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22 Strani pensieri

Il tempo era trascorso inevitabilmente, senza che Rashad e Sveva se ne fossero accorti. Al momento non restava che aspettare l'arrivo della Betta e avvisare l'agenzia di viaggio per il recupero dei bagagli. Nessuno dei due passeggeri pensava d'intraprendere alcuna azione legale, sia per evitare di prolungare oltremodo quella spiacevole vicenda, sia perché entrambi erano consapevoli che la mossa di allontanarsi dalla zona di sosta, senza avvisare il conducente, non era stata delle più intelligenti...
Tuttavia mille domande si accavallavano nella loro mente.
Chissà se qualcuno sull'autobus si fosse reso conto della loro assenza e chissà dove sarebbero state riposte le loro valigie una volta raggiunta la destinazione!

«Sono molto preoccupato per le mie valigie ma soprattutto per il borsello contenente il portafoglio e il cellulare. Se dovessero andare perduti mi troverei veramente nei guai. Non c'è nessuno che io conosca a Pisa e per giunta non ho con me un becco d'un quattrino.»

Sveva non rispose. Preferì non dare seguito a quelle esternazioni. Non era nelle sue abitudini trascurare il prossimo - era stata sempre una donna generosa, sempre pronta ad aiutare gli altri - ma semplicemente in quella circostanza non se la sentì di complicare la sua vita più di quanto già non lo fosse; aveva abbastanza grattacapi e preoccupazioni per occuparsi anche dei guai degli altri. Chiusi in quel silenzio, il tempo sembrava non passare mai. Sveva pensò al piccolo Lorenzo: forse non si sarebbe ricordato di lei, in fondo non si vedevano da molto tempo e dall'incidente occorso alla piccola Francesca non aveva più avuto modo di passare per Pisa. Pensò ai suoi genitori; finalmente avrebbe potuto riabbracciarli. Con la mente andò alla sua mamma; la sola idea che il suo papà avesse dovuto occuparsi di lei, senza poter contare sull'aiuto di nessuno, le faceva venire i brividi, ma d'altronde non poteva rimproverarsi nulla, né tantomeno colpevolizzarsi per non averli convinti a seguirla a Parma...
Avevano trascorso gran parte della loro vita a Pisa; allontanarli dal loro mondo, dalla terra dove erano nati, dalla casa in cui l'avevano vista crescere, avrebbe significato sradicarli per sempre da una realtà che era parte di loro.

Un pensiero per un attimo volò anche allo zainetto...
In esso erano riposti i disegni di Francesca. Oggetti che per altri magari non avrebbero avuto alcuna importanza, per lei invece erano carichi di valore. Le risultava difficile e triste l'idea di potersi un giorno staccare da quelle immagini. Le piaceva guardarle. Da esse trapelava tutta la gioia di vivere della sua bimba. Se è vero che dal tipo di tratto usato dai bambini era possibile ricavarne un qualche significato, guardando quegli schizzi non si poteva che ottenere una interpretazione positiva. Le linee regolari, decise... quei fogli erano pieni di colori e trasudavano gioia, voglia di vivere. In tutte quelle rappresentazioni veniva ritratta la sua famiglia. Francesca, inoltre, adorava Lana e la sua presenza era immancabile: ora immortalata accanto al papà, ora distesa sul prato. Era davvero onnipresente!

In quella attesa, sempre più estenuante, si scoprì involontariamente a osservare il volto di Rashad, girato di sbieco rispetto a lei, pensieroso.

La carnagione scura, dai riflessi caldi, dorati, gli occhi grandi e neri, gli zigomi alti, i capelli lunghi e ondulati...
Aveva un non so che di selvaggio, di primitivo. Se lo figurava con una scimitarra o mentre brandiva un kriss. Lo immaginava affrontare tigri feroci, dai denti aguzzi, o indossare un turbante e abiti di seta raffinati.

E mentre quelle visioni, prepotenti, le riempivano la mente, più cercava di scacciarle, più quelle ritornavano senza darle tregua: la stanchezza le giocava brutti scherzi. Tentò di pensare ad altro, ma senza successo.
Forse che anche gli altri lo vedessero in quel modo, come appariva a lei?
Ecco spiegato il tanto successo con le donne.
Ma se solo avessero potuto saggiare una piccola parte del suo carattere, beh, presto avrebbero cambiato idea!
Inseguì ogni singola linea del suo volto, intrufolandosi con lo sguardo persino nelle zone prominenti del viso. Passò dagli ossi zigomatici alla mascella, dall'incavo del mento fin sopra le tempie, dai lati del naso alla bocca. E fu proprio in quell'istante, mentre scrutava le sue labbra piene e carnose, che i loro sguardi si incrociarono. Lui si era accorto di lei...
Aveva capito di essere osservato.

«Cosa sta facendo?»

«Pensieri», disse lei sbrigativamente, per distogliere l'attenzione.

«Adesso si chiamano pensieri?» disse malizioso.
«E che tipo di pensieri sono?»

I pugni stretti, chiusi: avrebbe voluto stenderlo al suolo! Quell'uomo aveva la capacità di far emergere la parte peggiore di lei! Finalmente arrivarono i rinforzi.

Betta era raggiante come sempre. Un abito corto in pizzo sangallo e gli stivali texani, rigorosamente in cuoio, rendevano il suo outfit impeccabile. Una cinta in vita, lasciata sapientemente morbida, completava il tutto dandole una sensazione di freschezza e spontaneità. Si muoveva freneticamente, leggiadra e veloce come una farfalla, armeggiando con gli occhiali che sfilava continuamente dal capo e con le chiavi che teneva strette nell'altra mano. Era tutto un movimento spasmodico, quasi irritante.

Sveva non sapeva come dirle che anche lui, Rashad, sarebbe venuto a bordo con loro... che uno sconosciuto, che le aveva fatto perdere la corsa, oltre che la pazienza, che l'aveva offesa con delle allusioni poco opportune, intrufolandosi nella sua vita, ora doveva recarsi a Pisa anche lui...e con loro.

Non ce ne fu bisogno...
Rashad si avvicinò a Betta e, con le mani giunte dinanzi al petto, accennando un inchino disse: «Namastè.»

Betta ne fu piacevolmente sorpresa e, non trovando una risposta,una giustificazione, nello sguardo di Sveva, decise di fare da sé.

«Oh cara, non mi avevi detto nulla. A cosa dobbiamo la presenza di...?»

«Rashad, mi chiamo Rashad!» disse lui guardando nella direzione di Sveva.

«La sua amica si è offerta gentilmente di darmi un passaggio a Pisa... » e alla parola "gentilmente" i loro sguardi s'incrociarono.
Aveva una bella faccia tosta quell'uomo, pensò lei.
Più che invitarlo, era stata messa alle strette.

«Spero di non approfittare troppo della sua gentilezza», concluse Rashad.

«Assolutamente nessun disturbo! Tutti gli amici di Sveva sono i benvenuti.»

Betta diede il meglio di sé in macchina. Parlò del suo interesse per la recitazione, dei suoi studi orgogliosamente ripresi dopo la nascita di Lorenzo...
Non parlò quasi per niente con Sveva, ma questo a lei non dispiacque affatto; voleva restare un po' sola... non aveva voglia di conversare.

Conosceva molto bene Betta e sapeva di essere al centro del suo mondo ma che la curiosità era un suo difetto. Ben presto, sparito finalmente quell'uomo dalla sua vita, l'avrebbe vista prodigarsi in mille attenzioni per lei. Fortunatamente Betta sapeva tener testa al dottore e non doveva essere costretta a sorbirsi le parole di Rashad.

«Ma mi dica un po' di lei... Che fa qui a Pisa? Mi pare avesse detto di non conoscere nessuno? È qui per un viaggio di piacere? Perché se così fosse potrei consigliarle...»

«Un mio piccolo paziente... Sono venuto a seguirlo.»

Ma Betta, avvezza a dire quasi tutto quello che le passava per la testa, non riuscì a trattenersi dal fare altre domande, tanto era connaturata in lei la voglia di sapere, di conoscere. Né tantomeno Sveva tentò di impedirglielo; l'idea che Rashad potesse essere messo in difficoltà o in imbarazzo da Betta non le dispiaceva affatto e se ciò fosse avvenuto... quella non poteva che essere una piccola rivincita rispetto a ciò che aveva dovuto subire fino ad allora.

«E mi perdoni se glielo chiedo, ma lei normalmente visita anche nel weekend? Ha uno studio qui a Pisa dunque?»

Le domande erano diventate così incalzanti che anche Sveva, inizialmente indifferente, iniziò a sentire il bisogno di fermarla. Simulò un certo malessere per dar fine a quello che ormai aveva tutta l'aria di essere un interrogatorio. Si sistemò sullo schienale, si schiarí più volte la voce per creare un diversivo, per far tacere l'amica, ma nulla: quella sembrava proprio non cogliere!

«In realtà non ho uno studio a Pisa ma sono solito venire qui. Diciamo che a volte mi capita di fare delle eccezioni per i miei pazienti e questo è uno di quei casi.»

«Il suo piccolo paziente deve essere molto abbiente per permettersi di ricevere una visita a domicilio, per giunta in un altro comune!» pensò ad alta voce.

Rashad, che fino a quel momento era stato impassibile e aveva risposto a tutte le domande senza mostrare nessun minimo imbarazzo, restò zitto, in silenzio.

Il volto sereno, l'espressione composta, guardava fuori il panorama, come per misurare bene le parole che avrebbe dovuto dire.

«In realtà è una famiglia molto povera. Il piccolo ha quasi finito il programma ma non potendosi permettere altre spese per le trasferte... Insomma... ho deciso io di... »

«Poi in realtà era da tempo che volevo visitare Pisa », aggiunse ancora tentando goffamente una giustificazione al suo comportamento.

«Ma non aveva detto che ci era già stato? Non faccia il modesto... il suo gesto è ammirevole! Ha tutta la mia stima. Incredibile!»

E quella rivelazione aveva meravigliato anche Sveva.
Chi si sarebbe aspettato una cosa del genere da Rashad?
Rimase esterrefatta, anche se concluse che quel suo modo di agire non poteva essere nato semplicemente da un gesto di pura generosità... Cosa si nascondeva dietro quel comportamento?

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