13. Canelés
Lo sguardo di Dorian si era fatto dolce, intenso. Sembrava a tratti indeciso e Adrien cominciò a intuire che stava cercando di comprendere se fosse opportuno insistere nelle proprie idee, oppure se era arrivato il momento di cambiare argomento.
Era bravo a cambiare argomento, a ridargli sorriso e sollievo, a non insistere, pur restandogli vicino.
Si sentiva compreso da lui, protetto, ed era una sensazione nuova, qualcosa che non aveva mai sperimentato prima con nessun altro uomo, qualcosa che gli ricordava le attenzioni affettuose della sua famiglia, ma prive di qualsiasi aspettativa. Era tutto più semplice con Dorian.
«Hai mai fatto sesso qui dentro?»
Sgranò gli occhi per lo stupore e subito si sentì arrossire – era pure sicuro che ciò non fosse affatto dovuto al freddo che gli stava bruciando le guance. «Certo che no!» bofonchiò imbarazzato.
Aveva avuto ragione: Dorian aveva deciso, alla fine, di smetterla di insistere e di stravolgerlo con un repentino cambio di rotta. Era proprio questa assurdità, questa collisione tra argomentazioni tanto differenti e per nulla connesse tra di loro che suscitava, in lui, ilarità.
Dorian era in grado di sorprenderlo, imbarazzarlo, farlo ridere e tutto in un colpo solo.
Ma stava pure iniziando a domandarsi se non ci fosse altro pure in questo: cambiare rotta al momento opportuno – opportuno per lui.
Gli accarezzò il mento e lesse nel suo sguardo un tremito di incertezza. «E tu? Com'era il piccolo Dorian?»
Il sorriso si spense, l'espressione si irrigidì. Si strinse nelle spalle, fissò la propria attenzione altrove. «Fa freddo, qui.» e gli diede le spalle.
Lo strattonò per un gomito, riportandolo a un palmo da sé. Dorian sorrise malizioso, lo baciò ancora, stuzzicò il suo labbro inferiore, poi violò la sua bocca; si aggrappò al suo giaccone, spingendo tutto il proprio peso su di lui, facendolo vacillare, finché non fu con le spalle al muro. Lontano dalla porta, lontano da qualsiasi possibilità di fuga. «Credo che sia arrivato il momento anche di questa prima volta...» sussurrò con voce crepitante di lussuria.
Aggrottò la fronte, trattenendo a fatica l'ennesimo sorriso, anche se percepiva le guance bollenti per l'imbarazzo, e continuò ad accarezzargli le mani, i cui polpastrelli si erano fatti già gelidi – poteva sentirlo con chiarezza anche attraverso i guanti – nonostante i suoi sforzi. «Vuoi farmelo cadere?»
Dorian rise e scosse la testa. Svincolò una mano dalla sua presa e lo strattonò per la cintura dei pantaloni. Accostò le labbra a un suo orecchio. «Puoi tenere i vestiti. Riuscirò a non farteli macchiare.» riconobbe i suoni inconfondibili, brevi e metallici, che produsse la cintura mentre veniva slacciata. La cerniera scivolò verso il basso, guidata dalle dita del suo amante, e qualche istante dopo percepì quest'ultime sulla pelle. Rabbrividì e sussultò al suo tocco freddo. «Dorian...» mormorò incerto, e l'uomo ne approfittò per insinuarsi tra le sue cosce, eludendo pure l'ostacolo della sua biancheria intima. I polpastrelli si scaldarono presto a contatto col suo corpo.
«Uhm. Sembra che qualcosa si stia già muovendo.»
Si aggrappò a un ripiano dello scaffale di fianco a sé. «Io non credo che...» ansimò e dovette interrompersi.
«Guarda che puoi sempre togliermi le mani da dentro le tue mutande.»
Trasalì ancora e, in netta contrapposizione rispetto ciò che aveva appena affermato, Dorian si fece ancora più spazio tra le sue gambe, arrivando a stimolarlo tra i glutei, per poi ripercorrere la strada a ritroso, riprendendo a massaggiare il suo sesso.
Gemette e anche quel respiro spezzato dal piacere venne interrotto dall'altro, che lo baciò ancora. Le sue labbra morbide, la sua mano calda.
Si tolse i guanti e gli aprì il giaccone, muovendosi sui suoi vestiti, in cerca della sua pelle, ostacolato da troppi indumenti. Approfondì il bacio e finì per riuscire a oltrepassare l'elastico della tuta che indossava, e poi quello dei boxer.
Iniziò a emulare i suoi movimenti, e anche i respiri di Dorian si fecero più brevi, più carichi di passione. «Adrien.» disse piano, e la ragione si spense.
Non sentiva più freddo, non riusciva più a ricordare dove fossero. Non gli importava più nulla di Parigi né delle aspettative degli altri su di lui. Esisteva soltanto Dorian, il suo corpo, la sua voce, il suo calore. I suoi segreti. Riusciva a stravolgere ogni suo limite, ogni incertezza: una fonte inesauribile di stimoli. «Anche a me piacerebbe fare un dolce con te.» disse e sorrise, strinse il suo labbro inferiore fra i denti, poi lo succhiò piano, e tutto il corpo tremò, attraversato da brividi profondi di piacere.
Non aveva neppure paura, in quei momenti, di porsi a confronto con lui. Non aveva paura di sperimentare, di scoprirsi – ancora una volta – meno capace di lui. Bastava l'idea di poter condividere anche quella loro passione per mettere da parte i timori.
Dorian ansimò, le sue iridi si riempirono d'oro. Raggiunse l'orgasmo prima di lui e si accasciò contro il suo petto. Adrien coprì la sua mano con la propria, imponendogli un ritmo diverso, guidandolo finché il petto si chiuse, i respiri si fecero brucianti e la mente si riempì di un vuoto più bianco della neve.
A fatica, riuscirono a ricomporsi, tra un risatina imbarazzata, gambe tremanti e baci fugaci.
«Ero un bambino solo.» disse ad un tratto, in un sussurro che suonò alle sue orecchie quasi come un singhiozzo, accompagnato da un respiro spezzato.
Il tempo parve fermarsi, ebbe come la sensazione di poter guardare attraverso il tempo, attraverso i microscopici fiocchi di polvere che riempivano l'aria. Restava lui, restava Dorian, incastrato in un spazio troppo piccolo per poter contenere una luce così grande. Gli prese il volto tra le mani, accarezzandogli le guance; non percepiva più la sua pelle contro la propria e quella era una mancanza che stava diventando insopportabile.
I respiri tornarono a farsi densi, quasi visibili. Si confusero in soffici nuvolette, evaporando nel freddo troppo velocemente.
«Yves...»
«È difficile essere quello che distrugge la speranza.» lo interruppe e posò lo sguardo in basso, forse sulla bocca o sul mento – di certo, lontano dal contatto diretto con gli occhi. Le ciglia lunghe proiettavano ombre spettrali e piccolissime sulla sua pelle pallida, intensificando l'oscurità del suo tormento. «Ma io ci sono arrivato prima di lui. Sono arrivato alla consapevolezza che continuare a sperare equivaleva a continuare a soffrire. E mi sono stancato presto di soffrire.» sorrise amaro, tirò su col naso. «Lui ci soffre ancora. È l'unico motivo per cui litighiamo.»
«Non è la stessa cosa di smettere di sperare.»
Dorian annuì e sciolse il loro abbraccio, tentando ancora di scappare. Fu alle sue spalle in un battito di ciglia e gli cinse i fianchi, bloccandolo sul posto. Non fece resistenza, ma neppure si girò per ricambiare il suo abbraccio, tuttavia, Adrien non si fece scoraggiare dal suo atteggiamento: non gli avrebbe permesso di scappare anche da lui. Accostò le labbra a un suo orecchio. «Sei qui. Se avessi smesso di sperare, non credo che avresti accettato il mio invito.»
Dorian si svincolò dalla sua presa e gli batté il dorso di una mano contro il petto. «Ti dai troppe arie, Renard. Sono qui per una vacanza gratis. E il sesso!»
«Il viaggio in treno, fino a qui, te lo sei pagato tu. E non credo di essere tutta questa gran... scopata.»
Il suo amante sorrise malizioso, ma anche titubante, un tripudio di contrasti e incertezze, e scosse la testa, tirò di più il berretto verso il basso, a coprire le orecchie, e subito dopo si portò le mani davanti al viso, stringendole in un unico pugno, e vi soffiò dentro un po' di fiato. «Dovremmo escogitare un modo per impacchettare il calore del sesso e farne una specie di stufa portatile. Sai che soldi!»
Gli sfuggì una mezza risata e scosse la testa, gli circondò le spalle con un braccio e lo strattonò verso di sé. «Decidere di smettere di combattere contro i mulini a vento non penso proprio che equivalga a smettere di sperare.» agitò una mano per aria in cerca della giusta ispirazione, ma con la coda dell'occhio notò l'espressione dell'altro farsi tesa, quasi lucida di aspettative e tensione, e le parole gli riempirono prima la bocca della mente. «Ma a... Decidere... Di concentrare le proprie energie su qualcosa per cui valga la pena sperare ancora.»
Dorian rise sprezzante. «Sei saggio solo quando non si tratta di te, eh?»
Aveva cercato di ferirlo di proposito, non ne dubitava. Lo stava attaccando di nuovo, nel tentativo di ristabilire limiti, di non lasciargli troppo spazio, ma aveva imparato a riconoscere quel suo modo di fare. Aveva imparato a leggervi dietro tanta paura, la paura di essere deluso, ferito ancora. Era il suo modo di mostrare le proprie fragilità, doveva soltanto decidere se farsi lusingare da ciò, oppure se dargli corda e prenderlo a pugni.
Nell'incertezza, gli venne fornita una terza opzione.
«Eccovi qui!»
Per poco non venne sorpreso da un infarto nel vedere Yves entrare nella stanza, ma il diversivo lo aiutò a seguire l'esempio del suo amante, a non insistere, a cambiare argomento. Sperava che questo avrebbe fatto sentire Dorian accolto e protetto, iniziò a sperare di poter ricambiare quella forma di affetto a cui non riusciva a dare, ancora, un nome.
E, in un modo che riconosceva come molto egoista, sperava, persino, di essere pure l'unico a fargli provare qualcosa del genere.
«Es...» borbottò Dorian e sgranò gli occhi, allontanandosi i capelli dalla fronte e li aggiustò sotto al berretto di lana con gesti non proprio fluidi. Era arrossito e Adrien non comprese se fosse in imbarazzo perché timoroso che il suo gemello intuisse che avevano rotto il loro voto di castità, o se temeva di più che avesse udito qualche parola di troppo.
Sperò che Yves non si lasciasse guidare dalle loro reazioni verso scoperte imbarazzanti.
«Il nonno mi aveva detto che sicuro eravate qui, mi ha spiegato come arrivarci. Julie voleva accompagnarmi, ma non volevo che uscisse con questo freddo... Che diavolo vi è preso, piuttosto?»
«Volevamo fare due passi...»
«Folli! Mi sono pure perso, credo, mentre tentavo di venirvi a recuperare!»
«Menomale...» mormorò Dorian e Adrien gli rivolse uno sguardo severo, ammonendolo per quell'ennesimo indizio fornito al fratello.
«Ho rischiato di trovarvi cadaveri congelati?»
No, con le mani dentro le mutande dell'altro.
O, peggio, a farci confidenze più intime del sesso.
Si scambiarono uno sguardo complice e ciò gli diede la conferma che no, Dorian non aveva affatto perso la speranza: si stava fidando di lui. Forse, non ne era pure consapevole – non ancora, almeno.
«Ma no,» disse, riportando l'attenzione dell'uomo su di sé, tentando di dissuaderlo nell'indagare ancora le espressioni del volto del suo gemello. «Volevo soltanto far vedere a Dorian il vecchio mulino. Volevamo aspettarti, ma stavi ancora facendo colazione!»
«Colpa di Julie.» bofonchiò Yves, poco convinto. «Appena torno a Parigi mi toccheranno delle sessioni extra.»
«È colpa del freddo, più si va avanti col giorno più fa freddo, quindi...»
«Es è goloso pure col caldo.» lo interruppe Dorian.
«Hey! Sono un tipo atletico! Brucio un sacco!» Yves si grattò una tempia e smise di far vagare lo sguardo tra di loro. L'ha capito, cazzo. «Julie ha deciso di preparare i canelés, per domani. Vi unite a noi?»
O forse no. L'odore di sesso si era miscelato a quello del freddo, della muffa, della polvere; alle confidenze – come cioccolata troppo amara – ai battiti accelerati del cuore – caldi come vin brulé – , alle paure più profonde – che possedevano un vago sentore di melma.
Le narici bruciavano, ma Adrien sapeva di avere un olfatto che era paragonabile a un superpotere, quindi sperò che quello di Yves fosse più umano, più nella media, affinché non fiutasse anche quegli indizi.
Si accordarono per lasciare il mulino, raggiungere Julie e aiutarla a preparare altro cibo con cui farli ingrassare prima del rientro a Parigi.
«Era una pasticceria?» chiese Yves mentre si lasciavano il luogo, e i suoi segreti, alle spalle.
«Mio nonno ci faceva le nostre farine.»
«È carino.»
«Un po' diroccato.» disse Dorian con una smorfia.
«È pieno di ricordi, di prime volte.» ribatté e l'amante tornò a farsi rosso in viso. Imprecò sottovoce e lo precedette su per la collina, lasciandolo ad arrancare al fianco di Yves.
«Mai pensato di farne una tua pasticceria, qui?»
«Qui, Yves?» si fermò sulla parte più alta del promontorio, abbracciando il paesaggio con lo sguardo, le casette piccole in lontananza, sparse come radi sassolini tra le nave, i comignoli che sottolineavano la loro presenza con sottili sbuffi di fumo rilasciati nel cielo. Il piccolo cimitero. Gordes arroccato sulla sua montagna. «Chi ci verrebbe?»
«In inverno? Non lo so. Ma Julie mi raccontava che qui è pieno di aziende agricole. D'estate c'è il fiume,» e indicò dietro di sé dove adesso si vedeva soltanto neve. Poi si volse di nuovo verso di lui, oltre di lui, puntando il dito alle sue spalle. «E quella è la strada che porta su a Gordes, no?»
Seguì la traiettoria tracciata in aria dalle sue indicazioni.
«Ti sei studiato la zona?» chiese Dorian.
«Ho guardato su Google per raggiungervi. Ma difficile farlo con tutti i punti di riferimento mimetizzati nel cazzo di inverno.» e calciò un mucchietto di neve con evidente risentimento. «Per questo mi sono perso, ma poi ho capito, più o meno dove guardare.»
«Inutile giustificarsi,» disse Dorian con tono di scherno. «Ti sei perso.» aggiunse a un volume più basso, ma il fratello lo udì lo stesso.
«Hey! È la prima volta che vengo qui! Facile muoversi con la tua guida autoctona...!»
Adrien smise di ascoltarli mentre i due scivolavano giù dalla collina, tentando di mantenere un minimo di equilibrio tra un'accusa e l'altra. Nell'aria riverberavano soltanto le loro voci, il profumo dell'inverno, l'atmosfera raccolta e tesa che annunciava, probabilmente, l'arrivo dell'ennesima tempesta.
Riportò lo sguardo sul vecchio mulino. Farne una pasticceria: non era una cosa a cui aveva mai pensato. Non era un'idea che aveva mai sfiorato la sua mente. Quando il nonno si era ammalato e aveva dovuto porre fine alla sua attività lavorativa, Adrien sognava già Parigi, stava già organizzando il suo trasferimento. Il mulino era stato chiuso, lui era partito.
Sollevò lo sguardo verso il cielo. Non sarebbe potuto diventare il numero uno, di certo, restando lì. Non avrebbe potuto rendere orgogliosi Julie e il nonno, ripagarli di tutti i sacrifici, di tutto ciò che avevano investito su di lui. Aprire un'attività di quel genere, lì, non gli sembrava affatto un'idea commerciale geniale.
Riprese a camminare, a seguire i gemelli giù per la collina, osservandoli scherzare tra di loro, troppo lontani, ormai, per udire quello che si stavano dicendo.
Comparve Julie sulla soglia di casa, come sempre, pronta ad accoglierli.
Aprire una pasticceria, lì, gli avrebbe garantito, forse, non più di sei mesi di attività all'anno. Niente a che vedere con i guadagni e gli impegni che gli erano stati assicurati, negli anni, a Parigi. Non era fattibile, non era proprio lontanamente contemplabile. Sbattersi in inverno per assicurarsi qualche guadagno in più, massacrarsi di lavoro durante l'estate – sempre sperando di riuscire a fare abbastanza per coprire i mesi di inattività, anche.
Il nonno non ne sarebbe stato contento. Avrebbe potuto tacciarlo di essere un lavativo, uno che aveva trovato la soluzione ideale per darsi il meno da fare possibile. O era lui a temere tutto ciò?
«Sei saggio solo quando non si tratta di te, eh?»
«Decidere di concentrare le proprie energie su qualcosa per cui valga la pena sperare ancora.»
Scrollò il capo, entrò in casa.
«Tutto bene?» chiese Julie.
Annuì brevemente. Gli mancava Dorian: sollevò lo sguardo in cerca della sua persona, lo individuò vicino al nonno, intento a raccontargli della loro piccola avventura – tralasciando i dettagli scabrosi, ovviamente. Ma erano proprio quest'ultimi a mancargli di più. Il suo corpo, il suo calore, la sensazione di poter abbattere ogni ostacolo soltanto affrontandolo con lui, fondendosi in lui. Con lui al proprio fianco era tutto più facile, con lui così distante, come in quel momento, i dubbi tornavano a sopraffarlo.
«Me l'hai promesso, Renard!» esclamò Dorian, indicando gli ingredienti ben disposti sulla superficie del tavolo – di sicuro preventivamente preparati da Julie.
Annuì ancora, ma qualcosa nel suo viso doveva averlo messo in allarme.
Il sorriso di Dorian si fece incerto e reclinò il capo da un lato, come se lo stesse studiando. Distolse lo sguardo da lui, si tolse gli indumenti superflui e ne approfittò per dargli le spalle, mentre si lavava le mani.
Percepì la sua presenza poco dopo, la calda coperta di nuovo sulle spalle.
«Avrebbe importanza?»
Sollevò un sopracciglio con scetticismo, prese ad asciugarsi le mani, costringendosi a ricambiare il suo sguardo. «Che cosa?» chiese e non poté fare a meno di notare le attenzioni che avevano attirato su di loro.
Aveva presentato Dorian, alla sua famiglia, come un amico, tanto quanto Yves. Ma Yves non era un suo amico – non si conoscevano ancora abbastanza bene, anche se condividevano la stessa stanza da letto da un paio di giorni – e di certo non lo era Dorian.
Dorian non sarebbe mai potuto essere un suo amico, non nel senso stretto del termine, almeno.
Eppure, gli occhi del nonno e di Julie contenevano una tenerezza che gli impediva proprio di stare tranquillo.
A quel punto, era pronto a scommettere che entrambi avessero intuito che no, amici non lo erano affatto.
«Il discorso di prima.»
Sgranò appena gli occhi e si liberò dello strofinaccio, cedendogli il posto. «In che senso?»
Dorian prese a lavarsi le mani a sua volta. «Se tu fossi felice, se scoprissi che è la soluzione più giusta per te, avrebbe importanza non essere più il numero uno?»
Fece una smorfia. «Non è fattibile.»
«Sì, che lo è.»
«Di che cosa state parlando?» domandò il nonno, incuriosito.
«Dei canelés!» esclamò subito Dorian, ma Adrien gli rivolse uno sguardo di ammonimento, sapeva che il nonno non si sarebbe fatto abbindolare dalle sue bugie. «Io credo che sia fattibile.»
«Come?»
«Diventerebbe il punto di riferimento della zona, potresti aprire un servizio online di distribuzione, spedizioni su tutto il territorio e oltre!»
«Non mi sembrano gli ingredienti dei canelés, questi.» borbottò il nonno.
«È un'ipotesi per un... cambio di procedimento.»
«An...»
«Sì, Es?» Dorian applaudì con entusiasmo. «È vero! Magari è la buona volta che riesci pure tu a fare un dolce!» Adrien trasalì quando l'uomo riportò l'attenzione su di lui. «Inizia a separare i tuorli.»
Aggrottò la fronte. «I tuorli?»
«Non vorrai farlo fare mica ad Es, sai che pasticcio, finirebbero per diventare omelette!»
«Hey!»
Julie rise, l'espressione del nonno si sciolse, Yves prese a piagnucolare sulle ingiustizie del mondo.
Ma Adrien smise di ascoltarli, di nuovo, lasciandosi guidare dalle espressioni del viso di Dorian, dal suo sorriso, dal calore del suo corpo, che gli era così vicino, in quel momento.
Si ripeté quelle parole più volte nella mente, ma si sentiva troppo spaesato, troppo pieno di stimoli. In pochi minuti Dorian era riuscito a smontare, quasi, tutti i suoi dubbi, a rendere quell'ipotesi qualcosa di contemplabile per davvero, anche se non l'aveva mai presa in considerazione prima d'allora.
I tuorli.
Punto di riferimento per la zona.
I tuorli.
Spedizioni su tutto il territorio ed oltre.
I tuorli.
Tornerei a stare vicino a Julie e il nonno.
A mamma e papà.
I tuorli.
Senza più lo stress di Parigi.
I tuorli.
I tuorli.
Che cazzo sono i tuorli?!
Si premette due dita sulle palpebre, riaprì gli occhi.
Ah. E i miei dipendenti?
E... Dorian?
Alla fine, tornò con i piedi per terra, mise da parte quella follia e riuscì persino a ricordare che cos'era un tuorlo.
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