12. Calisson
I dolci gli piacevano e anche tanto. Ne aveva fatto la propria vocazione, ma era quasi certo che mai, in vita sua, gli fosse capitato di mangiarne tanti e con tanta frequenza.
Non assaggiare, non sperimentare, non preparare per altri.
Mangiare: riempirsi la pancia in prima persona. Eppure, da quando si trovava in vacanza tra il nulla e Gordes, non aveva mai potuto abbondare l'idea di rientrare a Parigi con delle carie. Prese uno dei calisson preparati da Julie e se lo portò alle labbra, lo addentò con aria pensosa. Nessuno lo stava minacciando di mangiare, comunque – anche se era difficile non cedere alle lusinghe degli sguardi imploranti della padrona di casa.
Non mangiava calisson da anni, ma il sapore fruttato che esplose sulla lingua, coinvolgendo le papille gustative in una danza sfrenata, lo riconobbe subito. Anzi. Il sapore era di sicuro familiare, ma il tocco di Julie era speciale.
Le sorrise, lei annuì brevemente, le sue gote si arrossarono un po'. Come si faceva a dirle di no?
Rivolse un breve sguardo verso il nonno, che la stava fissando con aria sognante, nonostante la donna avesse ancora l'aria assonnata, i capelli le incorniciavano il volto in una massa informe, e indossava pure un “elegantissimo” grembiule sporco di farina. Impossibile.
Erano già trascorsi un paio di giorni da quando erano arrivati in Provenza, Yves si era ambientato presto, Adrien aveva iniziato a mostrarsi come un ragazzino viziato, alzandosi tardi al mattino e poltrendo abbastanza di frequente. Camille aveva provato a contattarlo un paio di volte, tant'è che Dorian si era sentito costretto – in questo caso sì – a bloccare il suo numero di telefono. Era sicuro che non lo stesse cercando per sapere quali fossero i suoi piani per Natale, ma per rammentargli di essere fuggito per quasi settimana proprio durante uno dei periodi più frenetici dell'anno.
Non gli importava. Era in vacanza. Era, persino, in astinenza!
Altro morso e i canditi all'arancia e al limone finirono per sedurre pure le mandorle, amalgamandosi per bene, avvolti nel sottile strato di zucchero croccante che ricopriva il biscotto. Mangiare i dolci di Julie gli riempiva bocca e testa di lampi fugaci, troppo brevi, a volte, di sensazioni, profumi, sapori che non vedeva l'ora di mettere in pratica. Un'ispirazione continua.
«Hai una faccia pensierosa, ragazzo.» disse il nonno, che aveva scoperto chiamarsi Vincent.
Tuttavia, si era già abituato a pensare a lui come al “nonno” e non riusciva proprio a pensarlo come a un Vincent.
«Non facevo Adrien tanto dormiglione.» disse, tentando di concentrare la sua attenzione, possibilmente, lontano dai suoi reali pensieri.
Il nonno si strinse nelle spalle.
«Accumula tanto stress stando a Parigi.» disse Julie con aria affranta.
Gli venne da sorridere. Più trascorreva del tempo con la famiglia di Adrien, maggiore stava diventando la sensazione di essere avvolto da ovatta. Da qualcosa di soffice, appiccicaticcio. Fissò la copertura del biscotto: Proprio come glassa di zucchero. Dolce, forse, un po' stucchevole. Buono. Di una bontà che non aveva mai sperimentato prima.
«L'ha voluto lui.» borbottò il nonno e incrociò le dita delle mani sulla pancia.
«E dai! Non fare l'orco!» lo rimproverò la moglie, ma poi si volse subito verso di lui e Dorian trasalì appena nello scorgere un sorriso birichino comparire sul suo viso. «Non so se Adrien volesse davvero tutto questo, di certo si è fatto ispirare da me e questo mi rende orgogliosa.»
«È vero.» convenne il nonno. «Siamo una famiglia di contadini. Adrien ha perso i genitori che era ancora bambino. Poi la nonna. Julie è arrivata nella nostra famiglia che mio nipote era già quasi un adolescente... ed è stata la scintilla!»
«Oh, caro, così mi fai arrossire.» e la donna nascose parzialmente il volto dietro il proprio grembiule, sgranò gli occhi per l'imbarazzo, ma sembrava divertita. Sedette al suo fianco, uscendo dal nascondiglio improvvisato e prese ad accarezzargli un braccio con aria pensosa. «A volte temo che si sia convinto di dover essere il numero uno perché ci deve qualcosa, non perché è ciò che vuole.»
Dorian rizzò le spalle e sedette in punta, catturato completamente dalle sue parole. Se sapesse... Ma era evidente che Julie non sapeva, forse lo immaginava, tuttavia, non possedeva la sua stessa certezza riguardo i tumulti interiori di Adrien. Non credeva che fosse opportuno rivelare le confidenze che gli erano state fatte dal suo amante, anche se Julie era giunta da sé tanto vicina alla verità. «Ha ottenuto dei riconoscimenti, si è costruito un nome...»
«Neppure io sono sicuro che tutto questo gli interessasse.» lo interruppe il nonno. «Adrien è cambiato, da quando vive a Parigi.»
«Così serio e freddo.» Julie gli batté una pacca su un braccio. «Viene bene nelle foto, vero?» gli domandò con una strana vena di complicità. «Ma non è più l'Adrien dall'aria sognante, con la testa un po' tra le nuvole, che era quando stava qui.»
«Mio nipote era un sempliciotto.»
«Vincent!» lo rimproverò la moglie.
«Suvvia, mia cara. Anch'io sono un uomo semplice, non c'è nulla di male in questo.»
«No.» convenne la donna con un sorriso che si era fatto, di colpo, più dolce della glassa allo zucchero dei calisson.
«Tu che ne pensi, ragazzo?»
Trasalì e aprì la bocca d'istinto, subito la richiuse, non sapendo bene che cosa dire. Avevano ragione entrambi: molte cose che erano venute fuori durante la loro discussione gli erano state, appunto, confidate dallo stesso Adrien, altre le aveva intuite da solo. Era strano pure che i coniugi Renard stessero parlando con lui di cose tanto delicate e che riguardavano il loro adorato nipote – e che questi non fosse neppure presente, in quel momento.
Credono che io sia il suo ragazzo. La rivelazione giunse così spontanea e fulminea da scaldargli il sangue all'istante, si sentì arrossire e si morse la punta della lingua, distogliendo lo sguardo da entrambi. Eppure, si erano impegnati tanto, lui e Adrien, al fine di non far trapelare nulla, con i nonni, del rapporto che li legava. Anche perché non stavano insieme, non avevano messo su una relazione canonica, con chissà quali solide basi. Scopavano, E neanche questo, per adesso.
Non avevano mai discusso di un poi, di un futuro tra di loro – anche se aveva già compreso che la parola “scopare” ad Adrien non piaceva affatto.
E proprio mentre rifletteva su tutto questo, percependo gli sguardi indagatori dei coniugi su di sé, il principe dei suoi pensieri fece irruzione nella stanza. L'espressione assonnata e stropicciata, i capelli in disordine, intento a grattarsi la cute con una certa irruenza. La T-shirt che indossava si sollevò un po', seguendo i movimenti del braccio alzato, mostrando una piccola porzione di pelle di un fianco. E il sangue si fece più caldo.
Sei giorni. Sei giorni in compagnia di Adrien. Sei notti nella stessa casa, nella stessa stanza, a un letto di distanza e non poterlo toccare. È il karma, non ne dubitava. Camille doveva avergli lanciato una qualche maledizione per punirlo.
Subito Adrien venne travolto dall'irruenza materna di Julie, trascinato al tavolo, costretto ad accomodarsi, mentre davanti a lui spuntavano come funghi una tazza di latte, spremuta d'arancia, calisson e ancora altro cibo. «È troppo chiedere solo un caffè?» domandò l'uomo con voce impastata, ma con un chiaro retrogusto di sgomento.
Gli scappò l'ennesimo sorriso, mentre Julie si affrettava a servirgli il caffè con aria trafelata, come se ne valesse della sua stessa vita. E forse, pensò, è proprio così.
Fece vagare lo sguardo su marito e moglie, sul modo in cui si protendevano verso il nipote, lo guardavano, sembravano studiarne i movimenti e le espressioni. Adrien era tutta la loro vita, e capiva per quale motivo per lui fosse tanto importante non fallire. Il petto si riempì di tenerezza: gli sarebbe piaciuto poterlo aiutare, anche se non era molto ferrato con quel genere di situazioni.
«Ti va di farmi visitare il posto?» domandò, salvandolo dall'ennesimo biscotto che il nonno stava tentando di inzuppargli nel caffè, per invogliarlo a mangiare qualcosa.
Adrien allontanò la mano dell'uomo da sé e annuì più volte. «Il tempo di una doccia e scapp– ... ti porto in giro.» disse, bevve il caffè e si alzò subito dopo, suscitando in lui nuova ilarità.
Vederlo tanto in difficoltà era divertente. Adrien doveva aver intuito i perché dei suoi sorrisi e, prima di sparire verso il piano superiore, gli rivolse uno sguardo severo.
Lasciarono Yves alle cure amorevoli di Julie, che sembrò accettare di buon grado la sostituzione del nipote con l'ospite, e riuscirono a scappare subito dopo.
Ma faceva freddo. Durante la notte doveva aver nevicato ancora, le colline era traboccanti di neve, l'aria era gelida, i respiri si addensavano di continuo davanti al viso.
«Che idea geniale.» sbottò Adrien, procedendo lungo una blanda salita che sembrava scomparire oltre la linea dell'orizzonte.
«Ti ho salvato dall'ingozzamento, dovresti essermene grato.»
L'uomo rise. «È sempre così, soprattutto quando manco da casa per troppo tempo. Julie e il nonno tentano di recuperare il tempo perduto.»
«E tu?»
Adrien gli rivolse un breve sguardo, ma non rispose. Raggiunsero quello che era stato l'orizzonte, e Dorian scoprì che combaciava con il punto più alto del monte. Sotto di loro si stendeva una valle bianca, luminosa di microscopici cristalli di ghiaccio. Morbide colline, qualche albero rinsecchito nell'inverno. Un vecchio casolare diroccato e più in là, verso nord, un piccolo cimitero.
«Ecco, ora non si vede,» disse Adrien, indicando il casolare con un dito. «Ma proprio lì vicino scorre un fiume; più avanti c'è la strada che conduce su, a Gordes. D'estate è abbastanza trafficato, qui. Per quanto può esserlo una zona rurale e lontana dalla città.»
«E il casolare?»
«È un vecchio mulino. È di mio nonno. Da quando è andato in pensione, ormai è diventato soltanto una vecchia casa vuota.»
Sollevò il mento in direzione del cimitero. «I tuoi genitori...» ma si interruppe subito. Qualcosa, nell'espressione di Adrien, gli fece comprendere di essere stato indelicato.
Tuttavia, quell'emozione sul suo viso durò poco. «Sì. I miei sono là. Ma noi andiamo di qua.» aggiunse le ultime parole precipitosamente e si mosse in modo altrettanto repentino, scivolando con le suole delle scarpe sulla neve, restando in equilibrio con l'aiuto delle braccia.
Dorian lo seguì, mentre si dirigevano verso il vecchio mulino. Gli piaceva il modo in cui Adrien riusciva presto a mettere da parte i cattivi pensieri, la facilità con cui tornava a sorridere, nonostante tutti i propri tormenti. Era bello vederlo sorridere, vedere i suoi occhi brillare come quelli di un bambino, mentre raccoglieva un po' di neve, ne faceva un piccola palla, minacciava di lanciargliela addosso. Quando si rese conto di rischiare un attacco, Dorian rallentò il passo e cercò di imporre una certa distanza tra di loro. «Guarda che non mi fai paura, Renard.»
«Menomale!» gli lanciò la palla di neve e riuscì a sorprenderlo lo stesso. Adrien cominciò a correre in direzione del mulino, rischiò di scivolare un paio di volte, finché non raggiunsero la destinazione e Dorian lo afferrò per il giubbotto, con forza, per poi inchiodarlo contro una vecchia, fradicia, porta.
«Mi arrendo!»
«Prima lanci il sasso e poi nascondi la mano?»
«Possibile.» disse Adrien in un sussurro che risultò, alle sue orecchie, fin troppo morbido.
Subito dopo arrivò il bacio, accompagnato da respiri vaporosi, nasi gelidi, mani prigioniere di guanti. La porta cedette sotto il loro peso e si aprì scricchiolando. Riuscirono a scansarsi appena in tempo, la videro scivolare verso l'interno, accompagnata da un agghiacciante cigolio.
Adrien sorrise di nuovo, lo afferrò per una mano, lo condusse all'interno dell'edificio. C'era polvere, tanta, fredda, umida, che rendeva l'aria satura di particelle dal vago sentore di muffa. E c'erano degli scaffali, un vecchio tavolo, una sedia con tre piedi e mezzo. Un enorme forno di pietra riempiva un angolo della stanza; padelle e pentole di rame erano ancora appese a dei chiodi su una parete. Il tetto era in parte crollato, si scorgeva il cielo lattiginoso e cupo, che lasciava filtrare blandi squarci di luce. Una porta si apriva sulla sinistra, conducendo all'interno di un'altra stanza. Lì il tetto era rimasto integro, integri sembravano gli scaffali in acciaio, anche se su ogni cosa spiccava un dito di polvere.
«Ci facevano le nostre farine, qui.» Adrien si guardò attorno con aria assorta. «È stato qui che il nonno e Julie si sono incontrati. Lei era venuta per fargli conoscere i suoi prodotti, lui era qui,» e indicò un punto che non riuscì a individuare nella semioscurità della stanza. «È stato un colpo di fulmine.» sorrise ancora. «Qui dentro Julie mi ha insegnato le sue ricette, qui dentro ho capito che sarei voluto diventare un pasticciere. Qui dentro ho realizzato i miei primi dolci, tutto questo mentre il nonno lavorava e, ogni giorno di più, si innamorava di Julie e lei di lui.»
Si sentì arrossire per quelle rivelazioni, così intime e personali, così genuine. Gli si fece vicino, accarezzò le sue dita con le proprie, sfiorando a malapena lo spesso tessuto dei guanti. Era strano toccarlo e non sentirlo, guardare le loro dita muoversi in una lenta danza, ma non riuscire a carpire il suo calore. «La tua famiglia ti adora.»
L'uomo annuì e distolse lo sguardo da lui. Fece vagare la propria attenzione per tutto l'ambiente che li circondava, senza soffermarsi troppo a lungo su niente. «Rischio di deluderli.»
«Perché? Pensi ancora al concorso?»
«Alle conseguenze, sì.» rispose Adrien in un sussurro e serrò la presa sulla sua mano. Anche in quel caso, tuttavia, il tocco non fu pieno, ostacolato da strati di tessuto troppo spessi – e la cosa cominciava a infastidirlo. Si tolse i guanti, Adrien sgranò gli occhi e prese le sue mani tra le proprie. «Che fai?! Rischi di congelare!»
Sorrise. «Sei tenero.» fece un passo avanti, accostando il volto al suo.
Adrien sfregò con dolcezza le sue mani, ma Dorian sciolse la presa, gli accarezzò il contorno della mandibola in punta di dita. Lo baciò ancora e il sangue si fece più caldo, il desiderio più intenso. «Saprai rialzarti.» l'altro scosse la testa. «Ne sono sicuro.»
Adrien allontanò le sue mani da sé, le nascose ancora tra le proprie, vi soffiò un po' di fiato, ne baciò i polpastrelli. «Hanno fatto di tutto per permettermi di realizzare il mio sogno. Devo loro tutto. Ma...»
«Ma?» lo osservò chiudere gli occhi, accostare di nuove le labbra alle sue dita.
«Ma.» sorrise triste. «Temo che la scintilla si sia spenta.» riaprì gli occhi. «Il mio lavoro a Parigi non è più parte del sogno che mi ha spinto a trasferirmi. È diventato altro. Qualcosa che non mi aspettavo. Certo, all'inizio sono stato preso dall'entusiasmo, ma adesso che sono...» la sua voce si assopì, corrugò la fronte, poi riportò lo sguardo su di lui. «Adesso che sono caduto, che ho avuto modo di fermarmi e guardarmi intorno, mi sono reso conto che mi sento perso. Ero diventato una macchina, continuavo con ostinazione e per abitudine, senza più...» di nuovo tacque.
Dorian annuì, lo baciò piano. Lo aveva capito nello stesso istante in cui, per la prima volta, aveva assaggiato i suoi financier. A lui, forse, mancavano le parole giuste, oppure le aveva già scoperte, ma non aveva trovato abbastanza coraggio per affrontarle. Era lo stesso perché che lo portava a stupirsi dei suoi dolci, a cercare nelle sue ricette chissà quale ingrediente segreto: anche Camille si ostinava allo stesso modo.
Assistere al declino della passione di sua madre lo aveva aiutato a comprendere meglio le frustrazioni di Adrien. «Puoi ricominciare...»
«No.» lo interruppe. «Non posso mollare.»
«Non sarebbe come mollare.»
Adrien tornò a scuotere la testa. «Non posso deluderli.»
«Non credo che potresti farlo neppure volendolo. Se spiegassi loro per quali motivi...»
«Ho detto di no.» lo lasciò andare.
Sembrava una belva in gabbia, si era agitato, si muoveva a scatti, percorreva brevi percorsi avanti e indietro, allontanandosi da lui, ripiegando subito dopo verso di lui.
«Va bene.» disse dopo un po' e aprì le braccia, protese le mani in avanti. Adrien le fissò per qualche istante, poi si precipitò a riprenderle tra le proprie, a scaldarle col proprio tocco e con i suoi caldi respiri.
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