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2. Financier

Adrien Renard era davvero un uomo affascinante. Affascinante e selvaggio. Dal vivo, molto più che all'interno delle fotografie che avevano riempito le riviste scandalistiche parigine nelle ultime settimane.

Affascinante e selvaggio come un divo americano degli anni ‘70, il ciuffo ribelle, gli zigomi alti e definiti, la mandibola decisa. Lo immaginava proprio bene come protagonista di un film come Dirty Dancing, Grace, magari proprio in giacca di pelle, in sella a una moto di grossa cilindrata. Un moderno Fonzie, con occhi scuri che scrutavano con un'intensità totalmente esasperante, del tutto fuori luogo, eccessiva.

Era stata la prima volta in cui era riuscito ad averlo così vicino a sé. Per pura casualità, per giunta. Dopo tutti gli sforzi compiuti in passato, quell'uomo si era avvicinato a lui di propria, spontanea volontà – lasciandolo abbastanza di stucco da fargli rischiare un infarto. Per fortuna, Dorian non si era mai lasciato trascinare troppo dalle emozioni, ed era stato in grado, anche in quel frangente, di controllarsi. O, almeno, questo era ciò che sperava fosse davvero accaduto.  

Negli anni, Camille aveva cercato con ogni mezzo di tenerlo lontano dalle competizioni con altri. Quell'anno, tuttavia, cavalcando l'onda della povera donna vittima dell'ennesimo poco di buono, aveva ben pensato di farsi circondare da una brigata capace di tenerla il più lontano possibile dal fronte, mentre recitava il suo stupido spettacolino: sapeva che non aveva avuto altra scelta che portarlo con sé. Era stata una decisione assolutamente strategica, nulla di sentimentale. Nessun favoritismo, nonostante i bisbigli irati dei suoi colleghi lo avessero accompagnato fino a lì, suggerendo ben altro.

Ma Dorian sapeva che la vita era anche questo: avere a che fare con troppa gente frustrata, incastrata all'interno di limiti sociali e culturali. Limiti, a volte, autoimposti – e chissà per impressionare chi, al fine di che cosa. E la frustrazione, portava, inevitabilmente, alla noia e la noia al pettegolezzo, il pettegolezzo a tessere trame di storie assurde e paradossali, ma in grado di acquisire realtà attraverso il passaparola. Riuscendo a diventare più reali della realtà stessa.

Che perdita di tempo ed energie.

Riportò lo sguardo su Renard, tentando di non farsi beccare da nessuno, ma Camille si allontanò dall'uomo, ripiegando verso la loro postazione. Assaggiò un po' delle loro preparazioni senza proferire parola, accompagnando ogni morso con una smorfia o uno sbuffo di mediocrità. Assaggiò pure le sue éclair e gli rifilò uno sguardo severo. Gli si fece vicina e accostò il profilo al suo. «L'hai fatto di nuovo!» sussurrò livida di rabbia. Tremeva così tanto, era così furiosa che pure le pagliuzze dorate incastonate all'interno delle sue iridi verdi parevano muoversi. «Mio Dio! Te lo avevo espressamente proibito!»

Sapeva a che cosa si stava riferendo e subito si irrigidì. «Non ho cambiato gli ingredienti.» disse, fissando un punto imprecisato dinanzi a sé.

«Invece l'hai fatto! Non c'è bisogno di sperimentare quando qualcosa è già perfetto!»

Non concordava affatto con lei, ma si trattenne dal ribattere, facendo vagare lo sguardo per la sala. Credesse pure ciò che voleva, non gli importava affatto.

Camille tacque in modo troppo repentino, Dorian riportò lo sguardo dinanzi a sé e vide avvicinarsi due dei tipi della commissione. Dopo l'esame dei prodotti, il vincitore non avrebbe ottenuto solo una stupida targa in vetro, con pacchiane decorazioni placcate in oro.

Fama.

Potere.

Una campagna pubblicitaria mostruosa.

Vincere quel concorso era quasi paragonabile all'ottenimento di una Stella Michelin, e sotto Natale faceva comodo riuscire ad attirare così tanto l'attenzione su di sé.

Camille aveva il dente avvelenato da ben due anni: da quando non era più riuscita a vincere quello stupido concorso. Per colpa proprio di Adrien Renard.

Mentre i due esaminatori si fermavano al loro tavolo per parlare con Camille, tornò a vagare con lo sguardo per la sala, tentando di individuare la postazione della Pasticceria Renard. Fece un passo avanti, aguzzando di più la vista e si sentì subito tirare per una manica. Si girò in quella direzione, e venne abbagliato dal sorriso di Camille, mentre con gli occhi gli intimava di non muoversi.

Si scrollò dalla sua presa, rivolse un breve cenno del capo in direzione dei due tipi dall'altra parte del tavolo e prese a vagare per la sala, lasciandosi guidare dai profumi come se fossero muse in grado di indicargli la via.

La sala era stata addobbata magistralmente, adorava ogni più piccola decorazione natalizia, ogni più piccolo scintillio, la posizione esatta di ogni più sottile ago dei rami degli abeti. Era tutto stato studiato nei minimi dettagli, e riusciva a rendere l'enorme ambiente accogliente e caldo, molto più della cucina di Camille, nonostante fosse un luogo allestito proprio per l'evento, nulla che sarebbe restato nel tempo.

Un'emozione fugace che, tuttavia, gli stava restituendo più gioia della sua solita routine.

Non gli importava affatto chi avrebbe vinto la competizione, ma gli sarebbe piaciuto poter continuare a muoversi per quella stanza, avere la possibilità di studiare le tecniche e i segreti dei concorrenti, acquisire nozioni, farsi stuzzicare il palato e l'olfatto ancora da tutti quei deliziosi stimoli.

Da quando aveva messo piede lì dentro, la sua mente era stata già solleticata abbastanza da fornirgli spunti per migliorare un paio di ricette – anche se Camille era così arrogante da pensare di non doversi migliorare, di essere già approdata al panthéon della perfezione.

Scosse la testa senza riflettere sulle proprie azioni, e finì per individuare la postazione di Renard a pochi passi da sé. Coprì la breve distanza che li separava, guadagnandosi all'istante gli sguardi diffidenti della sua brigata.

«Ricambi il favore?» Renard gli aveva posto quella domanda senza sollevare lo sguardo su di lui, doveva averlo notato arrivare. Stava sistemando dei financier su un'alzatina che conteneva già altre varietà di petit.

«Ci tenevo a precisare, di nuovo, che non ho apportato nessuna modifica alla ricetta di Camille.» disse, anche se, in realtà, non gli importava di precisare un bel niente.

Aveva voluto soltanto vederlo all'opera. Carpire da lui nuovi stimoli, magari assaggiare uno dei suoi dolcetti.

Renard gli rivolse uno sguardo obliquo, aumentando in lui la sensazione che l'uomo sarebbe proprio stato un ottimo partito per la Hollywood degli anni ‘70 e ‘80.

Lo osservò poggiare i palmi delle mani sulla superficie del tavolo, protendersi verso di lui, reclinando il capo nella direzione opposta.

Un sorriso sensuale gli incurvò le belle labbra. «Sei troppo dotato per essere un pasticciere di Camille.»

Notò i membri della sua brigata trasalire e comprese pure all'istante il perché del loro disagio. Dopo tutto ciò che era accaduto nelle settimane precedenti, Renard rischiava davvero molto nel fare commenti di quel tipo. Qualcuno avrebbe potuto sentirlo e rendere ancora più reali i pettegolezzi assurdi che lo avevano travolto. Non stava rischiando soltanto la sua reputazione – quella, purtroppo, era già stata macchiata.

In fin dei conti, questo gli dispiaceva, non gli importava, ma gli dispiaceva. Un po' come quando al telegiornale acquisiva informazioni riguardo la morte di qualcuno che non aveva conosciuto.

Renard rischiava di passare per un carnefice compiacente, per uno capace di qualsiasi nefandezza pur di raggiungere il proprio scopo. La commissione del concorso avrebbe persino potuto decidere di punirlo, in barba alle regole, solo per ristabilire una qualche stupida parvenza di giustizia sociale, di onore tra pasticcieri.

«Visto che hai ricambiato il favore, farò altrettanto io.» riprese a dire Renard, distogliendolo dai suoi pensieri, e gli offrì un financier.

Accettò il dolcetto e lo addentò piano, prese tra i denti solo una piccola porzione, anche se il financier era davvero piccolo tanto quanto un boccone. Era perfetto visivamente, perfetto nella consistenza, perfetto nel sapore. Perfetto sotto ogni punto di vista.

Perfetto come una cosa nuova, ma priva di vita e sentimento. Era troppo perfetto, forse.

Sorrise e finì di consumare il dolcetto. Ancora, in bocca, la sensazione di una perfezione eccessiva e vuota.

L'espressione di Renard parve adombrarsi. «Già.» e il suo sguardo selvaggio e seducente si fece di colpo cupo e distante. «Appena finisce questa pagliacciata,» di nuovo sprezzante. «Hai già dei programmi per dopo?» imprudente.

Il suo sorriso si fece più ampio. «Credo di aver appena ricevuto un invito.»

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