, privare di tutto il suo calore, e la cosa non gli piacque per niente. Gli si fece più vicino e gli si spalmò addosso, strappandogli un sorriso. «Vedrai che troveremo una soluzione. Tu manderai a 'fanculo Laurent, troverai una ragazza migliore di Giselle...»
«Quella...!»
«Si è fatta scappare te, è una gran cogliona.» gli occhi di Yves si fecero lucidi, ma annuì lo stesso, sorrise triste e Dorian ebbe l'ulteriore conferma del fatto che suo fratello non si era affatto, ancora, rassegnato alla fine della sua relazione. «E io... Beh. Farò in modo di non farmi fregare da Renard, troverò una soluzione con Camille e, magari, smetterò pure di litigare con lei...» si interruppe all'improvviso, rendendosi conto di aver detto una marea di stronzate e di essere rimasto senza parole.
Yves scosse la testa e il suo labbro inferiore tremò. Non era riuscito a convincerlo – e non aveva convinto neppure se stesso.
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