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3. Crème

L'aria gelida della sera, di quella giornata ormai giunta quasi al termine, di fine novembre, gli ghiacciò all'istante la punta del naso e le guance nel momento stesso in cui uscì dal lussuoso albergo che ospitava la competizione.

Gli occhi presero a lacrimare un po', fece aderire meglio la sciarpa intorno al collo, ma il vento sibillino continuava a importunarlo abbastanza da rischiare di guastargli l'umore. Detestava quel genere di clima, la mancanza di sensibilità che gli intorpidiva le estremità degli arti, gelandogli le ossa e il culo. Scrollò il capo e il tipo di Camille lo affiancò, uscendo dall'albergo. Indossava una giacca a quadri di panno, forse troppo sottile per la stagione, e non aveva neppure una sciarpa. «Adesso mi dirai il tuo nome?»

L'uomo sollevò un sopracciglio, un movimento brevissimo, che scomparve subito risucchiato all'interno di un'espressione impassibile. «Prima non l'hai chiesto, credevo non ti importasse.»

Dopotutto, aveva davvero ragione a credere che fosse irrilevante, per lui, sapere il nome di una persona con cui aveva intenzione di trascorrere una serata pizzicante, fine a se stessa. Adrien, tuttavia, non era per quel motivo che desiderava conoscere la sua identità. Il tipo poteva avere sì e no trent'anni, non era più un ragazzino, non era un apprendista, e il fatto che Camille Leclerc avesse assunto un pasticciere capace, col rischio che questi offuscasse la fama che la precedeva, era il vero motivo per cui era così curioso di conoscere il suo nome. Di sapere l'identità di colui che era riuscito a scongelare qualcosa di così consolidato nel tempo come l'arroganza di Camille. «Sto recuperando adesso.» ribatté e gli fece cenno di seguirlo a destra.

«Ho la mia moto sul retro.» e indicò con un pollice alle proprie spalle.

Scoprire questo dettaglio lo stupì e lo infastidì al tempo stesso. «Fa troppo freddo per girare in moto.» e, per di più, non gli aveva ancora detto il suo nome.

«Mi riaccompagni a recuperarla?»

«Non stai facendo troppi programmi, tenuto conto che non mi hai ancora detto qual è il tuo nome?»

Il tipo sorrise. «Dorian.»

«Dorian e basta?»

«Sei così presuntuoso da non avermi detto il tuo, Dorian ti basterà.»

«I tuoi colleghi conoscevano benissimo la mia identità e tu eri lì, li hai sentiti parlare. Non è presunzione,» recuperò le chiavi dell'auto, esortandolo ancora a seguirlo. Non si sincerò che lo facesse davvero, decidendo che non lo avrebbe pregato affatto di continuare quella serata con lui. «La mia foto è stata su tutte le più oscene riviste, nelle ultime settimane. E il mio nome ha una sua fama da anni.» si voltò brevemente nella sua direzione, per sincerarsi di non stare parlando da solo.

Lo trovò così vicino a sé da costringerlo a fare un passo indietro affinché non si scontrassero. Lo stava seguendo. Lo stava facendo senza battere ciglia.

Per qualche istante, venne sfiorato dall'idea che potesse trattarsi di una trappola orchestrata da Camille: non farsi trovare alla sua postazione in sala, piazzare al proprio posto un tipo interessante, mai visto, un pasticciere con un vero talento, in grado di stimolare la sua curiosità. Per poi mandarlo alla sua postazione, sedurlo, fargli passare la notte con lui. Il giorno successivo far scoppiare l'ennesimo scandalo sul suo conto. Magari qualche minuto prima della proclamazione dei vincitori del concorso.

Osservò con attenzione i lineamenti del suo volto, sembrava assolutamente impassibile.

Se lo avesse rimandato alla sua moto, battendo in ritirata, il tipo avrebbe insistito per infilarsi nel suo letto?

Incrociò le braccia sul petto e gli rivolse uno sguardo di sfida. «Com'è che Camille ti ha assunto?»

Dorian sorrise e scosse la testa. Aveva un modo di sorridere strano, privo di qualsiasi emozione. Il sorriso si accendeva sulle sue labbra con una facilità sorprendente, senza un tremore o un'esitazione, spontaneo come un bucaneve nel deserto. «Non ne ha potuto fare a meno.» e lo superò, proseguendo lungo lo scivolo che conduceva dentro il garage dell'albergo. «Se ti interessa tanto, chiedi in giro. Sanno tutti che sono un raccomandato.» continuò a camminare, dandogli le spalle.

Adrien compì qualche passo più precipitoso e lo raggiunse. Raccomandato... no, hai talento, cazzo.

L'odore di umido e freddo dell'ambiente gli bruciò le narici, infastidendolo ancora di più. Poteva percepire sfumature di benzina, di marcio, polvere, gasolio, muffa. Erano tutti odori labili, ma insopportabili per il suo olfatto ipersensibile. La combo con il freddo rischiava di mandare a puttane la serata, confondendolo con un feroce mal di testa. Si tappò le narici e aprì l'auto, mentre i fari del mezzo si accendevano e spegnevano, illuminando brevemente l'ambiente.

Dorian salì a bordo, prese posto sul sedile anteriore del passeggero prima ancora che Adrien lo raggiungesse. «Hai fame?»

Lo vide annuire brevemente. «Niente dolci, però. Sono sazio di dolci.»

Sorrise e scosse la testa, mise in moto. «Non mi sembri tanto teso in vista per domani.»

«Non mi importa.»

«Sul serio? Non vuoi vincere?»

«Te l'ho detto.»

«E allora perché impegnarsi tanto con quelle éclair?»

«Non mi sono impegnato tanto come intendi tu.»

«Ah, no? E sai pure che cosa intendevo dire? Un po' presuntuoso da parte tua.»

Uscirono dal garage e si immisero nel traffico. La città era una splendida cartolina, satura di densi neri, di vibranti sfumature di rosso scuro, di blu cupi, gialli e caldi arancioni. Le luminarie natalizie la riempivano di scintillanti riflessi, squarciando la notte, donandole una forma di vita magica, quasi fiabesca. Troppo distante dalla realtà. Nauseabondo.

«Quello che credono tutti,» e il tipo puntò con una mano dinanzi a sé. «Impegnarsi tanto per raggiungere un obiettivo. La ricerca della strada migliore per il raggiungimento stesso dell'obiettivo.» scrollò le spalle e poggiò un gomito sul bracciolo dello sportello, rivolgendo lo sguardo oltre il finestrino dal proprio lato, sorreggendosi il mento con una mano. «Penso che sia una perdita di tempo.»

Le sue ultime parole lo stupirono così tanto che rischiò di oltrepassare l'incrocio, nonostante il semaforo rosso che gli intimava lo stop. Frenò all'ultimo, sbalzando entrambi un po' in avanti. Dorian gli rivolse uno sguardo di rimprovero. Si scusò con un'alzata di spalle.

Era riuscito a toccare un nervo scoperto in lui, senza che lo conoscesse, senza che mai prima avesse aperto quella conversazione con nessun altro, proprio per timore di lasciarsi sfuggire qualche parola di troppo con le persone sbagliate. Non voleva, tuttavia, correre il rischio di scivolare su quell'argomento proprio con un membro della brigata di Camille Leclerc. Stava già rischiando l'ennesimo scandalo, non aveva alcuna intenzione di permettere a nessuno di sguazzare pure su quell'aspetto della sua vita. «Quindi, non l'hai fatto per vincere.»

«No.»

Raggiunsero casa sua dopo aver acquistato del cibo da asporto presso un ristorante di cucina indiana. Osservò Dorian muoversi tra gli ambienti luminosi, dagli arredi essenziali e moderni che caratterizzavano l'appartamento, sito all'attico di un palazzo di ben quindici piani, da cui si poteva godere di una vista mozzafiato su Parigi, attraverso le ampie finestre a parete presenti in quasi tutte le stanze.

Il suo ospite sembrava affascinato dal panorama, tant'è che consumò la sua cena restando in piedi, nei pressi di una finestra.

Adrien lo fissò ancora un po' dal basso, stravaccato sul divano. Lo incuriosivano la sua compostezza e l'ostentata apatia, il modo in cui muoveva i polsi, sottili, mentre si portava il cibo alla bocca, con il minimo accompagnamento da parte delle mani, come se stesse montando degli albumi a neve con una frustra manuale. La forza dell'abitudine.

La figura longilinea, la T-shirt più grande di un paio di taglie, le cui maniche scivolavano sui gomiti, scoprendogli gli avambracci.

Dorian finì di mangiare, gli si fece vicino, poggiando le stoviglie che aveva utilizzato sul tavolino davanti le sue gambe, sollevò lo sguardo e finì per incastrarsi nei suoi occhi. Quella scena mancava di atmosfera, di complicità, di armonia. Sapevano entrambi come sarebbe andata a finire, e forse avevano mangiato cibi aromatizzati con troppo aglio e troppa cipolla. Gli venne da sorridere, mentre recuperava il telecomando e spegneva le luci della stanza, lasciando accesa solo l'abat jour posta sull'alto comodino vicino al divano. E quella illuminò gli occhi del suo ospite, proiettando ombre più decise sul suo viso, facendo risaltare i suoi lineamenti, mostrandogli in tutta la loro bellezza le pagliuzze dorate che gli riempivano le iridi verdi e castane. Era come assistere all'esplosione dei colori di un bosco da fiaba.

E gli piaceva l'odore della sua pelle, che era arrivato con prepotenza a stimolargli l'olfatto delicato con fragranze che gli ricordarono sapone di Marsiglia, brezza primaverile, fiori di campo.

Dorian si tirò indietro, incrociò le braccia sul petto, ma poi sedette al suo fianco. «Adesso mangerei un dolce, sì.»

Rise. La tensione breve e improvvisa che lo aveva travolto, guardandolo negli occhi, si era dissolta, liberando dentro di lui l'adrenalina. «Ho solo della crema, in frigo. Mi è avanzata ieri.»

«Avanzi di un pasticciere?»

«Preferisco il cioccolato.»

L'uomo si strinse nelle spalle. Non gli chiese per chi l'aveva preparata, sembrava non importargli. Ma anche ad Adrien andava bene così. «Meglio, si sarà intensificata nel sapore.»

Scosse la testa e si recò in cucina, recuperò la terrina con la crema dal frigo, anche il barattolo di latta nel quale conservava i biscotti, assicurandosi che ve ne fosse rimasto qualcuno dentro, dopo l'incontro fugace con un corpo senza nome della notte precedente. Era divertente, forse un po' imbarazzante, essere un pasticciere e rendersi conto di non avere nulla di degno di nota da offrire al proprio ospite come dolce, a parte qualche avanzo di crema e circa sei biscotti. Ma Dorian parve non farci caso, oppure anche in casa sua non avrebbe trovato dessert? Sembrava l'inizio di una barzelletta: lo sai qual è il colmo per un pasticciere?

L'uomo si era spostato sul pavimento e Adrien lo raggiunse. Senza alcun finto perbenismo lo osservò aprire un barattolo, recuperare un biscotto e inzupparlo direttamente nella terrina della crema, lasciandosi dietro qualche briciola.

Era una cosa che detestava in maniera viscerale. Grumi. Grumi croccanti che intaccavano la superficie liscia ed omogenea della sua crema perfetta – ora non più perfetta. Tuttavia, non voleva essere scortese, perciò recuperò un cucchiaino, ne prese un po' da spalmare sul biscotto, cercando di dare il buon esempio. Non servì. E altre odiose briciole riempirono la terrina.

Stava iniziando a innervosirsi, allungò la mano col cucchiaino, e finì per scontrarsi col biscotto nuovamente pronto all'inzuppo di Dorian. Lo osservarono cadere per intero sulla crema, e affondare di qualche millimetro. Il suo ospite si lasciò sfuggire un gridolino di stupore e ciò mise a tacere in lui l'irritazione. «Briciola in più, briciola in meno.» disse e l'altro gli rivolse uno sguardo furbo, recuperò il biscotto con le dita, ma la luce dell'abat jour era tornata a impossessarsi delle sue iridi e quelle dannate pagliuzze dorate sembravano vibrare di vita propria, apposta per ipnotizzarlo.

Gli afferrò il polso, impedendogli di portare il biscotto alla bocca, e lo morse al posto suo. Dorian sorrise malizioso, socchiuse gli occhi, mentre Adrien leccava via i rimasugli di crema dalle sue dita.

Il baciò scattò subito dopo, proprio quando l'atmosfera che aveva cercato fino a poco prima li travolse con una tensione improvvisa, ma anche così forte da spezzarsi all'istante. E non sapeva affatto di cipolla né di aglio. Sapeva di vaniglia, di zucchero, limone. Le sue labbra sembravano burro sulle proprie, così morbide e dall'incastro perfetto. La sua lingua sapeva di dolce, ed era voluttuosa, intraprendente.

Sorrise e si chinò su di lui, spingendolo a stendersi sul pavimento, sul tappeto peloso che Julie lo aveva spinto ad acquistare per tentare di dare un tocco di personalità all'appartamento. Così caldo e soffice, accogliente.

I respiri si fecero pesanti e le mani esploratrici. Interruppero il bacio lo stretto necessario per rimuovere maglione e T-shirt, poi furono pelle contro pelle.

Aveva le estremità delle dita gelate, nonostante i caloriferi accesi, ma la pelle di Dorian era bollente, e ad ogni nuova carezza percepiva i polpastrelli tirare un sospiro di sollievo, mentre il gelo si scioglieva, e le braccia dell'altro si coprivano di brividi. Gli baciò il collo, accompagnato dal suono dei suoi ansiti brevi; il petto, e poi fu di nuovo sulla sua bocca. Le mani di Dorian erano sui suoi fianchi, le dita stavano lavorando con perizia, aprendo la cintura, la cerniera dei pantaloni e Adrien sfilò il portafogli dalla tasca posteriore dell'indumento, prima che il suo ospite completasse il favore di sfilarglielo di dosso.

Recuperò un preservativo e Dorian si sporse in avanti, afferrando il bordo della bustina con i denti. Quella visione finì per scaldargli del tutto il corpo, accendendo il sangue, facendo sì che la lussuria prendesse possesso di ogni terminazione nervosa.

Ansimò, mentre le mani dell'altro continuavano a giocare con lui, con il suo corpo, con il suo sesso, mentre lo aiutava a indossare il profilattico. Le sue dita che si muovevano su di lui, così bollenti. Il suo sguardo si era fatto opaco di aspettative, di desiderio.

Lo osservò stendersi di nuovo, accarezzandosi l'interno coscia e aprendo di più le gambe. Una sirena ammaliante, dalla carica erotica mozzafiato. Riprese a baciarlo, mentre lo guidava dentro di sé e sussultava appena. Gemette di piacere misto a dolore, ma Adrien non si era neppure reso conto di quanto l'attesa si fosse fatta estenuante durante la cena, finché non aveva avuto la possibilità di aderire alla sua pelle con la propria.

Si spinse dentro di lui, Dorian protese il bacino e si lasciò sfuggire un urlo strozzato. Si morse le labbra e tremò, circondandogli la vita con le braccia, iniziando a muoversi contro di lui. Sempre più sinuoso e invitante. Intraprendente e spiazzante. Era lui a guidarlo, a imporgli il ritmo delle spinte.

Con un improvviso colpo di reni capovolse le loro posizioni e sedette su di lui, continuando a muoversi, accarezzandosi sensuale la bocca socchiusa, il collo, il mento. Ciocche di capelli umide gli incorniciavano la fronte, si incastravano con le punte tra le sue ciglia.

Lo afferrò per i fianchi e tentò di riprendere possesso dell'amplesso, suscitando in lui una risatina tremula di passione. Si tirò a sedere e Dorian parve trattenere il respiro, fissando le sue labbra.

Gli allontanò i capelli dalla fronte, liberando gli occhi, lo afferrò per le natiche e gli andò incontro con una certa irruenza, facendolo urlare ancora. I respiri sempre più brevi, mentre riprendeva a baciarlo. Una mano del suo amante finì tra i loro corpi e prese a toccarsi, ansimò sulla sua bocca, reclinò il capo all'indietro, tornando a stendersi sul tappeto.

Così abbandonato a lui, adesso.

Adrien comprese di aver raggiunto l'orgasmo soltanto quando cadde in avanti, su di lui, sfiorando il suo addome già bagnato di piacere. Scivolò al suo fianco, rimosse a fatica il preservativo, percependo le braccia troppo pesanti e molli, le gambe tremavano ancora a causa della tensione.

«Adesso devi riaccompagnarmi alla mia moto.» disse Dorian col fiato corto.

Sorrise e scosse la testa, coprendosi parzialmente il volto con un braccio. «Col cazzo. Non ho intenzione di prendere freddo dopo questo

Percepì il calore del suo corpo di nuovo contro il proprio, si scoprì gli occhi e lo trovò intento a incombere su di lui. Non era arrabbiato, anzi, la sua espressione di sfida gli fece rammentare che, forse, era caduto all'interno dell'ennesimo agguato di Camille. Si irrigidì un po'. L'altro parve accorgersene e il suo sguardo si tinse di vaga incertezza. «E dopo questo,» disse con tono allusivo, accarezzandogli con un dito la pelle tesa intorno all'ombelico, che si coprì di brividi all'istante, facendogli contrarre i muscoli sotto pelle. «Io mi merito di prendere freddo?»

Scosse ancora la testa, ma fu costretto ad allontanare la sua mano da sé per poter ritrovare la voce. «Puoi restare a dormire qui. Puoi pure usufruire della doccia e di un cambio d'abiti in prestito...»

«Hey,» lo interruppe. «Non credi di stare correndo troppo, Renard?»

«È solo una proposta comoda per entrambi. Abbiamo lo stesso appuntamento, dopotutto, domani mattina, proprio nell'albergo dove hai lasciato la tua moto.»

Dorian fece una smorfia, ma era troppo divertito affinché questa potesse risultare credibile. «Sai che facce... se ci vedessero arrivare insieme?»

«Potrebbero già averci visti andare via insieme.»

Dorian si stese accanto a lui, intrecciando le gambe alle sue e riprese ad accarezzarlo con quel dannato dito, sul petto, stavolta, rischiando di nuovo di confondergli i pensieri. «Era già buio. Ed erano ancora tutti dentro, a scambiarsi convenevoli del cazzo, abbaglianti sorrisi falsi come zirconi.»

Concordavano su quel punto. Sorrise e riprese a scuotere la testa. «Allora perché non vuoi restare a dormire?»

«Non voglio illuderti, Renard. Mi sembri uno che si innamora facile...»

«Ma proprio per niente.» e comprese che si stava prendendo gioco di lui per evitare di dargli risposte esaustive – ancora. Ma questo non faceva altro che accrescere la sua curiosità.

Dorian si protese di nuovo su di lui, incombendo sulla sua persona con uno sguardo decisamente divertito. «Ma io sono irresistibile.» rise di gusto e lo afferrò per i fianchi, spalmandoselo addosso e lo baciò ancora. «Visto? Sei già pazzo di me. Ma io sarò benevolo e mi limiterò a chiederti un passaggio alla mia moto. Ti lascio il tuo letto tutto per te e non saccheggerò neppure il tuo armadio!»

«Hai già riempito la mia crema di briciole.» Dorian lo guardò birichino, facendolo arrossire appena. «Non...!» l'uomo rise, per poi rotolare al suo fianco. «Facciamo un patto. Io ti riaccompagno alla tua moto, ma tu mi dici il vero motivo per cui Camille ti ha assunto.»

L'espressione dell'altro si fece seria e distante di colpo. Lo colpì col dorso di una mano sul petto e aggrottò la fronte. «Te l'ho già detto, sono un raccomandat–...»

«Senti.» lo interruppe. «Si dice in giro che io mi sia scopato suo marito, peggio di così?»

«Ex marito, ormai. E poi so che non è vero.»

Questo lo stupì, ma preferì rimandare l'indagine a riguardo, deciso a trovare delle risposte prima di porsi altre domande. «Sei un suo raccomandato, in che senso? Non sarai il suo nuovo amante! Cazzo, questo vorrebbe dire che quella donna ha una mira in fatto di uomini...!»

«Sono suo figlio.» si alzò dal pavimento, con un glaciale silenzio di sottofondo, saturo di una tensione affatto piacevole, e prese a raccattare le proprie cose. «Adesso mi riaccompagni alla mia moto?»

Annuì e si alzò a sua volta, troppo sbalordito per dire alcunché.

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