45 Verità confinate
Non fu semplice per Betta digerire una realtà così complicata. Era quella che le aveva raccontato Marco, una storia ancora incomprensibile, non almeno del tutto, che richiedeva un grandissimo sforzo da parte sua per non esplodere, e che l'aveva resa quasi fragile, barcollante. Si sentiva sola, Betta, abbandonata, grigia, sporca, pronta a essere catapultata in un vortice di bugie e menzogne, delle quali, forse, avrebbe fatto a meno. Eppure questo era il prezzo che avrebbe pagato a fronte di una verità talmente scomoda: mentire alla sua amica, recitare una vita che non era più vera.
«Benedetto quindi è figlio tuo e...» indugiò un attimo, poi riprese, «figlio tuo e di Marta?»
«Sì», disse Marco, annuendo.
«Capisco», riuscì a dire Betta.
«E come hai potuto tenerti dentro, per tutti questi anni, un fatto del genere? Come hai potuto abbandonare quella creatura lì, in un convento? Perché è quello che hai fatto! Te ne rendi conto?»
A quelle parole Marta fu colta da un fremito incontenibile. Ogni tentativo di ragionevole autocontrollo fu annullato dall'ansia, dalla paura. Si alzò d'un tratto, pronta ad essere lapidata, smantellata, fino a vedere i suoi resti gettati in un ossario. Perché era quello che meritava, lo sapeva. Si guardò i piedi, stringendosi in un abbraccio, per proteggersi da se stessa e dal giudizio di Betta. Ma non le importava più: aveva espiato i suoi peccati in tutti quegli anni di rimorsi, di rimpianti...
Il dolore l'aveva lacerata, consumata e fuggire da Parma, da Marco, abbandonando Benedetto, non era servito a nulla. Avrebbe continuato a soffrire e a essere non compresa, ma quello che adesso le stava più a cuore era la salute e il benessere di Benedetto e la felicità di Marco. Ci era arrivata in ritardo, ma lo aveva capito.
«Marco è estraneo a tutta questa vicenda, lui non ha colpe: è solo una vittima delle mie insicurezze. Sono io la responsabile di tutto, l'unica colpevole di questo crimine. Ho lasciato io Benedetto da solo, esattamente quel giorno in cui è stato concepito... lui era già solo, anche se cresceva dentro di me, anche se era parte di me.»
«E tu Marco perché glielo hai permesso? Ma soprattutto cosa c'entra Sveva con tutta questa storia?»
«Vedi», disse Marta gettandosi su un divano, sconfitta, delusa ancora una volta da se stessa, «lui non ha potuto nulla perché non sapeva nulla», disse piangendo
«Perché non vai a casa?» le disse Marco preoccupato.
«Finirò io qui.»
Betta osservava di nuovo, in religioso silenzio, ma proprio non riusciva a capire come quell'uomo, Marco, potesse essere così tanto comprensivo e premuroso con una donna così tanto spregevole. Perché non poteva non essere definita tale una che aveva avuto il coraggio di abbandonare il figlio appena nato, rifiutandolo ancor prima che mettesse piede nel mondo. Non c'erano motivi che avrebbero potuto giustificare un gesto così disumano, così spietato: rinunciare al proprio bambino, condannandolo a una vita di solitudine, di interrogativi, d'incertezze.
Ora capiva cosa vedeva Sveva in quegli occhi: il suo Marco.
«È giusto che io paghi anche con questo», disse Marta, «l'odio, l'incomprensione da parte degli altri.»
«Marco non sapeva nulla, della nascita di Benedetto, della gravidanza portata a termine, fino a quando, per via delle condizioni mediche di nostro figlio, non sono stata costretta, qualche mese fa, a rivelargli questa triste realtà. Non avevo più abortito, il bambino era nato, ma non lo avevo tenuto con me. Ma l'avrei fatto, prima o poi... io.»
«Certo, in fondo sono passati solo dieci anni o poco più», disse Betta pungente.
«E così, dopo aver fatto i tuoi sporchi comodi, sei spuntata dal nulla a rovinare la vita degli altri e te ne stai lì a piangere, versando qualche lacrimuccia e implorando pietà. Ma se credi di averla da me, ti sbagli. Non avrai la mia comprensione, mai!» continuò inferocita.
Dopo quelle parole, gli ultimi rimasugli di coraggio furono accantonati e quel dolore tornò prepotentemente, e con esso l'incapacità di affrontare quella situazione.
«Non riesco, non posso... » disse Marta, fuggendo via.
Avrebbe avuto sicuramente conforto da Marco, se quest'ultimo non fosse stato fermato, letteralmente bloccato da Betta.
«Lasciala stare, lascia che vada pure.»
«Perché sei stata così crudele con lei?» chiese Marco, incredulo.
«E tu perché così tanto indulgente?»
«Tu non la conosci, non sai cosa ha passato...» cercò di difenderla, ma invano.
«Sinceramente non mi interessa. Qualunque cosa abbia passato, non potrebbe giustificare un atto così ignobile», disse Betta, facendolo desistere da ogni tipo di spiegazione.
L'uomo aveva ormai compreso che sarebbe stato inutile, nulla le avrebbe fatto cambiare idea: Betta sarebbe restata ferma sulla sua posizione. Marta aveva sbagliato, sempre e comunque. Raccontarle che aveva avuto una vita difficile, che era stata abbandonata, che il pensiero di non riuscire come madre l'aveva tormentata, non sarebbe servito. Era già stata condannata.
Stette lì immobile, dietro la finestra, per un attimo, finché quella donna, ora madre di suo figlio, non scomparve dalla sua vista.
«So che non è affar mio, ma rispondimi in tutta franchezza: hai intenzione di ritornare con lei?» chiese la riccia all'improvviso, lasciando il medico senza parole.
«Noo, no», si mise le mani tra i capelli, dispiaciuto di non aver seguito la psicologa, ma sopratutto turbato da tutta quella situazione.
«Come ti viene in mente?»
«Beh, non è poi tanto difficile da capire. Ti trovo qui con lei, a quest'ora. Vengo a conoscenza dell'esistenza di un figlio. Dimmelo tu se non ho ragione di credere questo?»
«Già», disse Marco sempre meno lucido.
Si versò dell'altro liquore.
«Dimmi dell'incidente. Sveva sapeva di Benedetto?»
«No, non sapeva nulla. Io stesso ne ero stato messo a conoscenza soltanto qualche mese prima. Non ti nascondo come la notizia mi avesse sconvolto. Ero sempre più assente. Ci ho messo un po' a riprendermi.»
«Immagino», lo interruppe Betta.
«Sveva aveva intuito che qualcosa mi turbava e aveva tentato di parlare, ma dovevo fare ancora tanta chiarezza dentro di me e così ho sempre evitato qualsiasi discorso, imputando ogni mio turbamento al lavoro. Non dormivo più, sono stato davvero male, fino a quando la parola accettazione e perdono hanno iniziato a far parte della mia vita.»
«Perdono?»
«Sì, proprio così, perdono», rispose Marco.
«Ho perdonato Marta, e ti assicuro che non è stato facile, e ho accolto nel mio cuore Benedetto, un ragazzo dolcissimo, ma così tanto pieno di paure e di dubbi. Ed è avvenuto naturalmente, senza forzature, con estrema spontaneità. È stato amore a prima vista per me e anche per Francesca: non ci abbiamo messo tanto a legarci a lui.»
«Hai detto Francesca. Lei sapeva?»
«È stato tutto molto graduale. Francesca aveva la stessa passione di suo fratello: la musica l'avevano nel sangue, entrambi. Benedetto, dovevi sentirlo quando cantava! Era un usignolo. Così tanto piccolo e così tanto grande dentro. Seppi che anche lui suonava e che era seguito in convento da un grande maestro. Così i due ragazzi suonavano spesso insieme. Ti assicuro, quello che non ha avuto da sua madre, Benedetto l'ha avuto da sua zia.»
«Sua zia?»
«Zia suora, come la chiamava lui.»
«No, non dirmi che...»
«E invece sì. Suor Caterina è la sorella della mamma di Marta. Il bimbo è stato affidato a lei, meno male; l'unico risvolto positivo di questa storia.»
Betta era sempre più confusa.
«Ma se non vuoi ritornare da... insomma, con quella donna, perché tu...»
«Perché non sono con Sveva? È questo che mi vuoi chiedere? Vedi, io la amo più di me stesso, a tal punto da aver sacrificato la mia vita, la mia felicità per lei.»
«No Marco, no», disse Betta tappandosi le orecchie. «Io non capisco più nulla. Una persona che ama non abbandona la propria donna. Lo comprendi questo?»
«Vedi, è stata lei a spingere quel giorno Francesca giù dalla montagna. È stata lei, Sveva. Io non l'ho mai abbandonata, credimi. Mai... Ma, ripeto, è come se l'avessi spinta io Francesca, con le mie scelte sbagliate, per tante cose. Ho deciso di rivelare la verità nel peggiore dei modi, nel momento meno opportuno... Se solo avessi parlato a tu per tu con lei, se solo...»
Quelle parole le arrivarono come pugnalate al cuore, trafiggendola completamente. Le crepe, nel mondo di Sveva, si erano aperte sempre di più e il rischio di caderci dentro era davvero grande. Marco aveva aperto le porte di quel posto, confinato in una piccola parte di Sveva, in un piccolo angolino della sua mente. Betta si sentì sprofondare.
Sveva aveva fatto del male a sua figlia?
Non c'era ragione di credere a un simile fatto. Si versò anche lei un po' di quel liquido in un bicchiere di cristallo, sperando che le desse tutta la forza di cui aveva bisogno per continuare ad ascoltare.
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