21. Mont-Blanc
«Anno nuovo, vita nuova.» disse Yves, lanciando il proprio borsone sul vialetto d'ingresso che conduceva in casa Renard.
L'abitazione continuava a spiccare come la casetta di un presepe, illuminata a festa, le luminarie proiettavano ombre giocose sulla neve, riempiendo l'ambiente di colori caldi.
Sullo sfondo si aprivano i monti, bianchi e azzurri, dalle sfumature grigie e violacee, sotto un cielo nero, ma carico di stelle.
Il freddo lo accolse come un vecchio amico, rabbrividì un po', ma la mente era libera da ogni forma di paranoia, di pensiero angoscioso.
Non aveva idea che cosa sarebbe stato del suo futuro, se da lì a qualche mese sarebbe dovuto tornare di corsa da Camille, strisciando sulle ginocchia per chiederle di perdonarlo. Era abbastanza orgoglioso da sapere che non lo avrebbe fatto, ché se il piano folle che stava condividendo con Yves e Adrien non si fosse realizzato, avrebbe di certo preferito vivere per strada di elemosina, che fare ritorno sui propri passi.
Ecco, questo era l'unico timore che, ancora, di tanto in tanto, si presentava a tormentarlo: e se con Adrien le cose non sarebbero durate?
Rivolse lo sguardo, brevemente, in direzione dell'amante. Non avevano più avuto modo di chiarirsi, di affrontare l'argomento, dopo l'incidente. A essere sinceri, aveva come l'impressione che Adrien lo avesse messo in "punizione": gli rivolgeva a stento la parola, solo quando non poteva farne a meno. Certo, aveva mantenuto inalterati i loro piani dal punto di vista lavorativo e, quando gli aveva detto di essere pronto per partire con lui, Adrien non aveva battuto ciglia, aveva organizzato il viaggio, erano partiti.
Riportò lo sguardo sul fratello. «Sembri uno di quei personaggi super culosi dei film di Natale.»
Yves fece una smorfia. «Non preferivi i cult americani degli anni Settanta, Ottanta? Quelli dove la facevano da padrone personaggi bellocci, un po' bad, ma che si rivelavano sempre soffici come panna?»
Sgranò gli occhi e trattenne una risata. «Non so proprio a che cosa ti riferisci.»
«Zigomi alti, ciuffi ribelli.» e guardò in direzione di Adrien con fare spavaldo, finché quest'ultimo finì per distogliere lo sguardo da lui con evidente imbarazzo. «Ah! La sostanza è simile a quella dei film di Natale, in effetti. Ti odio, ti scopo, ti amo. Però, in quelli di Natale manca il dramma... E il sesso, ora che ci penso!»
«Come sei volgare, Es...!» venne interrotto dalla provvidenziale comparsa di Julie, che arrivò ad accoglierli, con un sorriso meno incerto, più ampio, rispetto quello che aveva rivolto loro la prima volta che erano stati lì.
Sembrava trascorsa una vita intera d'allora, anche se, in fin dei conti, mancavano dalla Provenza da non più di pochi giorni. E non era cambiato granché, a parte il fatto che adesso aveva, ancora, sulla pelle, una strana costellazione di lividi; aveva mandato Camille a farsi fottere, convinto Yves a seguirlo in quella folle avventura, deciso di trasferirsi col fratello in Provenza - per Adrien, soprattutto. Adrien: lo stesso uomo che non gli aveva neppure giurato amore eterno e che aveva preso a trattarlo alla stregua di carta da parati!
Tuttavia, la sensazione che provò fu di accoglienza profonda, come se stesse per ricongiungersi al suo luogo, alla Casa, dopo essere stato troppo a lungo via.
Si lasciò abbracciare dalla donna, che gli baciò pure entrambe le guance, gli accarezzò il volto con tenerezza, proprio come immaginava avrebbe potuto fare una madre nel riaccogliere in casa il proprio figlio.
Il nonno fu meno espansivo, ma notò presto la frequenza con cui si schiariva la gola, mentre li osservava muoversi per casa, ogni volta che i suoi occhi si facevano troppo rossi. Li rimproverò un numero imprecisato di volte, ricordando loro di non lasciare cose in giro sul pavimento, di sedersi, mangiare, riposare, di togliersi le scarpe, di non abbandonare giubbotti e sciarpe e cappelli sul divano, per poi fissarli in silenzio per interi minuti, fino a quando non era costretto a schiarirsi ancora la gola.
E furono costretti, ancora, a condividere la stanza degli ospiti, con Yves che russava al suo fianco nel letto matrimoniale, il povero Adrien relegato sulla brandina.
La sua storia si stava trasformando troppo velocemente, nel giro di poco, nella trama di un film di Natale, Yves aveva ragione: non c'erano più avvisaglie di dramma all'orizzonte - e la cosa non gli dispiaceva affatto. Ma non c'era neanche più sentore di sesso, da quando aveva avuto l'incidente, e questo poteva diventare un problema, in effetti. Tuttavia, si stava scoprendo una persona dall'animo romantico: desiderava i "ti amo", le coccole, la complicità, la promessa di amore eterno. Rivoleva gli sguardi di Adrien su di sé, i suoi occhi saturi di passione e gioia, su di sé.
La convivenza divenne presto routine, una cosa fin troppo semplice e naturale, e con essa Adrien prese a ronzargli attorno in maniera troppo provocante, mentre gli imbarazzi del vivere tanto a contatto cadevano giù uno dopo l'altro, come tasselli del domino, permettendo all'uomo di sentirsi spesso autorizzato ad andare in giro troppo svestito dopo una doccia, troppo tenero nel suo ostinarsi a non dargli eccessiva confidenza; troppo confidenziale negli incontri, scontri, sfioramenti casuali tra i loro corpi. E lo sorprese troppo spesso ancora perso nelle sue paranoie mentali, in rossori alle guance indicatori di pensieri poco felici; si lasciava sfuggire grugniti di disapprovazione e, troppo di frequente, le sue spalle manifestavano un tensione dolorosa.
Il desiderio aumentava, ma subentrò pure il timore che la cosa non fosse più reciproca. Adrien era un bravo ragazzo, stava mantenendo i loro accordi, ma...
Scrollò il capo, uscì dal bagno e si rivestì velocemente, tentando di ignorare i lividi che ancora rendevano scure diverse zone della sua pelle. Era inaudito che, nonostante l'accaduto, la litigata, il fatto che si fosse licenziato, continuava a stupirsi del fatto che Camille non gli avesse fatto neppure la più piccola telefonata, non gli avesse neanche mandato un messaggio per sapere come stava.
Quando avrebbe iniziato a guardare a lei, al loro passato insieme, ai suoi ricordi così come aveva preso abitudine a fare con suo padre? Senza rancore, senza odio, senza rammarico né tristezza. Senza sentimento.
Optò per indossare qualcosa di leggero, dato che anche i coniugi Renard, proprio come il nipote, adoravano impostare i riscaldamenti su temperature tropicali. Come Dorian amava il freddo, così Adrien - e famiglia, e Yves - amavano il caldo. Che fosse ciò indizio di qualcosa di più serio? E smettila! Si rimproverò, Non avevamo già stabilito di essere contenti per la fine dei drammi?
Esatto.
Scese al piano di sotto, raggiungendo il resto della famiglia. Venne accolto dai profumi che provenivano dalla cucina, dalla dolcezza della risata di Julie, accompagnata da quella più insicura di Yves. C'era odore di latte e zucchero, ma anche di vaniglia. Rivolse brevemente l'attenzione verso l'esterno, per sincerarsi che non nevicasse neanche quel giorno.
I monti intorno alla zona, alla luce del sole, avevano abbandonato i gelidi colori dell'inverno, accogliendo il nuovo anno riappropriandosi dei marroni intensi e densi come cioccolata, e la neve gli ricordò gli sbuffi soffici della panna; gli sembrava di essere circondato da tanti piccoli Mont-Blanc.
Gli venne da sorridere e raggiunse il resto della famiglia. «Non nevica.» annunciò, guadagnandosi un'occhiataccia da parte del nonno,
Ma ormai aveva imparato a comprendere che il nonno preferiva nascondersi dietro la sua maschera burbera, anche, e soprattutto, quando era troppo felice. «Bene. Così potete cominciare a darvi da fare.»
Adrien gli rivolse uno sguardo breve e pieno di emozioni contrastanti, solleticando ulteriormente la sua libido repressa. Non sapeva decidersi, tuttavia, se fosse più impellente, in lui, il bisogno di stringerlo in un abbraccio, baciarlo, oppure farlo suo. Certo era che rischiava di andare fuori di testa, nonostante avesse deciso di smetterla di farsi trascinare dalle paranoie.
«Sono pronto a rischiare per te.»
Gli mancava da matti la luce che aveva scorto nei suoi occhi, prima dell'incidente, così maliziosa e dolce. E quel sorriso giocoso, sincero, che gli curvava spesso le belle labbra. «Abbiamo appuntamento con la ditta, oggi.» disse e batté una pacca su una mano del nonno. «Faremo un sopralluogo al vecchio mulino, così potranno stimare i costi per i lavori. Vieni con noi?»
«Con la neve? E il freddo! Sei impazzito, figliolo?» sbottò subito il nonno, scuotendo la testa. «E poi siete grandi. Arrangiatevi.»
Adrien scosse la testa, mentre Julie rivolgeva uno sguardo severo nei confronti del marito, continuando ad accarezzare i capelli di Yves, seduto al suo fianco, e a riempirgli il piatto - soprattutto, a riempirgli il piatto.
«Guarda che se continui così, non ti accetteranno più in nessuna palestra!» esclamò, mentre recuperava la giacca e gli accessori, preparandosi ad uscire.
Yves gli rivolse un'occhiataccia, che sembrava una pallida imitazione di quelle finte che era solito rivolgere loro il nonno, perciò dovette sforzarsi sul serio per non ridergli in faccia. «Ho deciso che diventerò personal trainer.»
«Ah, sì?»
«Certo, e appena ci riesco,» gli piacque molto il suono di quelle due parole: "ci riesco". Yves stava acquisendo una sicurezza che non aveva mai posseduto e questo gli scaldava il cuore. «Vi metto tutti a dieta!»
«Caro!» esclamò Julie con espressione sconvolta. «Non si dicono queste cose brutte!»
Pure il nonno faticò parecchio per restare serio davanti l'espressione costernata della moglie.
«Che c'entra...» borbottò Yves, con un'espressione che si andava tingendo sempre più di imbarazzo. «Tu no, tu sei perfetta così. Parlo di quei due mascalzoni, lì...» ma la faccia di Julie rimase scioccata. «C'è ancora tempo...» continuò, con maggior incertezza.
«Per fare provviste per l'inverno, come fanno gli scoiattoli?» domandò sarcastico, punzecchiandogli una guancia.
Prima che il fratello potesse rispondergli, afferrò Adrien per una mano, approfittando del fatto che anche l'uomo aveva già recuperato il cappotto, e lo trascinò fuori casa, impedendo ad Yves di minacciarli ancora con cose "scandalose".
«Hey, hey! Guarda che si scivola!» protestò Adrien, strattonandolo verso di sé, per cercare di smorzare la sua marcia, e gli riservò l'ennesima occhiata cattiva, con cui sembrava provocarlo proprio con l'intenzione di litigare con lui.
«Ma tanto andiamo a piedi.» bofonchiò, tentando di impedirgli di sciogliere la presa tra le loro mani.
«Ti è andata bene una volta, quindi non vedi l'ora di provare di nuovo a spaccarti la testa?»
Lo sapevo. Si picchiò piano il berretto di lana con un pugno. «È parecchio dura.»
Adrien riuscì a liberarsi dalla sua presa e iniziò a muoversi in direzione del vecchio mulino. «Io non so se riuscirei a riprendermi, stavolta.» disse piano e Dorian gli rivolse uno sguardo di sottecchi, notando che la sua espressione era tornata a farsi tirata.
«Guarda che sto bene.»
«Lo vedo da me.»
«E allora che c'è? Ho messo gli scarponi!» e si indicò i piedi.
«Mi hai spaventato. Continui a farlo anche adesso.» intuì che non si stava più riferendo soltanto all'incidente, alle sue azioni, a volte, imprudenti. «Sono un po' di malumore, forse.» capì che stava cambiando argomento dal tono di voce che usò, e la cosa lo infastidì abbastanza da guastare un po' anche il suo di umore. «La settimana prossima ho appuntamento a Parigi, andiamo dal notaio. Io e Louise. Per la cessione dell'attività.»
«Quindi hai deciso? Cederai l'attività a lei?»
«Non mi è molto simpatica, ma sono anni che mi affianca nella gestione della pasticceria, è capace, in gamba. Non devo vendere a estranei che non so che ne farebbero, non devo chiudere e licenziare la brigata. Lei ha accettato. Manterrà persino il nome della pasticceria.»
«E se dovessi cambiare idea?»
«Ti diverti proprio tanto a spaventarmi.» disse in un sussurro che parve perdersi nella brezza invernale. Il vento gli accarezzò il volto con il suo gelo, portandosi dietro microscopici fiocchi di neve provenienti da chissà dove, solleticando un po' il naso e facendogli lacrimare gli occhi. «Beh, in caso, si ricomincia da capo. No? Si va avanti.»
Raggiunsero il rudere, si incontrarono col capo mastro che avrebbe guidato i lavori, i quali avrebbero trasformato il vecchio mulino nella loro, nuova pasticceria.
Dorian non poté fare a meno di ripensare, per tutto il tempo dell'incontro, alle parole di Adrien, mentre una certa ansia si faceva sempre più spazio nel petto - un peso sempre più invadente e meno piacevole.
Quando tornarono a essere soli, Adrien non si espresse in alcun modo, neppure facendo il più piccolo commento sull'incontro col capo mastro, iniziando a chiudere porte e finestre, pronto per tornare a casa.
«Sei in pensiero?»
L'uomo sussultò visibilmente. Sì, è sovrappensiero. «Per cosa?» e si guardò attorno, facendo vagare gli occhi per la stanza. «Ah, no. Rientriamo nel budget, l'hai sentito. Sopra ci facciamo due piccoli appartamenti. Verrà bello, dai, ne sono sicuro. E dovremmo iniziare a pensare al piano di spedizioni. Muoverci anche in questa direzione. Non possiamo permetterci di perdere tempo in attesa che concludano i lavori.»
Dorian scese giù dal mobile che aveva occupato alla stregua di una panca di fortuna, si spazzolò un po' i pantaloni, che, più che impolverarti, si erano inumiditi. Osservò il fiato di Adrien condensarsi in soffici nuvolette davanti al suo viso, lasciandosi catturare dal suo profilo, dalla bellezza delle sue labbra; dalle ciglia lunghe e scure; da come stringeva i denti e i muscoli delle guance si contraevano sotto pelle, in un modo assolutamente sensuale.
«Un appartamento per te, uno per Yves. Ed io con chi dei due dovrei vivere?» chiese quando gli fu abbastanza vicino da potersi permettere di sussurare, sicuro che l'altro lo avrebbe udito lo stesso.
Adrien gli rivolse uno sguardo furtivo, poi fissò un punto distante da loro e si strinse nelle spalle. «Sono certo che qualunque sarà la tua decisione, sarà impossibile farti cambiare idea.»
Reclinò il capo da un lato, continuando a studiare la sua espressione e si accorse del lieve rossore che andò, piano piano, a impreziosirgli le guance. «Sono testardo, sì.»
«Immagino che tu sappia già...»
Lo afferrò per il bavero del cappotto e lo strattonò verso di sé. «Stai dicendo un sacco di stronzate, Renard.»
Adrien arricciò il naso. «Sono sicuro che preferiresti continuare a vivere con Yves.»
«Guarda che il cordone ombelicale ce l'hanno tagliato alla nascita.»
L'uomo continuava a tenere le mani nascoste dentro le tasche del cappotto, non stava tentando di liberarsi di lui, ma neppure sembrava intenzionato a ricambiare le sue avances. «Mi sembra che stia meglio.»
Annuì. «Mi auguro che da qui all'anno prossimo, per quando avranno concluso i lavori, si sarà ripreso del tutto.»
«Perché? Il suo cordone non è stato ancora tagliato?»
Scosse la testa. «Perché ho già deciso.» disse e si morse il labbro inferiore, consapevole del fatto che stava per scoprirsi troppo, più di quanto avesse immaginato che avrebbe potuto fare, fino a quella mattina, in così breve tempo.
«Voglio proprio vedere...»
Lo scrollò un po' per il bavero del cappotto e Adrien coprì una sua mano con la propria, forse per impedirgli di continuarlo a strapazzare. «Sai quanto mi sta costando continuare a condividere la stanza con Yves?»
Lo sguardo di Adrien si fece cupo, intenso, ammaliante. «Adesso, in effetti, non scopiamo neanche più. E da più di una settimana. Immagino che...»
Lo interruppe ancora, ponendo fine alle sue parole con un bacio. Aggredì la sua bocca, soffiandogli dentro tutto il suo bisogno, il suo desiderio. Le labbra dell'altro risposero subito al richiamo, e con esse le mani, tentando di placare la necessità di un contatto. Aderì al suo corpo con il proprio, mentre il freddo si faceva spazio dentro il naso e la gola, e i respiri si trasformavano in nuvolette più bianche. «Ti sbagli.» ansimò ancora, sfiorandogli le sue labbra. Intrufolò le mani sotto il suo berretto di lana, lasciandosi scivolare ciocche dei suoi capelli tra le dita.
«Scopiamo e basta.» e il tono che Adrien usò, per rivoltare contro di lui quelle tre parole, risultò bruciante come lava.
Scosse la testa. «Te l'ho detto Renard: ti braccavo da anni.»
«E adesso che hai conquistato il tuo divo e che questi è caduto, che cosa farai?»
Sorrise e sfiorò il suo naso con il proprio. «Adesso non sei più un divo, hai ragione. Forse, adesso, potresti persino decidere di poter stare con un plebeo come me.»
L'uomo sgranò appena gli occhi, irrigidì i muscoli del viso, ma poco per volta questi si sciolsero, soccombendo alla dolcezza di un flebile sorriso. «Non siamo neppure più rivali.»
Annuì e gli sfiorò le labbra con le proprie. «Siamo soci.» disse in un sussurro, sentendosi implorare dalla propria bocca, in agonia, desiderosa di un nuovo bacio.
«Tu... Sembri non renderti conto.»
«Di che cosa?»
«Di quello che è successo.»
Lo abbracciò in vita e nascose il volto contro la sua sciarpa; la lanugine gli solleticava un po' troppo la pelle, ma ogni nuovo contatto con Adrien, dove lui non lo rifiutava, gli sembrava una vittoria. «Ti sei spaventato, mi dispiace.» l'uomo scrollò le spalle e lo allontanò da sé - e il cuore prese a battere più velocemente. «Non ho intenzione di rimettermi in sella a una moto, in breve tempo, te l'assicur-.»
«Fosse solo questo il problema.» venne interrotto dalle sue parole, dal tono aspro con cui le pronunciò e che provocarono un aumento della sua tachicardia. «Sei così in tutto quello che fai. In quello che pensi. Agisci infischiandotene delle conseguenze. Vedi? Sei qui. Perché sei qui, Dorian? Solo perché non vedevi l'ora di liberarti di Camille?»
«Lo sai perché sono qui, nonostante tutto.» disse con voce malferma, e si maledì mentalmente un numero imprecisato di volte per non essere riuscito ad apparire più sicuro di sé.
«No, che non lo so. Io pensavo di sapere perché tu avevi accettato la mia proposta. Ma poi continui a fare cazzate. Ad essere assolutista. Egoista. Una testa calda. E io non capisco.» scosse la testa. «Non capisco se per te è un gioco. Una sfida o chissà che altro.» trasse un profondo respiro e distolse gli occhi da lui. «A me non basta più essere il tuo giocattolino sessuale.»
«Non lo sei...»
«Bene.» Adrien lo interruppe ancora e la sua voce tornò a tingersi di sfumature pericolose. Lo indicò con entrambe le mani e poi incrociò le braccia sul petto, ponendosi in attesa.
Comprese subito che cosa gli stava chiedendo, che cosa si aspettava da lui. Ma la lingua parve incollarsi al palato, la bocca si fece asciutta. Sorrise imbarazzato, scrollò le spalle e corse fuori dall'edificio.
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