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22. Profiteroles

Corse fuori dal mulino, ma si bloccò sul posto appena ebbe varcato la porta d'ingresso.

La fuga di Dorian si era arrestata sotto uno dei grandi alberi, sparsi per la pianura.

La neve gocciolava, sciolta, giù dai rami, cadendo su quella accumulata alle radici dell'albero, lasciando piccole impronte quasi circolari, che sparivano in un battito di ciglia.

Era una giornata abbastanza mite, il sole si faceva spazio con prepotenza attraverso le nubi, mentre scendeva lento verso la linea dell'orizzonte, e il paesaggio risplendeva di luci dorate e arancioni, rosa delicati, che sfumavano nei tenui azzurri dell'inverno.

Dorian aveva il fiato corto e la sua espressione era assente, sospettò subito che i pensieri lo stessero portando lontano da lì – dove, non lo aveva ancora compreso: si augurava, soltanto, che non fosse troppo distante da lui, nonostante tutto.

«Che guardi?» sapeva di averlo destabilizzato, di essere diventato punzecchiante e fastidioso come una zanzara, nei suoi confronti. E credeva di avere, pure, tutte le ragioni del mondo per esserlo, ma, in fondo, gli dispiaceva esserlo e continuava ad oscillare fra strani sensi di colpa e ostinazione.

Dopotutto, era stato chiaro con lui. Aveva cercato di farglielo capire in ogni modo.

Ti amo.

Perché era così difficile dirlo ad alta voce, ammetterlo? Riporre fiducia in un'altra persona, mettere a nudo il cuore, lasciarsi andare.

Vederlo in quel letto d'ospedale, così assente, così spento, gli aveva procurato una ferita profonda – che, ancora, stentava a rimarginarsi. Ma gli aveva pure fatto comprendere di essere stanco di stare ai suoi giochetti, di vederlo cambiare idea in un battito di ciglia. Era troppo facile, per Dorian, prendere la vita così com'era, seguire la corrente senza sforzarsi di cambiare le cose. Insopportabile. Era un atteggiamento che non riusciva più a tollerare, voleva – pretendeva – delle certezze. Sì, lo aveva seguito fino in Provenza, ma per sfuggire a Camille, oppure per seguire lui? Era un tarlo, questo, che non gli lasciava fiato.

«Ti stavo aspettando.»

Sollevò un sopracciglio con scetticismo, le difese alte, titubante e per nulla intenzionato a cedere con facilità.

«Guardi il paesaggio?»

«Beh, incredibile, ma mi era mancato.»

«Non lo trovo così incredibile, sai?»

«Piace anche a te?»

«Ci sono nato. Mi è... caro.»

«Spero che ti faccia piacere tornare a vivere qui.»

Ti amo. «Di che cosa hai paura?»

Dorian si girò a guardarlo, le mani nascoste nelle tasche del giaccone, il naso che scompariva dentro la sciarpa. Non sembrava neppure più lo scavezzacollo spavaldo, in giacca di panno, incurante del freddo, pronto a viaggiare in sella a una moto nel gelo invernale, che aveva incontrato qualche mese prima. Averlo conosciuto lo stesso giorno in cui la sua vita aveva iniziato a precipitare doveva pur avere un senso, anche se non aveva ancora compreso che senso avesse.

«Ho paura che tu possa pentirti di qualcosa. Magari, in fondo, tra un po' di tempo, capirai che non era questo quello che volevi. Capirai che, anche questa volta, hai soltanto agito per fare felice qualcuno, per saziare le sue aspettative.»

«E chi sarebbe questo qualcuno?» chiese con tono sprezzante, ma gli si fece più vicino. «Ti stai dando troppe arie, Leclerc.»

«Mi copi le battute?» si sentì domandare con tono provocatorio, ma la provocazione scemò presto dal suo viso, sostituta da quella che gli parve incertezza – ed era davvero strano scoprirlo tanto insicuro. «È così? Ho frainteso?»

«Ho già preso la mia decisione.»

Vennero avvolti dal silenzio, un silenzio profondo e denso, di quelli che avevano riempito la sua infanzia, permettendogli di godere della voce del vento, dei sussurri della valle, facendolo sentire perso e pieno in quella semplicità scontata e quotidiana. Era una sensazione piacevole e gli era mancata. Era ancora più piacevole condividerla con Dorian.

Ti amo.

«Penso che mi piacerà vivere qui.»

Gli allontanò una ciocca di capelli dalla fronte, liberando i suoi occhi da ogni interferenza. «Credi che Yves riuscirà a trovare una palestra che soddisfi le sue aspettative?» domandò e l'altro rise.

Adorava ancora il suono della sua risata, ma continuava a sussultare ogni qualvolta la udiva, da quel giorno, timoroso che fosse indizio del suo pressappochismo, del suo modo di sminuire ogni cosa, privandola di valore. Certo, era pure convinto che Dorian agisse così in maniera quasi inconscia, ormai, del tutto abituato a farsi forza, ad andare avanti sempre e comunque senza guardarsi indietro, senza dispiacersi troppo per le delusioni e per le avversità, per non dare loro troppo peso, per non farsi troppo male, ma aveva pure timore di aver idealizzato e trovato spiegazioni esaustive per qualcosa che, diversamente, in realtà, così non era.

«In caso, convinciamo il nonno a cedergli lo studio e gli facciamo montare lì una palestra.»

«Julie protesterà.»

«Possibile.»

Il sorriso di Dorian si fece più luminoso; ne accarezzò i contorni con un pollice, continuando a stupirsi per quella fonte inesauribile di luce che pareva alimentarlo dall'interno ed espandersi verso l'esterno, rendendo più bella ogni cosa. Pure il silenzio. Stava cominciando a temere di non essere più obiettivo: era affascinato da ogni suo gesto, dal modo in cui finiva per nascondere il labbro inferiore sotto quello superiore e una fossetta si formava sulla sua guancia sinistra, tutte le volte che cercava di trattenersi dal ridere; dai suoi occhi, da come sembrava comunicargli le sue emozioni attraverso di essi.

«Torniamo a casa.» gli porse una mano e l'altro la prese in una delle proprie.

Aspettare non era proprio ciò in cui eccelleva, ma pensava pure che fosse necessario rispettare i tempi dell'altro – che, chissà perché, stava scoprendo essere più lenti dei suoi.

Rientrarono in casa e scoprirono Julie e Yves abbracciati come due koala, sul divano, intenti a guardare un film di Natale. Appena li videro varcare la soglia della stanza, intimarono loro di fare silenzio, all'unisono. Poi Julie batté una mano sulla seduta, al proprio fianco, ma Adrien le rispose scuotendo la testa e strinse più forte la mano di Dorian nella propria, trattenendolo vicino a sé.

Represse un sorriso, anche se era davvero contento dell'essere testimone di come la sua famiglia avesse accolto in modo così pieno d'amore i due cuccioli smarriti.

Il nonno russava poco distante dal divano, sulla sua sedia, le dita delle mani intrecciate sulla pancia; l'albero di Natale proiettava strani riflessi sui loro incarnati, rendendo la scena ancora più surreale, ma anche divertente.

Julie ed Yves ripresero a mangiare palline di profiteroles, alla stregua di popcorn, e a guardare il film, le gambe coperte dallo stesso plaid. 

Gli lasciò appena il tempo di togliere giubbotto e accessori, dopodiché strattonò Dorian verso le scale, conducendolo dentro la stanza che condividevano con Yves. L'uomo lo seguiva titubante, come raramente gli era apparso nelle settimane precedenti, incerto pure nei passi, nei sorrisi che si stava sforzando di richiamare sulle proprie labbra, ma con evidenti, scarsi risultati.

Lo spinse contro la porta chiusa e gli precluse ogni via di fuga, ponendogli il proprio corpo ad ostacolo.

Incastrò un dito nel collo del suo maglione e ne tirò il bordo verso il basso, scoprendo la sua pelle, portando alla luce una porzione della sua spalla destra, mentre Dorian gli dava una mano e slabbrava di più l'indumento. Notò che in quel punto era presente ancora un alone giallo-violaceo. Si irrigidì un po'.

Non poté fare a meno di ripensare al panico che lo aveva travolto il giorno in cui Yves lo aveva contattato, comunicandogli che Dorian aveva avuto un incidente.

Sapere che ne era praticamente uscito illeso non era servito granché, non era servito a farlo sentire subito sollevato, né lo aveva aiutato a gestire i propri sensi di colpa. In quel momento, aveva compreso quanto Dorian fosse diventato importante per lui, quanto tutto ciò lo terrorizzava.

Ti amo.

«Sto bene.»

Sollevò lo sguardo fino a incontrare il suo. «Lo so.» lasciò andare il maglione.

Sembrava passata un'intera vita da quel giorno, ma la verità era che tutto era stato così assurdo e sconvolgente, la reazione di Dorian così repentina e destabilizzante.

«Sto molto meglio della mia povera moto, che sta ancora dal dottore...»

«E la lasciamo lì per un altro bel po', almeno fino a quando non si sarà sciolta del tutto la neve, così non ti verranno tentazioni.» Che stai facendo? Scosse la testa – non sapeva più nemmeno lui che cosa stava facendo.

Era difficile continuare a mantenere un distacco, farsi forte, non cedere alla chimica che lo calamitava a lui. Aspettare. Ma poi, perché si stava ostinando così tanto nel seguire quella specie di scaletta che si era prefissato?

«Adrien.» la sua voce lo riportò nel presente e Dorian strinse una sua mano.

Soltanto in quel momento si accorse dei segni rossi che aveva lasciato in corrispondenza delle nocche, con i propri denti, e comprese di essersi morso il dorso della mano, di averla stretta così tanto che, adesso, la sentiva un po' indolenzita.

Guardarlo negli occhi e non sentirlo vicino come il fisico lo percepiva era straziante; continuare a nutrire dubbi su di lui, sui perché lo avesse seguito, rischiava di farlo impazzire.

«Te l'ho detto: se non me lo dici, temo di non poterlo capire.»

Dorian sorrise triste, gli baciò il dorso della mano. Ne accarezzò la pelle con le labbra, smise di ricambiare il suo sguardo, ma rimase incantato dai movimenti appena percettibili delle sue ciglia, dai tremiti flebili che gli scuotevano i lineamenti del volto.
«Perché sei un testone.»

«No, come dice mio nonno, sono un sempliciotto.»

«Ti fai troppo di paranoie.»

«Tu no?»

«No.» e fu così schietto e conciso da lasciarlo a bocca aperta per lo stupore.

Aggrottò la fronte, prese a ricambiare le sue carezze muovendo il pollice della mano prigioniera delle sue, premendo un po' sulla carne morbida alla base delle dita. «Sul serio?»

«Hai rischiato di contagiarmi.» e rise piano, senza mai allontanare le labbra, continuando a sfiorarlo ad ogni parola.

«Non sono una malattia contagiosa.»

«Sei peggio.»

«Ah, sì?»

Dorian sollevò lo sguardo su di lui, le pepite dorate dei suoi occhi crepitavano di una luce giocosa.
«Molto peggio.» si trovò il suo volto a un palmo dal proprio. «Sei il mio chiodo fisso. La mia ossessione. Sei l'incarnazione del mio uomo ideale. E sei pure molto meglio della versione immaginaria, perché sei vivo e vero, imperfetto e, per questo, assolutamente perfetto.» deglutì a vuoto un paio di volte, tentando di ristabilire la salivazione. Aprì la bocca, la richiuse, si sentiva un pesce fuor d'acqua. E aveva esaurito le parole sensate. «Testone, davvero. Ostinato. Devoto fino all'inverosimile, all'annientamento del tuo io. È una forma di abnegazione, la tua, che non avevo mai visto in nessun altro e mi spaventa, tanto. Mi fa temere di sbagliare con te, con troppa facilità, di farti male senza neppure volerlo. Siamo troppo diversi.»

Il cuore prese a battere più veloce, seguendo il ritmo di una paura tutta nuova, profonda, ma che aveva, ancora, un vago sentore di speranza: un supplizio dolce, un'illusione terribile. «Davvero troppo

Dorian scosse la testa e gli diede un casto bacio a fior di labbra. «Dimmelo tu.»

«Te l'ho già detto...» ma si interruppe. Quella stupida “scaletta” stava diventando un'ossessione inconscia, troppo pericolosa.

«È un rischio che sei disposto a correre, sul serio?»

Annuì e lo baciò, cercando di sovvertire l'ordine delle cose nella propria mente. Seguire l'istinto. Aveva davvero bisogno di sentirsi dire quelle due parole? Aveva davvero bisogno che fosse per primo Dorian a dirle?

Gli accarezzò l'interno coscia, partendo dal basso, salendo verso l'alto.

«Che stai facendo, Renard?» gli piaceva udire i suoi respiri spezzati per lo stupore, già carichi di un certo affanno di passione.

Sorrise. «Ho chiuso a chiave.»

«E se ci vengono a cercare? Potrebbero sentirci...»

Accostò le labbra a un suo orecchio. «Tu cerca di non urlare.» e gli accarezzò il cavallo dei pantaloni, facendolo sussultare. «Così eviteremo di farci scoprire.» notò il suo Pomo d'Adamo tremare.

Leccò la pelle tesa del collo, partendo dalla base, salendo verso l'orecchio, di cui morse il lobo, e poi fu di nuovo sulla sua bocca, le sue braccia gli circondarono le spalle. Lo percepì lasciarsi andare e lo afferrò per i fianchi, spingendolo verso il letto che condividevano i gemelli.

Il bisogno era così pressante che neppure si rese conto dei movimenti successivi, sapeva soltanto che erano stati brevi, esigenti, veloci, perché aveva avuto necessità di arrivare alla sua pelle il prima possibile.

Inspirò a pieni polmoni il suo profumo, sentendosi avvolgere da esso, ogni pensiero venne relegato lontano dal presente, divenne un vago mormorio di sottofondo.

Prese a stuzzicargli il petto, con le dita e i denti, e al primo gemito tornò a fissarlo in viso. «Non osare!» sussurrò sulle sue labbra, mentre riprendeva ad accarezzarlo tra le gambe, ma le dita, finalmente, potevano tessere trame direttamente sulla sua pelle, senza più interferenze, ed era così caldo, proprio come lo ricordava, così bollente di suo, come se avesse una stufetta dentro il corpo, che lo alimentava, e riusciva a sciogliere anche il suo freddo. Ti amo.

Dorian gemette ancora e coprì la sua bocca con una mano. «Ti avevo detto di non urlare.» l'amante tentò di liberarsi dalla sua presa, mugugnò qualcosa privo di senso e Adrien entrò dentro di lui.

Si sentì avvolgere la vita dalle sue gambe, il suo corpo tremò con violenza e i suoni si fecero più vibranti, le parole riempirono i suoi occhi, mentre cedeva del tutto, lasciandosi amare.

Gli liberò la bocca, giocando con le sue labbra, prima di baciarle ancora e ancora. Si mosse con più decisione dentro di lui, e soffocò l'ennesimo gemito con un nuovo bacio, rubandogli fino all'ultimo respiro.

Lo udì ansimare in un proprio orecchio, mentre con le unghie gli marchiava la pelle delle spalle.

Gli accarezzò i lividi con le labbra e la lingua, forse, nel tentativo inconscio di cancellarli e guarirli.

Si erano incontrati al capolinea della sua vita, così come l'aveva vissuta negli ultimi dieci anni, ma stava cominciando a comprendere che pure Dorian non era stato felice, quando lo aveva conosciuto, ché le emozioni sul viso, adesso, avevano un sapore tutto nuovo, tutto diverso, e la sua pelle aveva assunto un odore più dolce.

«Ti amo.» soffiò sulla sua bocca e Dorian sgranò gli occhi, la sua espressione parve frantumarsi e le pepite dorate, dentro le sue iridi, si fecero liquide di emozione.

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