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3 L'incontro Con Marco

Aprile 2004.

Sul limitare del canneto, dove la vegetazione palustre e la salicornia cedevano lo spazio all'acqua salmastra, era accovacciata Sveva, sperando di fare qualche fortunato avvistamento per concludere in bellezza la giornata. In quel particolare periodo dell'anno, infatti, la vita nell'oasi era molto vivace, data la presenza di moltissime specie di volatili. C'erano mestoloni, germani reali, alzavole, folaghe, con pulcini già nati, cinciallegre e spesso molte di queste specie erano impegnate nelle parate nuziali.

Bastava aguzzare lo sguardo per avvistare qualche piccolo animale selvatico. Quell'oasi era un vero e proprio museo a cielo aperto. Il canto degli uccelli, il volo improvviso di un fagiano, i fruscii, i gracidii gutturali e lo scroscio dell'acqua corrente riempivano i silenzi di quell'aria umida e fredda rendendo quel posto unico; un'orchestra improvvisata di suoni meravigliosi. Sveva aveva già avvistato qualche martin pescatore ed era anche riuscita a fare delle bellissime foto.

Tuttavia, sebbene non fosse nuova all'osservazione di quelle acrobazie, la sua meraviglia si rinnovava ogni volta dinanzi alla velocità con cui quel piccolo uccellino dal becco lungo era in grado di fendere l'aria rimanendo a lungo a pelo d'acqua. Ma lei adesso mirava a ben altro. Eppure nulla. Da tempo era stato segnalato, infatti, dagli esperti un evento ritenuto a dir poco eccezionale: dopo circa duecento anni di assenza erano tornate a nidificare le cicogne bianche nell'Alta Maremma e lei voleva avere il privilegio di immortalare qualcuno di quegli esemplari per prima.

Era sempre stata affascinata da quegli animali e ricordava benissimo le favole che le raccontava la nonna quando lei le chiedeva come si facessero i bambini. L'immagine della cicogna che, con le sue grandi ali, perlustrava la campagna, l'aveva sempre affascinata, per non dire quasi ossessionata. Aveva a lungo sperato in una sua visita e magari nell'arrivo di un fratellino, ma niente: nonna Paola, con tutte quelle storie e quelle idee che le aveva messo in testa, si era sbagliata; nessun bambino sarebbe sopraggiunto nella sua vita e l'unica neonata che avrebbe stretto tra le sue braccia sarebbe stata Francesca. Intanto Fabio, uno dei volontari dell'Oasi, tardava a ritornare con l'acqua e il caffè che le aveva promesso.

A quell'ora del mattino non c'era anima viva; l'oasi era ancora chiusa ai visitatori ed era concesso soltanto ai volontari come loro di arrivare qualche ora in anticipo per scattare delle foto, perlustrare la zona o dare la "colazione" ai germani. La ragazza si era allontanata dal capanno per avvicinarsi più alla riva, quando, a un tratto, un bisogno impellente la raggiunse. Era lì che aspettava infreddolita da più di un quarto d'ora. «Ma che fine ha fatto Fabio!» si lasciò sfuggire ad alta voce.

Non c'era nessuno; l'avrebbe fatta lì. Se si fosse allontanata e Fabio fosse sopraggiunto prima che lei potesse ritornare al punto di ritrovo, si sarebbe senz'altro allarmato. E poi Fabio era molto suscettibile e non poche volte le aveva fatto scenate, anche per molto meno. La sensazione di liberazione fu bellissima. Finalmente, senza pensieri, poteva ritornare alla sua vecchia attività: l'osservazione. Ma non fece quasi in tempo ad allacciarsi e tirare su le bermude mimetiche, che sentì risuonare una voce che, con una risata fragorosa, spezzò il silenzio e i pensieri che con esso erano sorti nella sua mente.

«Eh beh, quando scappa scappa!» esordì il forestiero tirandosi addosso tutte le maledizioni del tizio che gli veniva immediatamente dietro e che sembrava annoiato di seguirlo. Che quegli uomini l'avessero vista e che fossero mal intenzionati? Non ebbe neanche la possibilità di rispondere che già il primo dei due, che sembrava sapere il fatto suo, guardandola intensamente negli occhi, illuminati dai raggi del sole, e poi voltandosi di scatto ad ammirare il panorama, estasiato le disse: «Meraviglioso, un vero paradiso!»
Il punto era che quei due non dovevano essere lì e che lei doveva proseguire il suo lavoro.

«Certo, come no!» continuò l'amico beffeggiandosi di lui. Sveva tentò di approfittare di quel momento di pausa per chiedere come mai fossero lì e chi li avesse fatti entrare, ma fu preceduta da quell' individuo che, continuando a fissarla insistentemente, quasi volesse scrutare la sua anima, le porse la mano e, con una stretta poderosa, aggiunse dicendo: «Io sono Marco e lui è purtroppo il mio amico Attanasio, il mio compagno di avventura».

Marco aveva gli occhi castano chiari, grandi, e il sole, che gli fendeva lo sguardo, mostrava tutte le sue sfumature. Era un bel giovane alto, sorridente, capelli folti color miele, barba incolta, viso regolare e aspetto del bravo ragazzo. Sveva si tranquillizzò. Aveva avuto sempre un sesto senso per certe cose e per capire se fosse il caso di fuggire da una situazione abbastanza sconveniente e pericolosa piuttosto che inoffensiva, e le pareva che quei ragazzi, in quel momento, avessero tutta l'aria di essere innocui. Quella strana coppia, poi, la incuriosiva molto; l'uno così affabile, spiritoso,"spontaneo", l'altro insofferente e lamentoso. Sorrise divertita. Intanto Attanasio, occhi per aria, sbuffando, sembrava un pesce fuor d'acqua. Quello non era decisamente il suo ambiente. Si lamentava del fango, delle rane, di tutto.

La conversazione sarebbe senz'altro proseguita a lungo... se non fosse stato per il sopraggiungere di quei magnifici esemplari. Le cicogne erano lì, dinanzi a lei - non poteva quasi crederci - e avevano dato il via a un'insolita danza ritmata, fatta di colpi di becco ripetuti a testa reclinata, fino ad accoppiarsi e permettere a Sveva di fotografarli. Attanasio fece per parlare ma Sveva, intuendo le sue intenzioni in anticipo, lo zittì costringendolo a scuotere il capo più e più volte, quasi a sottolineare l'assurdità della situazione.

L' esibizione era finita e Marco, al contrario dell'amico, era rimasto colpito non solo dalla scena inconsueta, ma dalla passione che quella ragazza aveva per i volatili e dal minuzioso resoconto che si era prestata a fare, a voce sommessa, durante tutta la parata nuziale. Arrivò Fabio che, deluso per essersi perso quell'avvenimento, dovette accontentarsi di sentire le novità raccontate da Sveva e sorbirsi le presentazioni dei nuovi arrivati, la cui presenza, per un motivo incomprensibile a Sveva, lo rendeva scostante e persino infastidito.

Non se ne curò. Ci furono poi le spiegazioni dei due avventori sul fatto che, lasciata la statale, si erano imbattuti lì per sbaglio per sgranchirsi le gambe e che, avendo trovato un varco, si erano incamminati inconsapevolmente lungo un sentiero che attraversava un bosco di pini e sughere che lambiva le rive della laguna. Sveva si era affrettata a precisare che si trattava del terzo percorso, il cui accesso ufficiale era situato poco più avanti dell'ingresso dell'Oasi.

Si dilungò poi nella descrizione dei tre diversi tragitti: la stazione della Giannella, il percorso ornitologico e quello botanico; raccontò meraviglie di quell'ecosistema straordinario, quello della Laguna di Orbetello appunto che, non a caso, era sede di una delle più antiche riserve WWF insieme a quella del Lago di Burano; fece molte divagazioni sulla fauna di quel posto. E dalla narrazione vivace di quei luoghi sembrava trasparire tutta la passione e l'amore per quel lavoro.

A quella rappresentazione dei luoghi seguì una lunga visita all'Oasi. In realtà Sveva quel giorno non doveva essere lì, ma la sua voglia irrefrenabile di fotografare le cicogne, come ebbe poi modo di dire durante la passeggiata, l'aveva spinta a ritornarci, malgrado la stanchezza e i malesseri che l'avevano accompagnata nell'ultimo periodo.

Attanasio sembrava essersi tranquillizzato e tutta quella passeggiata parve trascorrere lentamente tra battute, soste al bar, avvistamenti e spiegazioni. Anche Fabio si era arreso alla proposta di fare da guida a quegli individui; d'altronde gli riusciva difficile contraddire Sveva e la sua vitalità e intelligenza lo affascinavano e travolgevano a tal punto che gli era impossibile non esaudire ogni sua richiesta, anche per via del suo atteggiamento sempre lascivo e poco propositivo.

Marco ebbe modo di parlare dei suoi studi di medicina svolti all'estero, della sua voglia di aiutare le persone a stare bene e del suo desiderio di scoprire se ci fosse un collegamento tra il malessere fisico e quello psicologico. Fu il turno poi di Attanasio e della sua naturale predisposizione per il bello architettonico e della sua certezza circa il fatto che vivere in un luogo che trasmette amore, pace e serenità, aiuti a vivere meglio.

Qualche piccolo spazio nella conversazione fu anche conquistato da Fabio, sebbene i suoi interventi, per quanto lui si sforzasse di attirare l'attenzione su se stesso, apparissero alle volte goffi e privi di interesse per il resto della compagnia o quanto meno non offrissero alcuno spunto per intervenire, per quanto erano troppo incentrati sulla sua voglia di apparire e fare colpo.

Ci furono altri incontri, grazie ai quali Sveva ebbe la possibilità di approfondire la conoscenza. Alle volte Fabio vi partecipava, alle volte era solo Sveva a uscire con i due ragazzi...
E in tutte quelle occasioni la fanciulla si guardava bene dal far trapelare la notizia ai suoi genitori: loro erano persone molto all'antica e, il saperla in giro da sola, in compagnia di due uomini, li avrebbe senz'altro portati a preoccuparsi più del dovuto. Eppure lei non ci vedeva niente di male. Si sentiva così protetta e al sicuro con quei ragazzi, a tal punto che si era creato tra loro un vero feeling, un'amicizia fraterna. Questo era almeno quello che lei pensava fino a quel momento.

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