5 Marco: Una Vera Scoperta
Aprile 2004
Quella mattina Sveva non doveva recarsi all'oasi e aveva preso appuntamento con Attanasio, Marco e Fabio per fare un giro a Orbetello e possibilmente una passeggiata al mare. Successivamente la nuova comitiva si sarebbe recata a pranzare da qualche parte nel grossetano. Certo i quattro amici avrebbero dovuto percorrere un'oretta in macchina ma, essendo una bella giornata, ne sarebbe valsa la pena.
In quell'ultimo periodo i ragazzi avevano avuto modo di frequentarsi abbastanza, essendosi trattenuti Marco ed Attanasio per ben tre settimane di seguito a Pisa, per questioni di lavoro.
L'appuntamento era stato preso a Orbetello. Marco ed Attanasio sarebbero dovuti andare a prendere Sveva e poi in macchina avrebbero dovuto incontrarsi a metà percorso con Fabio. Tuttavia quella mattina si presentò all'appuntamento soltanto Marco.
«Forza, salta su!» le disse con un sorriso smagliante, sporgendosi dal finestrino. Sveva fu sorpresa di vederlo solo e non riuscì a nascondere il suo stupore. «Dov'è finito Attanasio?» gli fece con aria meravigliata, aggiungendo: «Non doveva venire con noi?»
Marco spiegò che l'amico non era molto in forma e che aveva preferito restare in albergo dato che l'indomani sarebbero dovuti rientrare a Parma.
Sveva entrò in macchina e per la prima volta da quando lo aveva conosciuto si sentí imbarazzata. Erano così vicini...
Poteva sentire il suo profumo e persino il suo respiro nei momenti di silenzio. Marco portava gli occhiali da sole e il suo stile dandy e giovanile gli conferiva un'aria fresca e spensierata.
Indossava una camicia con un ascot annodato al collo e un paio di jeans scuri. La ragazza ne era completamente rapita. Osservava con attenzione i suoi movimenti veloci nel cambiare le marce e il suo sguardo serio ma allo stesso tempo rassicurante. Spesso l'uomo si voltava a guardarla, quasi a volersi accertare che stesse bene. Alle volte canticchiava sottovoce una canzone, come se lei non ci fosse.
«Allora?» disse lui girandosi ancora una volta verso di lei. «Dove mi porti oggi?»
Fu sorpresa dal tono di voce così gentile e nello stesso tempo confidenziale. Provò uno strano affetto per lui e la cosa la colse impreparata. Quel giovane era così amabile, simpatico, che lo avrebbe addirittura baciato sulla guancia.
Un bacio fraterno, si disse. «Quindi?» incalzò Marco. Quella sua insistenza la fece arrossire. «Andiamo da Fabio, ricordi?» fece lei sorridendo. «E se ci dimenticassimo di lui?» continuò ancora Marco. Sveva per un attimo non seppe cosa rispondere, anche perché non aveva capito se Marco stesse scherzando e a cosa mirasse con quelle domande. E il suo imbarazzo sarebbe cresciuto probabilmente ancora di più se quel silenzio non fosse stato interrotto dal trillare del telefono. Era Fabio. Non sarebbe venuto.
Asha, il suo pastore tedesco, stava male. Era molto provato. Sveva ne fu molto dispiaciuta. Aveva visto più volte quel cagnone e sapeva quanto Fabio vi fosse legato. Addolorata, non riuscì a trattenere le lacrime. Dovette riferire a Marco il motivo della telefonata. Si fermarono con l'auto lungo i margini di una strada. «Scusami, non volevo rovinare questa giornata, mi vergogno... sono incorreggibile, io... non volevo.»
Marco le porse un fazzoletto di carta chiedendole se volesse scendere a prendere una boccata d'aria. Lo fecero e s'infilarono in un sentiero che dalla strada portava verso la campagna. «Vedi, era proprio destino che oggi dovessimo restare da soli, io e te...»
Sorrise e fece quasi il gesto di abbracciarla.
Poi ritrasse subito il braccio per non sembrare probabilmente troppo intimo. Voleva soltanto sdrammatizzare. Il disagio iniziale via via che camminavano si sciolse e anche la tristezza andò via. Scherzarono molto lungo tutto il percorso e, senza volerlo, si resero conto di essersi allontanati anche troppo dalla macchina. A quel punto decisero di tornare indietro. Durante la camminata lei gli raccontò dei suoi studi, della disapprovazione iniziale dei genitori che avrebbero voluto che studiasse medicina, della sua voglia di andare all'isola d'Elba, dell'amore per gli animali.
«La cosa meravigliosa è che gli animali sono come degli angeli: senza peccato. Loro non serbano rancore, non c'è cattiveria in loro, ma ti amano indiscriminatamente.»
Assentí, Marco, e Sveva si accorse che per la prima volta, amiche a parte, c'era qualcuno che l'ascoltava e la capiva davvero... o almeno questa era l'impressione che quel ragazzo le dava.
Fu una bella percezione. Eccetto qualche storiella insignificante, Sveva non aveva mai avuto nessun fidanzato o confidente. Con Fabio parlava, ma erano talmente differenti... Poi Fabio era talmente preso dal suo ego da essere più interessato a parlare di sé piuttosto che ad ascoltare e comprendere gli altri. Era molto meticoloso, preciso, questo sì, ma, oltre a parlare con lui d'inanellare folaghe, germani reali o altro, non era possibile intrattenere un dialogo normale. Erano davvero diverse e distanti come persone.
Con Marco invece aveva la sensazione di conoscerlo da sempre. Giunti alla macchina, Sveva fece immediatamente una telefonata. In seguito, finita la conversazione, sorridendo lo esortò: «Seguimi, ora so dove condurti!»
Fecero prima un giro in spiaggia presso le Dune di Feniglia, dopo aver attraversato la pineta. Sveva voleva prendere tempo per permettere all'amica di riordinare casa. Era da tanto che Betta insisteva nell'invitarla a pranzo.
Sarebbe passata da lei con Marco, senza dirle di lui; non era il tipo che si formalizzava e non ci avrebbe fatto neanche caso.
«Sai, è umido... e vedere la spiaggia vuota mi ha messo un po' di tristezza.»
Lui le porse il maglione di cotone pesante che aveva poggiato sulle spalle e ancora una volta ebbe modo di sentire il suo profumo; tutto il suo maglione ne era intriso.
«Ma quindi dove andiamo?» chiese lui incuriosito.
Allora gli disse di Betta, delle sue intenzioni di andarla a trovare, della passione che aveva per la natura, della forza d'animo della sua amica nel riprendere gli studi nonostante il bambino, e lui le parlò, di contro, di Attanasio, di come fossero legati, delle incomprensioni che si erano create tra loro dopo che lui ebbe concluso il suo rapporto con la sorella Virginia, della loro vita a Durham e del lavoro che finalmente era arrivato.
Trascorsero tutto il pomeriggio, dopo un pranzo frugale ma gustoso, in giardino, a chiacchierare. In realtà la Betta si sorprese molto nel vederla arrivare con Marco. Sveva non le aveva mai parlato di lui - e del resto come poteva? Era lì a Pisa da sole due settimane. Spesso durante e dopo il pranzo l'amica le aveva lanciato delle occhiate, sperando di avere di ritorno qualche commento, qualche scoop su quel ragazzo.
Niente. Sveva non si espresse mai. Eppure sembrava felice e stupefatta, anche un po' orgogliosa dal come Marco si fosse intrattenuto con loro e del suo essere così disinvolto nell'intrattenere quel bambino. Aveva un vero talento. Lo prendeva, lo faceva volare in alto, giocava con le sue manine. Lorenzo ne era rapito. Anche questa era una vera scoperta. Quante cose doveva ancora capire di quel ragazzo?
Si accomiatarono. Betta era davvero felice per il pomeriggio trascorso. «Grazie Marco, per aver accompagnato questa secchiona della mia amica. Se non ci fossi stato tu, chissà quando l'avrei rivista!»
A quelle parole l'uomo sorrise, alzando il sopracciglio destro e lanciando a Sveva un'occhiata disarmante che le fece sussultare il cuore.
«Dovere», disse, mentre si apprestava ad accarezzare la testolina del piccoletto che, felice, continuava a gravitargli attorno.
«Sai, non lo dico per dire, abbiamo passato un pomeriggio davvero spensierato. Sono davvero contenta di averti conosciuto e spero che avremo occasione d'incontrarci ancora. Erano mesi che io e Sveva non riuscivamo a parlare così tanto bene insieme. Grazie per aver fatto divertire Lorenzo e spero che non ti abbia fatto stancare troppo.» «Figurati...» rispose Marco abbassando il capo e accarezzandosi la nuca, per stemperare l'imbarazzo.
«Noi ci siamo divertiti tanto, vero campione?»
Ma il piccino, soddisfatto ma stremato, si era adagiato su una piccola sedia, barcollando con il corpicino, ormai in dormiveglia.
«Voi due restate lì, non vi muovete! Ho da dirvi una cosa», ebbe il tempo di dire Betta, prendendo amorevolmente il bambino e scomparendo nella casa. Sveva, mani in tasca, fece un lungo respiro, un po' a disagio e confusa. Betta ritornò pochi istanti dopo, giusto il tempo di sistemare il piccolino nella sua culletta. «Ci tenevo a dirvi che sto preparando la tesi di laurea e che a giugno la discuterò.»
«Noo... Non ci credo.»
Seguirono abbracci, risate, complimenti sinceri.
«Ci terrei che venissi anche tu Marco. Il piccolo sarebbe contento, ma giuro», rise, «per i festeggiamenti prenderei una babysitter. Poi sarebbe l'occasione per presentarti mio marito Maurizio.»
Marco fu lusingato da quell'invito ma anche imbarazzato.
«Mi farebbe davvero piacere. Non conosco i miei impegni di giugno - forse sarò in Carolina - ma se per quella data dovessi essere libero, ti assicuro che non mancherò di venire.»
Questa volta si congedarono definitivamente.
Per rientrare utilizzarono la macchina di Attanasio. Il viaggio sembrò brevissimo. Per l'ultimo pezzo tennero il tetto della cabriolet completamente abbassato. Era piacevole sentire il vento caldo sulla pelle. Ascoltavano "The sound of silence". Non ci furono parole. Non c'era un motivo. Sveva guardava il mare, il suo luccichio. Le onde che s'infrangevano sugli scogli producevano una schiuma biancastra. Sentiva vibrare la sua borsa vicino ai piedi. Tuttavia non la mosse: quelle vibrazioni, il rumore del vento e la musica si erano condensati nella sua anima. Era tutto perfetto, tutto, ma purtroppo finì presto.
«Giunti!» sembrò riemergere da un'altro mondo Marco. Ogni tanto durante il viaggio arrivarono delle telefonate che lui buttò giù con un movimento rapido e stizzito della mano, senza commentare, quasi infastidito.
«Allora...» iniziò Sveva.
«Allora credo», la interruppe Marco, «che sarebbe bello salutarci per bene domani. Attanasio sarà senz'altro d'accordo. Il mio treno parte dalla stazione alle 16.00, avremmo tutto il tempo di pranzare e salutarci. Attanasio farà un salto da un suo zio, per cui almeno per domani i nostri percorsi si divideranno.»
Avrebbe voluto dirgli, Sveva, che era stata bene, ma le parole sembravano non voler uscire. Marco si avvicinò e con dolcezza le tolse qualcosa tra i capelli. Un trillo, l'ennesimo, interruppe quel momento. «Ciao piccolina!»
Si avviò verso la macchina, affrettandosi a rispondere mentre saliva a bordo dell'auto rimasta ancora accesa. "Piccolina". L'aveva chiamata così. Trasognante si apprestó a rientrare a casa. Si sentiva coccolata da quelle parole. Inebetita.
Lei stessa faceva fatica a spiegarsi cosa le stesse succedendo. Il rumore dei merli le sembrava piu forte, come se gli ultimi avvenimenti avessero amplificato le sue percezioni. Dopo aver preso un gelato dal freezer, si lasciò cadere sul divano. Mandava giù quella leccornia senza farci caso.
Le tornavano in mente le immagini di Marco, ferme come in un fotogramma. Lui che giocava, che le sorrideva. Ma come aveva fatto a non capire che era bellissimo? Era davvero bello. La sua voce, il suo modo di fare, così discreto, così dolce. Cosa sarebbe successo dopo che Marco sarebbe partito? Lo avrebbe perso? Doveva fare qualcosa: ma cosa? Si sentí morire dentro.
Passò tutta la serata a parlare con i suoi del pomeriggio trascorso con la Betta, ma ogni tre per due spuntava immancabilmente il nome di Marco tra le sue rievocazioni. Marco che l'aveva accompagnata, Marco che era stato invitato alla laurea di Elisabetta...sempre Marco.
La mamma era sorpresa da tutta quell'euforia e più volte nell'apparecchiare si fermò a scrutarla, domandandosi se avesse mai sentito parlare di questo ragazzo o se la figlia avesse omesso di dirle qualcosa. Ma si sa, alle mamme non sfugge mai nulla e non le ci volle molto per capire che quel miracolo, che l'aveva sorpresa tanti anni prima, adesso aveva probabilmente toccato anche le corde più intime della sua bambina.
Qualcosa vibrava dentro di lei: la sua voce era entusiasta, continuava a parlare senza sosta. Così, senza che ci fosse un nesso, asciugandosi le mani sul grembiule che indossava, disse: «Sai, tuo papà metteva sempre delle canzoni bellissime sul giradischi, perché io le sentissi dall'altra parte del palazzo.»
Sveva fermò il suo racconto, incerta se chiedere spiegazioni o proseguire indifferente nella sua narrazione.
«Era così audace e perseverante. Ogni mattina, alla stessa ora, la solita musica. Poi si affacciava, speranzoso... finché un giorno anche io decisi di assecondarlo.»
Poi, proseguì, ridendo e guardando il padre.
«Nessuno mi aveva corteggiato con così tanta costanza e delicatezza. Per questo pensai d'incoraggiarlo...»
Quella notte Sveva continuava a girarsi e rigirarsi nel suo giaciglio. Pensava a Marco, di come le piacesse il suo profilo, il suo profumo. Stringeva a sé il maglione che aveva dimenticato di riconsegnargli. Nell'oscurità ripercorse ogni suo singolo movimento, ogni suo gesto. E che dire del suo sorriso? Oh com'era bello.. così pieno di vita! Quando rideva lo faceva così di gusto da trasparire tutto il suo amore per la vita.
E cosa dire delle parole che usava nell'apprezzare la natura, le persone? Forse, si convinse, lo aveva amato da subito, sin da quella singolare apparizione tra i canneti, lungo la laguna. Forse avrebbe dovuto dirgli qualcosa prima della partenza. Cosa voleva dire la mamma con quella frase durante la cena? Spronarla ad incoraggiare Marco? Era giusto rivelarsi in qualche modo, rendere evidenti o lasciar trasparire i propri sentimenti?
Nel buio regnava l'incertezza.
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