Capitolo 45.
Il soffitto della mia camera da letto aveva bisogno di una bella spolverata.
Soprattutto gli angoli, nei quali dei ragnetti avevano costruito qualche filo sottile di ragnatela.
Era quasi un'ora che tenevo lo sguardo fisso verso l'alto, perciò ero più che sicura di quel semplice fatto.
Aggrapparmi ai fatti, a tutto ciò che potevo quantificare: non potevo fare altro.
Anche i numeri aiutavano.
Sebbene alla matematica andasse il mio più completo ed incondizionato odio, dovevo ammettere che i numeri mi davano stabilità e sicurezza.
C'era un che di rassicurante nella certezza del loro incedere.
Dopo l'uno veniva il due, dopo il due veniva il tre e così via fino all'infinito.
E - cascasse il mondo - questo non sarebbe cambiato mai.
Sebbene la tapparella della finestra fosse quasi del tutto abbassata, sapevo a rigor di logica che era quasi notte.
Lucifer mi aveva trovata inginocchiata sul pavimento, con la canottiera e il volto sporchi di sangue, quando era tornato di corsa.
In seguito mi aveva tolto i vestiti e mi aveva ficcata nella doccia, per lavarmi via dal corpo le tracce di quello che avevo fatto.
Non tutto si può lavare via.
Ed io ero sporca fin dentro al midollo.
Sudicia.
Alle domande insistenti perché raccontassi che cosa fosse successo di Lucifer, non ricordavo nemmeno come avessi risposto, né se l'avessi fatto.
I ricordi, da quell'accaduto in poi, iniziavano a farsi leggermente sfocati, come se fossi stata ubriaca fradicia.
Meglio così.
L'unico dettaglio che ricordavo con chiarezza era che non avevo pianto. Non una lacrima, neanche una piccola piccola.
Non trovavo le forze nemmeno per piangere.
Due ore prima, quando Amenadiel - saputo dell'accaduto - era tornato a prendere suo figlio, mi aveva trovata nelle stesse condizioni in cui versavo adesso: spenta.
Il mio cervello si era come disconnesso da ciò che avevo fatto, decidendo di tenersi impegnato con altre inutili informazioni esterne.
Nonostante fosse piena estate, nonostante avessi addosso uno dei miei maglioni di lana più pesanti, tremavo.
Non ero sicura di avere freddo, ma quando Lucifer entrò nella stanza - facendomi sobbalzare - mi coprii con il lenzuolo.
<<Jennifer?>> mi chiamò a bassa voce.
Io girai la testa verso di lui.
Solo in quel momento notai che aveva tra le mani un vassoietto bianco decorato con alcuni fiori fucsia, sul quale era appoggiato un piatto riempito con insalata verde e qualche fettina sottile di tacchino.
<<Linda ha detto che devi mangiare>> disse, sedendosi sul letto accanto a me.
Sospirai.
Linda non poteva sapere come mi sentissi in quel momento: come un ammasso senza vita di carne, muscoli e organi interni.
Non avevo bisogno di cibo.
Scossi la testa nella sua direzione, acuendo la preoccupazione del mio interlocutore. Se lo si osservava abbastanza da vicino la si poteva vedere riflessa nei suoi occhi scuri.
<<Solo qualche boccone>> implorò.
Lo guardai davvero per la prima volta da qualche ora a quella parte: era a pezzi. Stava male per me.
Vedermi così doveva farlo stare in pena, proprio come mi sentivo io quando era lui a soffrire.
<<Va bene>> acconsentii.
Mi porse il vassoio.
Io me lo appoggiai sulle ginocchia e mangiai tutto. Fino all'ultima briciola.
Portare alla bocca, masticare, deglutire e ripetere dall'inizio. Una serie di movimenti automatici che sembravano potersi protrarre all'infinito, senza subire mutamenti di sorta.
Proprio quello che mi ci voleva.
<<Fai piano>> mi ammoni Lucifer più volte, ma io continuavo ad ingozzarmi pur non avendo fame.
Quando ebbi finito appoggiai il vassoio sul pavimento.
Mi sentivo addosso lo sguardo di Lucifer ad ogni più piccolo movimento.
<<Ti va di guardare un film? Magari Via col Vento?>>
Io scossi la testa.
Nonostante quella proposta fosse molto allettante, trattandosi del mio film preferito, non avevo i nervi abbastanza saldi per poter resistere a dei personaggi così ben concepiti.
In quel momento realizzai che il destino - o Dio, ora che sapevo tutta la verità - aveva davvero un discreto senso dell'umorismo.
Peccato che a me non facesse affatto ridere.
<<Cara?>> sentii una mano appoggiarsi sulla mia spalla e scattai.
I miei sensi immediatamente allerta, temendo che un nuovo cataclisma, ancora più tremendo di quelli che avevo dovuto affrontare fino ad allora, si abbattesse sulla mia vita.
<<Mmmh?>> feci io.
<<Allora, se non vuoi vedere la televisione, forse dovresti provare a dormire un po'>> mi suggerì, sempre molto delicato sia nel tono della voce sia nei movimenti <<A me sembra che tu ne abbia bisogno>>
<<Non posso dormire>> scossi la testa <<Sai cosa mi succederà se mi addormento>>
Temevo che - proprio com'era successo quattro anni prima - quel nuovo evento traumatico iniziasse a persegutarmi anche nei sogni e non smettesse più, intrappolandomi in un infinito loop.
<<Come vuoi>> sussurrò Luci accarezzandomi i capelli con una mano.
Mi sporsi piano fino al comodino della mia stanza sul quale era appoggiato un libro spesso, con la sponda blu consunta per tutte le volte in cui l'avevo maneggiato.
<<Me lo leggeresti, per favore?>> ma poi, vedendolo esitare, aggiunsi in fretta un <<Se vuoi>>
<<Ma certo>> affermò e mi prese il libro dalle mani con dolcezza, guardandone la copertina.
<<Il conte di Montecristo>> lesse il titolo ma decise di non commentare i miei gusti letterari, e lo aprì alla pagina dove avevo lasciato il segnalibro.
Lo appoggiò sul letto:<<"Mercedes!" Ripeté Montecristo>> lesse ad alta voce <<"Mercedes! Ebbene sì, voi avete ragione, questo nome è dolce ancora da pronunciare, ed ecco la prima volta, dopo lunghi anni, che risuona chiaro sulle mia labbra. Ah, Mercedes! Il vostro nome io l'ho pronunciato coi sospiri della malinconia, coi gemiti del dolore, colla rabbia della disperazione; l'ho pronunciato gelido per il freddo, rattrappito sulla paglia della mia cella; l'ho pronunciato divorato dal caldo, l'ho pronunciato rotolandomi sul pavimento del carcere. Mercedes, bisogna ch'io mi vendichi, perché ho sofferto per quattordici anni: per quattordici anni ho pianto, ho maledetto. Ora, io ve lo ripeto Mercedes, bisogna ch'io mi vendichi!">>
Mi lasciai cullare dal dolce suono della sua voce, cercando di non pensare a nulla se non al suono di quelle parole.
Processavo a malapena il loro significato, concentrandomi solo ed esclusivamente sulla loro cadenza ritmica.
D'altronde avevo letto quel libro talmente tante volte che, se l'avessi voluto, avrei potuto recitare tutti i dialoghi, dall'inizio alla fine.
Portai le ginocchia al petto e mi accoccolai vicino a Lucifer, che nel frattempo continuava a leggere.
Mi accorsi solo dopo qualche minuto che per la maggior parte del tempo teneva lo sguardo fisso su di me, limitandosi a dare, di tanto in tanto, delle brevi occhiate all'inchiostro stampato sulle pagine.
E poi la stanza era nella più completa penombra: sarebbe stato impossibile riuscire a leggere senza compiere un certo sforzo visivo.
<<Lo sai a memoria?>> gli chiesi, dicendomi che se mi fossi concentrata su di lui avrei per un attimo dimenticato quanto mi facessi schifo.
Lui accennò un sorriso:<<Difficile trovare un libro che io non sappia a memoria>> disse <<A patto che sia stato tradotto in lingua inglese>>
Il Diavolo poteva parlare tutte le lingue del mondo, ma non leggerle. Ricordavo che me lo aveva detto.
Mi avvicinai ancora un po' di più a lui e Lucifer mi passò un braccio intorno alle spalle, rimettendo il segnalibro al suo posto e chiudendo il libro con cura, per poi riappoggiarlo sul comodino.
Mi attirò a sé, finché non fu in grado di stringermi con entrambe le braccia, ma non smise di sussurrare dei passi dello stesso libro, che conoscevo più che bene.
Avevo paura che,
toccandomi così tanto, avrebbe finito per accorgersi dello strato invisibile eppure onnipresente di sudiciume che mi si era incollato alla pelle.
Feci un respiro profondo, tentando di mantenere la calma.
Se non fossi stata abbastanza accorta avrei finito per avere la sensazione del legno del coltellino a serramanico nella mia mano, del sangue che mi schizzava addosso, della lama che penetrava nel collo di Michael.
Nel frattempo Lucifer, ignaro del mio tormento interiore, continuava indisturbato a massaggiarmi la schiena e a citarmi dei passi de Il Conte di Montecristo a memoria.
Avrei potuto tentare di non addormentarmi. Sarei persino potuta riuscire a restare sveglia per uno, due, tre, forse anche quattro giorni.
Magari, se mi fossi messa davvero d'impegno, addirittura per una settimana.
Ma, prima o poi, avrei ceduto per forza.
Quindi perché, dopotutto, soffrire per ritardare l'inevitabile? Ora o tra qualche giorno, che cosa sarebbe cambiato?
Chiusi gli occhi, esausta, concentrandomi sul calore che il corpo di Luci passava al mio e tentando invano di non pensare ad altro.
Lucifer's Pov
Jennifer si era addormentata da pochi minuti tra le mie braccia.
Non riuscivo a convincermi a staccarle gli occhi di dosso, nemmeno per qualche decina di secondi.
Nemmeno se sapevo che ora, grazie all'amuleto che Amenadiel era andato a recuperare in paradiso, la magia di Michael non sarebbe più stata efficace su di me, o su chiunque mi fosse vicino.
La ragazza che mi stava accanto aveva già pagato un prezzo troppo alto.
Non c'era giustizia, in tutto ciò.
A chiunque osasse anche solo ipotizzare che il mondo creato da mio Padre fosse un luogo in cui ognuno otteneva quello che si meritava, avrei mostrato questa situazione.
Una ragazza umana, una ragazza che già soffre perché la vita non le ha concesso un attimo di pace, si innamora del Diavolo. Viene costretta dalle circostanze a compiere scelte che la distruggono pezzo per pezzo, viene scaraventata in situazioni orribili che lasciano un segno a fuoco nella sua anima.
E comunque si sente in dovere di stringere i denti, di essere forte per le persone che ha intorno, perché non sappiano e non arrivino neanche ad immaginare quanto stia soffrendo.
Ero arrabbiato.
Anzi no, ero furibondo.
Dov'era la tanto invocata giustizia divina, quando davvero serviva?!
Dov'era mio Padre, quando c'era bisogno di lui?!
Perché permetteva che persone che non lo meritavano soffrissero fino alla distruzione completa di loro stesse, mentre chi lo meriterebbe viveva felice la propria vita e aveva tutto ciò che voleva?!
Queste domande si rimescolavano nella mia testa. Non riuscivo a zittirle.
Guardavo il volto della ragazza che amavo e provavo una sensazione orribile: l'impotenza.
Sapevo di non poter fare granché per farla stare meglio e questo minacciava di distruggere anche me.
E se fossero tornati gli incubi?
Stava ancora soffrendo per quelli causati dalla morte della sua famiglia, ed erano già passati ben quattro anni, ed ora probabilmente avrebbe dovuto fare i conti con altri ancora.
Mi tornò in mente una frase che le avevo recitato poco prima:"Ora, io ve lo ripeto Mercedes, bisogna ch'io mi vendichi!"
Bisogna ch'io mi vendichi.
Se Michael voleva una guerra, allora era quello che avrebbe avuto.
E sarebbe stata una grande guerra, una guerra la cui fama sarebbe rieccheggiata nei millenni a seguire.
Ma per il momento dovevo pensare solo a rimanerle vicino, proprio come avevo visto fare a lei quando io ne avevo avuto bisogno.
Ed ora era lei a necessitare del mio aiuto, anche se di sicuro avrebbe negato se glielo avessi domandato direttamente.
Jennifer mugugnò nel sonno e si mosse, appoggiandomi la testa sulla spalla e abbracciandomi più stretto.
<<Shhh>> sussurrai <<Dormi, tesoro>>
Non sapevo se mi sentisse, ma tanto valeva provare.
Una volta assicurato che si fosse calmata, il mio pensiero tornò alla sua sicurezza.
Se fosse scoppiata una guerra - cosa praticamente certa, ormai - l'avrei messa più in pericolo di quanto non lo fosse mai stata.
Così come avrei messo in pericolo la Detective e la sua prole, ed Ella, e Eve e anche il detective Stronzo.
Tutti quegli umani avrebbero rischiato la vita, trascinati in eventi di portata cosmica che probabilmente non avrebbero potuto comprendere del tutto.
Tenevo a quelle persone, non potevo permettere che si facessero male.
Ma più di tutto tenevo alla ragazza che stava dormendo abbracciata a me, e - mio Padre mi era testimone - avrei fatto tutto ciò che era in mio potere per evitare che le succedesse qualcosa.
Ero pronto a tutto, ero determinato.
Un lontano eco mi riecheggiò in mente: quello dell'adrenalina, della scarica di adrenalina che avevo sperimentato nei giorni immediatamente precedenti alla ribellione che avevo guidato contro mio Padre.
La sentii chiaramente che mi pervadeva l'intero corpo, dalle punte dei piedi a quelle delle ali e poi su, fino ai capelli.
In quel preciso istante mi sentii invincibile.
Per la prima volta in millenni mi sentivo davvero imbattibile ed invulnerabile a qualunque colpo mi sarebbe stato inferto.
Quando avevo dato inizio alla mia ribellione l'avevo fatto per egoismo, principalmente.
Se il mio intento fosse andato a buon fine tutti gli angeli ne avrebbero beneficiato, ma la ragione per cui avevo scatenato una guerra era un'altra, egocentrica: la mia felicità.
Ora, invece, se avrei combattuto l'avrei fatto per le persone che amavo, perché potessero avere la vita felice che desideravano e meritavano.
Quella consapevolezza mi lasciò attonito a fissare il soffitto bianco della camera da letto di Jennifer.
Rimasi così per un po', con lei che mi dormiva addosso e con mio grande piacere sembrava tranquilla, poi il mio cellulare vibrò dalla tasca posteriore dei miei pantaloni.
Una chiamata.
Controllai chi fosse e risposi.
<<Pronto, Maze?>> sussurravo più piano che potevo nella speranza che bastasse per non svegliare Jennifer, visto che non potevo spostarmi, né tantomeno volevo farlo.
<<Ciao, Luci. Tuo fratello ha chiamato e mi ha raccontato quello che è successo>> anche il demone parlava a bassa voce <<Come sta la mia partner?>>
<<Come vuoi che stia, Mazikeen?>> le rivolsi una breve occhiata, e respirava ancora tranquillamente appoggiata al mio petto <<Ma è molto forte: supererà di sicuro anche questa. Che mi dici di Eve, invece? >>
<<Sta dormendo da quando siamo arrivate qui. Sai, dopo lo spavento che ha preso era esausta... Ma si riprenderà>>
Sospirai, sentendomi in colpa perché non ci eravamo ancora riappacificati io e lei:<<Mi dispiace che ti abbia lasciato, Maze. Stai dimostrando molto coraggio nel prenderti cura di lei nonostante il modo in cui ti ha trattata>>
<<Oh, immagino che Jennifer non tel'abbia detto, ma Eve mi ha spiegato che è stato Michael a scrivermi con il suo cellulare fingendosi lei>>
Mi immaginai mio fratello gemello, il potentissimo arcangelo, che faceva catfishing su Whattsapp, e mi venne da ridere a quel pensiero.
Sarebbe stata un'immagine divertente con cui baloccarmi, se solo quello stesso arcangelo non fosse stato così determinato a rovinarmi la vita.
<<Sono contento per te, allora>> deglutii <<Te lo meriti>> aggiunsi.
All'altro capo del cellulare seguì qualche momento di silenzio, poi un demone molto sorpreso mormorò un <<grazie>> a fior di labbra.
Mi schiarii la voce:<<Comunque per quanto avete intenzione di rimanere nel vostro nascondiglio segreto, tu e Eve?>>
Era il guerriero migliore che conoscessi, ed avevo come l'impressione che avrei avuto bisogno di lei nell'immediato futuro.
<<Almeno finché non si sarà svegliata e avrà mangiato un po', poi ci incontreremo e decideremo il da farsi. Non preoccuparti, Lucifer: Amenadiel ha recuperato un amuleto dal paradiso anche per me ed Eve e me lo ha lasciato al Lux, perciò presto sarò immune ai poteri di quel bastardo del tuo gemello e potrò farlo a pezzi con comodo>>
<<Allora ci conto?>>
<<Dovresti sapere che puoi contare su di me, Lucifer. Anche se mi tratti di merda e mi nascondi le cose, io ci sarò sempre quando avrai bisogno di una che ti salvi il culo>>
Aggrottai le sopracciglia e trattenni il respiro, come folgorato da quelle parole:<<Stai attenta Maze, capito?>> le dissi <<Non vorrei proprio perdere la mia... Più fidata confidente>> e chiusi la chiamata.
Ero stato persino sul punto di lasciarmi andare ad un più sdolcinato "unica amica", ma, dopo la freddezza che le avevo riservato, non mi sembrava il caso di esagerare tutto in una volta con le dichiarazioni d'affetto nei suoi confronti.
Nel caso in cui avessi iniziato a dirle quanto le volessi bene, avrebbe di sicuro creduto che fossi sotto l'effetto di acidi.
Avevo appena rimesso il cellulare in tasca, che quello vibrò di nuovo.
Sbuffai, rispondendo al numero di cellulare di mio fratello Amenadiel:<<Sì?>> gli dissi.
<<Luci, mi senti?!>> esclamò, per sovrastare il frastuono che lo circondava dall'altro capo del cellulare.
<<Sì>> ripetei, attento a non alzare la voce <<Ma dove sei, fratello? Sento una gran confusione! Non dovevi stare con Linda?>>
<<È stata indetta una riunione celestiale a casa mia senza che io lo sapessi, a quanto pare, perché sono quasi tutti qui. A parte Michael, è ovvio>>
<<Caspita!>> commentai io, incredulo. Erano millenni che i miei fratelli non si riunivano tutti nello stesso posto.
<<È richiesta la tua presenza>> disse, ma poi si corresse <<La vostra presenza, in realtà>>
Oh santo Papà pensai, Scommetto che domani l'Inferno congela.
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