Prologo
Febbraio 2015
Sveva sedeva accanto a quel lettino, affranta. La stanza era fredda, senza mobilio e suppellettili che l'abbellissero in particolare. C'era l'essenziale: quello che si addice a un ospedale. Un tavolino di ferro era posizionato di fianco a un lettino dalle sponde alte e solide. Opposto al letto spiccava un armadietto grigio in lamiera, di quelli che si possono facilmente trovare nelle palestre o più in generale negli impianti sportivi.
Anonimo, adornava la parete bianca, altrimenti spoglia, su cui si appoggiava, e come tale sarebbe passato, se non fosse stato per quella nota di colore aggiunta dalla moltitudine dei bigliettini attaccati a entrambe le antine dell'armadio. C'erano dediche di ogni tipo, accompagnate da disegni colorati: le figure tracciate dai bambini, quelle che nella loro semplicità ti disarmano per l'obiettiva spontaneità.
Sveva era lì, sicura che in quel momento non avrebbe voluto essere in nessun altro luogo se non accanto alla sua bambina. Il viso smunto e incredibilmente pallido non bastava ad annullare la sua intramontabile bellezza. Era una donna bella, Sveva, e il tempo le aveva regalato sul volto una nota di maturità. Una leggera discromia nell'incarnato chiaro le dava tuttavia quell'aria di eterna ragazza.
Lo sguardo fisso fuori dalla finestra la teneva attaccata a quell'ultimo briciolo di speranza: che potesse tutto tornare com'era stato un tempo. Vedeva cadere le foglie dagli alberi del parco antistante la struttura ospedaliera. Senza nemmeno rendersene conto, si sorprese a contarle. Assopita com'era nei suoi pensieri, non si accorse di quella voce che pazientemente la richiamava alla realtà.
«Signora, signora, mi spiace dirglielo ma purtroppo l'orario di visita è terminato e a breve passerà il dottore nelle corsie per controllare i pazienti». Era l' infermiera, Germana. In quell'ultimo anno aveva imparato a conoscerla bene: sempre così attenta e premurosa con lei e la sua bambina. Ormai era davvero diventata una figura famigliare e, a giudicare dalle pacche che spesso quella ragazza di poche parole le aveva dato nei momenti più difficili, quel sentimento di stima e di affetto doveva essere senz'altro contraccambiato.
Avrebbe voluto restare ancora lì, accanto alla sua piccola creatura, ma le regole erano regole e come tali andavano rispettate.
«Certo, ha ragione, non mi ero accorta dell'orario», si affrettò a rispondere.
Sistemò con estrema cura le lenzuola del lettino in cui giaceva inerme la piccola Francesca. Le diede un bacio sulla fronte e si alzò. Lei che aveva sempre calcolato con estrema puntualità tutta la sua vita, programmando ogni singola uscita, ogni singolo avvenimento, ora si trovava a scusarsi e a giustificarsi, e quello ormai non era che uno dei tanti episodi in cui questo accadeva.
Ebbe a prendere uno specchietto dalla borsetta per darsi una veloce sistemata prima della dipartita e in quell'istante, proprio in quell'attimo, ebbe la sensazione di aver vissuto già una simile situazione e la sua mente ritornò indietro, a vagare nei ricordi, e le ritornò in mente quel giorno, quando incontrò Marco. Pensò alla sua vita coniugale o perlomeno a quello che aveva significato per lei un tempo. Pensò al suo Marco, a quanto dovette aver sofferto per quella situazione, e d'un tratto si rese conto, come se fino ad allora qualcosa o qualcuno glielo avesse impedito, di quanto il dolore l'avesse accecata e resa egoista.
Contava solo quello, il suo di dolore, nient'altro. E intanto ebbe la sensazione di aver fallito in ogni campo della sua esistenza. Sentì come un buco nello stomaco e una improrogabile esigenza di riparare a quegli errori. Si convinse che non poteva finire così, che senz'altro Francesca si sarebbe svegliata, che quell'incubo sarebbe terminato e che lei avrebbe ripreso in mano tutta la sua vita. Soltanto un po' di pazienza e tutto sarebbe ritornato come prima. Mentre attraversava i corridoi si fece coraggio e si disse, decisa, che lo doveva alla sua bambina e a se stessa, questa era una promessa. Non doveva arrendersi. Un sorriso compiaciuto le apparve in volto. Ora il sole, apparendo timidamente dietro le nuvole, aveva dato un nuovo volto alla giornata. Le chiome punteggiate di bianco di una splendida magnolia, ballando al vento, sembravano salutarla felice. Un futuro radioso adesso l'attendeva, ne era sicura.
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