23. Charlotte
Non c'era stato un “anch'io”, ma Adrien aveva ormai compreso che il sesso non era più soltanto sesso, che le paure di Dorian continuavano a incastrarlo dentro limiti che non gli appartenevano per davvero.
E gli pareva di stare iniziando ad avere delle allucinazioni, che le giornate si stessero facendo meno fredde, più lunghe, più luminose, così come la speranza aveva oscurato un po' le incertezze.
Gennaio era quasi sparito dal calendario, senza dare troppo peso al proprio passaggio, e soltanto allora si rese conto che sì, aveva trascorso il Natale con Dorian, il Capodanno a deprimersi e l'inizio del nuovo anno nelle sue nuove vesti di divo caduto. Ma non si sentiva un fallito. Si sentiva entusiasta, pronto a cavalcare le onde di una nuova avventura. E quell'avventura era iniziata nello stesso istante in cui aveva confessato il proprio amore a Dorian, smettendola di farsi di paranoie, di aspettare che fosse il suo uomo a fare il primo passo.
Non era da lui, lo aveva capito: mettersi in gioco, dare la possibilità a qualcun altro di fornirgli una risposta che avrebbe potuto ferirlo, non era da Dorian. Preferiva difendersi a priori, rinunciare alle cose che credeva non avrebbe potuto avere, realizzare. Seguiva la scia, privandosi di ciò che voleva davvero, probabilmente, e solo per paura. Ma poi esplodeva, come era accaduto quando aveva avuto l'incidente, si lasciava travolgere dalle emozioni e la ragione andava a farsi benedire.
Avrebbe dovuto provare a incanalare questa sua vena autodistruttiva, aiutarlo a indirizzarla verso qualcosa di positivo. Era il buono proposito che Adrien aveva stabilito avrebbe realizzato durante quel nuovo anno. Nient'altro avrebbe avuto la stessa importanza, ne avrebbe fatto la propria missione primaria e, forse, alla fine, Dorian gli avrebbe pure detto, chiaramente, quello che provava per lui.
«Oh, Adrien! Ci sei?»
Si accorse soltanto in quel momento della mano che Yves gli stava sventolando davanti agli occhi. «Sì?»
«Sì, un cazzo! Ti stavo parlando e tu stavi lì, imbambolato, sembravi un cartonato pubblicitario.»
Aggrottò la fronte. «Le tue battute stanno diventando vintage.»
«Perché ci sto invecchiando nel provare a richiamare la tua attenzione!»
Sbuffò esasperato. «Che c'è?!» chiese con stizza.
«Oh, possiamo, anche, interrompere i tuoi super pensieri?» si limitò a riservargli l'ennesima occhiataccia. Se sapesse... Ma, forse, Yves sapeva, e lo stava spronando a non farsi venire le rughe nel riflettere troppo a lungo. «Mi devi aiutare a fare una torta.» borbottò l'uomo poco dopo, e il suo tono di voce si fece all'improvviso insicuro, titubante, mentre distoglieva gli occhi da lui.
Ecco, in questo, Yves e Dorian sono assolutamente diversi: Yves, quando affrontava un ostacolo, seppur piccolo, si faceva titubante, restio ad agire in maniera decisiva; si limitava a studiare la situazione da lontano, ne valutava i rischi, si lasciava trascinare dalle incognite, dava di matto e risolveva ben poco, mentre Dorian si ammantava di un'arroganza intraprendente, rischiando di farsi molto male – quell'uomo adorava le sfide, ma sapeva anche essere molto dolce e insicuro e questo gli smuoveva in petto tanta tenerezza, il desiderio di proteggerlo pure da se stesso. «Che torta?»
«Una Charlotte.»
Sgranò gli occhi per lo stupore. «E perché mai proprio una Charlotte?»
Pure le guance di Yves divennero segnale lampante che, sotto la sua strana richiesta, ci fosse qualcosa sotto. «Dai, che t'importa! Mi aiuti?»
«Non puoi chiedere a tuo fratello?»
Yves sbuffò imbarazzato. «Mi prenderebbe in giro a vita, se glielo chiedessi...»
«Perché?» ma l'altro non rispose, limitandosi a fare roteare gli occhi con stizza. Lui era stizzito. Lui. Che cosa gli stava sfuggendo? «Dorian è più bravo di me.»
Yves ridacchiò, scrollò le spalle e anche i muscoli del suo volto parvero rilassarsi un po'. «Ma no...»
«È così.»
«Mi piace che pensi questo di lui.» il suo sguardo si fece più serio, l'imbarazzo abbandonò del tutto la sua espressione tesa, e un sorriso tenero gli mosse le labbra. In realtà, sentiva che non avrebbe mai dovuto porsi troppo in mezzo tra i gemelli, in nessun modo, neanche con quello più apparentemente innocente, certo che avrebbe rischiato di farsi molto male. «Ma mi devi un favore, Renard.»
Sgranò un po' gli occhi per lo stupore, ma tentò di dissimulare presto questa reazione, assumendo un'espressione più neutra. «Che favore?»
L'espressione di Yves mutò ancora e Adrien si irrigidì, sul suo volto lesse troppa ironia, un filo sottile di malizia. Non era riuscito affatto a rendersi neutro. «Croquembouche.»
Una sola parola, ma si sentì ancora più confuso e, soprattutto, era certo che Yves lo stesse prendendo in giro. «Cioè?»
«Se avessi dato il mio nome, lo avrebbe capito subito. Se avessi dato il tuo, probabilmente avrebbe delegato. Se avessi dato un nome estraneo, non avrebbe rischiato. Se avessi messo quello di Julie... E ho indovinato! L'ho confuso e stuzzicato.»
Lo stupore toccò picchi stratosferici, mentre riportava alla mente l'improvvisata di Dorian in casa sua, due giorni dopo il litigio per cui, anche il suo stesso amante, aveva creduto che tra di loro fosse finita. «Tu!»
Yves si indicò con entrambi i pollici, con estrema soddisfazione. «Te l'ho detto: mi devi un favore... E pazzesco pure! Mi limiterò alla Charlotte.»
Scosse la testa e ridacchiò emozionato. Lo attirò a sé in un mezzo abbraccio, e gli scompigliò i capelli, finché l'altro non se lo scrollò di dosso, accompagnato da una sonora risata. «C'entra una ragazza?» chiese a bruciapelo e l'imbarazzo tornò prepotentemente a irrigidire i movimenti dell'altro.
«Possibile.» udì mormorare: un sussurro così lieve che ebbe il timore di aver frainteso quell'unica parola, ma era pure vero che il suo volto parlava per lui, pareva stesse per andare a fuoco, diventando sempre più rosso.
«Non sarà la tipa dello spaccio alimentare della stazione?»
Yves si grattò una tempia, continuando a guardare ovunque per la stanza, che era lo studio del nonno – dove Adrien si era ritirato in cerca di pace e tranquillità, con la scusa di darsi del tempo per rivedere i preventivi dei lavori al vecchio mulino – non era servito. Da quando i gemelli vivevano con lui nella sua casa d'infanzia, la privacy e la tranquillità si erano date alla macchia.
Si accorse che si stava sforzando davvero tanto per non finire, neppure in maniera accidentale, con gli occhi nei suoi. «Ora che ci penso...» e si zittì.
«Sì?» lo incalzò e incrociò le braccia sul petto, assumendo un'espressione di sfida.
«La ragazza a cui ti riferisci... potrebbe chiamarsi Charlotte.»
Adrien ridacchiò, ma l'occhiataccia che Yves gli riservò gli impose di spegnere subito la risata. «Sul serio, se vuoi fare colpo su di lei, Dorian è più bravo di me...»
«Ma quando mai!» e l'uomo ebbe persino l'ardire di alzare la voce per metterlo a tacere. Adrien stava iniziando a stancarsi di come i gemelli riuscissero a prevalere su di lui, e pure con il minimo sforzo, ma si divertiva ancora abbastanza per lasciarli fare. «Adesso, anche tu conosci il suo ingrediente segreto. E mi devi un enorme favore.» gli puntò contro un dito accusatore. «Quindi, le tue cose non possono più venire sintetiche e insipide come prima.»
Tornò ad aggrottare la fronte. Non capiva se aveva appena ricevuto un insulto, un insulto al passato, un complimento o che altro. «Cioè?»
«Come, cioè?!» Yves sembrava davvero stupito dalla sua ostentata ignoranza. «L'amore, Adrien! Dorian lo dice sempre...»
«Cosa?!» lo interruppe e batté le mani sulla superficie della scrivania. La penna che aveva utilizzato venne colpita accidentalmente e rotolò oltre il bordo del mobile, cadendo sul pavimento con un suono plasticoso. Fece il giro della scrivania a grandi passi, finendo a un palmo di naso da lui e lo afferrò per il maglione, scuotendolo un po'.
Yves sgranò gli occhi, poi aggrottò la fronte e Adrien lo lasciò andare di colpo, rivolgendogli un sorriso tirato, mentre rammentava che il fratello del suo amante era più massiccio e allenato di lui. Gli accarezzò il tessuto leso del maglione, come a volerlo distendere di nuovo, e il sorriso si fece più ampio, meno allegro. «Stavi dicendo?»
Yves scosse la testa, riprese a puntarlo con sfida. «Che ti spezzo tutti gli ossicini...»
«Ma no! Prima...» balbettò.
L'uomo sbuffò e incrociò le braccia sul petto. «L'amore, idiota. È sempre stata l'unica cosa che ha spinto mio fratello in tutte le sue azioni. Lui è fatto di amore. Ha sempre cercato l'amore...» rabbrividì, ma poi Yves nascose il labbro inferiore sotto quello superiore, e una fossetta si creò sulla sua guancia destra, opposta a quella che era solita formarsi sulla guancia sinistra di Dorian, e comprese che si stava trattenendo dal ridere, che lo stava prendendo in giro. «Non lo avevi capito? Cos'hai al posto del cervello? Un criceto ubriaco?»
«Ah, ah, ah.» rise senza entusiasmo, mentre il cuore cominciava a battere più velocemente. «Molto divertente.»
«Tu sei innamorato di lui, no?» annuì con una vena di incertezza. «Ci tieni ai tuoi ossicini? Perché anche decidere di venire a stare qui, l'ha fatto per te, idiota...»
Smise di ascoltarlo e corse fuori dallo studio. «Appena torno, ti aiuto, eh. E facciamo la Charlotte per la tua Charlotte!» urlò, senza guardarsi alle spalle.
Proseguì così di corsa che rischiò di scivolare più volte, riuscendo a recuperare l'equilibrio appena in tempo prima di dare la possibilità a Dorian di rimproverarlo proprio per ciò che, lui stesso, lo rimproverava di continuo.
Calma, Adrien, calma.
«Caro, tutto bene?» intercettò Julie che proveniva dalla cucina e lo stava fissando con espressione preoccupata.
Che cosa traspariva dal suo viso? Non ne aveva idea, ma non aveva proprio tempo per scoprirlo. «Tutto bene.» recuperò il cappotto. «Raggiungo Dorian al mulino.»
«Ma starà tornando, ormai, era andato solo per controllare...»
«Allora gli vado incontro per strada.» e fu sul vialetto d'ingresso, poi sulla collina. Ma di Dorian non c'era traccia.
Fece vagare lo sguardo in direzione dei monti che circondavano la valle, i cui profili tracciavano una linea sottile e delicata in lontananza, impalpabile. Un paesaggio che gli ricordava quello dei dipinti del Maestro Da Vinci, nebulosi e magici. Scese con lo sguardo sul cimitero, poi sul fiume che iniziava a respirare sotto la superficie di ghiaccio, che lo nascondeva, tuttavia, ancora alla vista – ma che si era fatta più sottile e azzurra. Deviò la propria attenzione verso il vecchio mulino e vide la porta d'ingresso aprirsi, Dorian uscire, dargli le spalle per richiuderla. Scese di corsa nella sua direzione, approfittando della spinta naturale del terreno, su cui scivolò con le suole delle scarpe, e arrivò proprio nell'istante in cui Dorian estraeva la chiave dalla toppa della porta, e si girava verso di lui.
Sussultò nel trovarselo a un palmo da sé, ma poi sorrise. «Sei pazzo! Mi hai fatto prendere un colpo!»
«L'amore, eh?» domandò col fiato corto a causa della folle corsa che lo aveva condotto fino a lì. Fino a lui.
Il sorriso di Dorian si spense. «Hai bevuto?»
«Non essere stronzo.»
«Allora non capisco...»
«Il tuo ingrediente segreto.» disse con imbarazzo, incespicando un po' nelle parole.
Dorian sgranò gli occhi e reclinò il capo da un lato. «Che stai cercando di dirmi, Renard?»
«Mi hai seguito fin qui per questo. Il progetto insieme, no? Hai trascinato pure Yves fino a qui.»
Dorian si strinse nelle spalle e assunse un'espressione guardinga. «Sono un tipo impulsivo.»
«È soltanto questo?» gli strinse le spalle. «Tu hai rischiato tutto e mollato tutto senza essere sicuro di amarmi?»
L'uomo si liberò dalla sua presa con poco garbo e lo fissò per qualche istante, in silenzio. «Capisco che, a volte, sono fin troppo contorto, mi diverte esserlo. Ma credevo che fosse lampante.» fece schioccare la lingua contro il palato. Gli diede di nuovo le spalle e riaprì la porta d'ingresso del mulino. «Entra, altrimenti ti prendi un accidenti.»
«Non sento freddo, per ora.»
Riuscì a guadagnarsi un'altra occhiataccia. «Sono io quello che ama il freddo, non tu.» e gli appiccicò entrambe le mani sulle guance e, nel percepire il gelo della sua pelle contro la propria, si accorse che non indossava i guanti.
Trasalì, ma l'altro lo attirò a sé, fin dentro l'edificio, e soltanto allora mollò la presa su di lui e richiuse la porta.
Si trovarono faccia a faccia, nel silenzio quasi surreale del luogo; l'aria satura dell'odore del cemento, della colla, di polvere, ma, anche, di calore. «Avevi acceso la stufa?» e si guardò attorno, la individuò poco distante da sé e decise di riaccenderla. Dovette premere più volte il pulsante di accensione affinché la scintilla riuscisse a catturare la fiamma del gas, ma Dorian continuò a non rispondergli, ad osservare i suoi movimenti in silenzio, con uno sguardo curioso e diffidente.
Il calore si fece piano, piano più invadente, lo aiutò a mettere a tacere gli stimoli degli altri odori – non che il gas avesse un'aroma piacevole, ma se proprio doveva scegliere, lo preferiva di certo all'odore del gelo invernale. Si massaggiò la radice del naso con due dita e si interruppe proprio mentre le narici la smettevano di bruciare, e percepì la presenza di Dorian alle proprie spalle.
Le sue braccia gli circondarono la vita e lo sentì poggiare una guancia su una sua spalla. «Sul serio, Renard, mi facevi così frivolo e ninfomane?»
Aggrottò la fronte, sentendosi indispettito, ma gli veniva anche da ridere e non sapeva a quale emozione dare la precedenza. «Sei contorto, l'hai ammesso. Ma ti amo anche per questo.» l'uomo strofinò la guancia contro il suo cappotto, annuendo senza parole.
«Davvero non lo avevi capito?»
Adrien si girò nel suo abbraccio, finché non riuscì a tornare a guardarlo negli occhi. Sì sfilò un guanto e con la stessa mano, ora libera, prese ad accarezzargli i contorni del viso, sfiorandogli la pelle, il contorno morbido delle labbra, fino a pizzicargli la punta del naso.
«Io sono contorto, ma a te piace troppo nascondere quello che pensi davvero.» e Dorian poggiò la fronte contro la sua. «Mi piacerebbe che ti fidassi un po' di più di me, che la smettessi di vedere tutti, intorno a te, come dei nemici.»
«Mi dispiace, pensavo l'avessi capito, ma non è così, non è che vedo tutti come nemici...»
«È così, invece.»
«No, ti sbagli.» la sua voce fu così sicura e perentoria da accendergli un fuoco dentro all'istante. Si sentì violato nel profondo, messo alle strette dalla sua sicurezza – e sentiva di non avere abbastanza armi per combatterla alla pari. «Mi sono abituato presto a cavarmela da solo, a non aspettarmi niente dagli altri. Da nessuno. Neppure dalle persone che mi era piu vicine. Sono sempre stato pronto alla delusione, l'ho sempre aspettata, come un male inevitabile. E non mi stupiva affatto quando, puntualmente, venivo ferito e decidevo di troncare un rapporto e andare avanti.»
«Ma Yves...»
«Siamo stati nemici di noi stessi e l'un dell'altro per diverso tempo, prima di trovare un equilibrio.»
Riprese ad accarezzare il suo volto e Dorian prese la sua mano tra le proprie, ne baciò il palmo, strofinò la guancia contro di esso. «Credo che sia questo, no? Sono un vigliacco, l'hai capito pure tu.»
«Io non credo...»
«Invece è così. Perché ho evitato tante cose, tanti rapporti, pur di non arrivare al capolinea e farmi spezzare il cuore. Per questo non mi ero fatto avanti con te. Per questo... non te l'ho ancora detto.»
«Che cosa?» lo sguardo dell'uomo si riempì di terrore e comprese di non essersi sbagliato, di essere riuscito a imparare a capirlo. Yves aveva ragione. Sorrise, tentando di mostrarsi il più aperto e rassicurante possibile. «Sono qui, Dorian. Sono riuscito a scendere a compromessi con la mia carriera. Mi sono sorbito i tuoi rimproveri e sono riuscito, persino, a non dare di matto a causa del tuo comportamento contorto.»
«Oh, ma grazie...!»
«Perché ti amo.» le sue iridi parvero riempirsi di tutte le luminarie del mondo, come se dentro i suoi occhi respirasse il segreto stesso della luce: una fonte inesauribile, palpitante e viva. «E farò di tutto per non deluderti, per aiutarti a reggere il peso delle tue lotte, me ne farò carico, se sarà necessario, e non ti lascerò mai più solo.»
Dorian annuì titubante, le labbra tremavano, scosse la testa, sfiorandogli la punta del naso con la propria; il suo sguardo sempre più incerto e titubante, così fragile da fargli desiderare di poterlo nascondere tra le proprie braccia per difenderlo e nasconderlo da tutti i mali del mondo. «Ti amo da troppo tempo. E tu lo stai capendo solo adesso...»
Si morse le labbra, mentre la tensione tra i loro corpi si faceva quasi dolorosa, trapassava gli spessi strati dei vestiti. Il maglione prese a pungerlo, i pantaloni divennero pesanti come cento coperte buttate addosso. Il respiro si fece bollente – e quello di Dorian divenne l'unico profumo in grado di guidarlo, di piantarlo nella fisicità del presente: sapeva di vaniglia. Rimosse anche l'altro guanto e intrecciò le dita delle mani alle sue. «Ma tu sei diventato il mio punto di riferimento, la luce in mezzo al caos. La forza e il coraggio, il motore di tutto. Non avrei mai creduto di poter venire fuori da quel casino e di sentirmi di nuovo libero, eppure, legato a te a doppio filo.» lo baciò, piano, assecondando i suoi movimenti tremanti di emozione. La stessa che stava provando lui in quel momento, così pura e totale, soverchiante.
Potevano trovarsi ancora dentro al vecchio mulino, in Cina, in fondo all'oceano: non avrebbe saputo dirlo e neppure gli importava saperlo.
«Ti amo anch'io.»
Era al centro del suo mondo, di quello non dubitava più.
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