10 Marta
Preso coraggio e fatto un profondo respiro, Sveva serrò le labbra e attraversò la strada. Adesso era dentro. Dopo aver detto al cameriere della prenotazione e dopo che egli le ebbe indicato il tavolo assegnato, trovò un varco tra passeggini, cagnolini, bambini che correvano in preda a una crisi di nervi e camerieri che, tenendo in mano un vassoio pieno di bicchieri o di portate, cercavano di schivarla, calcolando ogni sua possibile mossa, per evitare di farsi toccare e far cadere il prezioso carico. In quella baraonda riuscì a farsi spazio.
Sapeva che quel ristorante era molto frequentato, ma non credeva potessero esserci così tante persone. Raggiunse il centro della sala e fu lieta di intravedere da lontano lo spazio esterno, dove era stato sistemato il loro tavolo. Non aveva mai visto quel posto: certo ne aveva sentito parlare, ma quelle poche volte che avevano deciso di mangiare fuori, all'ultimo momento si era sempre optato per un altro locale.
La sala interna era molto ampia e molto elegante e le innumerevoli porte finestre lasciavano entrare tanta luce rendendo l'ambiente più arioso e luminoso. I raggi del sole, penetrando, riflettevano sui cristalli dei lampadari che, enormi, rimandavano prismi di luce ovunque. Questo gioco di riflessi rendeva l'ambiente più caldo e accogliente.
Le applique dorate, che risaltavano sulle pareti rosa antico, andavano perfettamente a pendant con le cornici dei variopinti quadri, dando un tocco di stile al tutto. La visione d'insieme era bellissima: c'erano candele profumate, dai colori tenui, la cui fragranza si mescolava al profumo delle pietanze appena servite.
Prima di raggiungere la sala esterna, entrò in una sorta di veranda: qui vi sostavano le mamme per intrattenere i bambini o sorseggiare un caffè. Ovunque vi erano appesi degli arazzi e al centro c'erano due enormi divani in pelle bordó, posizionati a elle, che risaltavano sul pavimento chiaro, ravvivato a sua volta da tanti piccoli tappeti. Rispetto all'ambiente che aveva appena oltrepassato questo aveva uno stile leggermente più orientale, ma non per questo meno elegante. Fu fuori.
Un piccolo sentiero ciottolato, fiancheggiato da piccoli cespugli e inframmezzato da palme, portava verso il pergolato che si affacciava sul lato dell'edificio e che era in parte ombreggiato per via della Bouganville che vi si poggiava sopra. I tavolini erano stati sapientemente sistemati dove il sole non batteva. Una parte della struttura era chiusa da una copertura in legno naturale bianco, mentre in mezzo vi era un'apertura che lasciava penetrare il sole ma che all'occorrenza si sarebbe potuta chiudere con un telo, grazie a un sistema di chiusura a impacchettamento.
Qui l'atmosfera era decisamente più intima e vi era meno movimento, eppure Sveva avvertiva dentro di sé una certa tensione. Un delicato profumo di fiori permaneva nell'aria e si distingueva dall'odore del cibo. Guardò più volte in quella direzione, tuttavia non gli riuscì di individuare nessuno dei suoi amici. A un tratto però vide muoversi Attanasio: certo, era proprio lui, come non riconoscerlo?
Era seduto, solitario, in un tavolino più appartato. Ebbe un tuffo al cuore.
Forse Marco non c'era, forse si era semplicemente allontanato, sperò. Attanasio l'accolse felice e dopo averle chiesto di Fabio, la fece accomodare e le disse che Marco si era allontanato un momento, avendo ricevuto una telefonata.
«Questo posto è bellissimo, non credi?»
«Sì, davvero bello», rispose Sveva.
«Adoro questa distesa di verde: infonde serenità. Mi piacciono anche tutte quelle brocche colme di lavanda.»
«Ottima scelta!» disse Attanasio.
«A dire il vero il merito non è mio: è stato Fabio a insistere dicendo che non si può andare via da Pisa senza prima essere passati di qui.»
Sveva era impaziente e più passava il tempo e più la sua ansia, mista a un senso di eccitazione, saliva. Aveva freddo e si sentiva agitata come quando doveva sostenere un esame. Decise allora di alzarsi e di andare in bagno un attimo. Attanasio le strinse la mano e la trattenne, costringendola a risedersi.
«Grazie», le disse, «non avevo mai visto Marco così felice e sereno. Sai una brutta storia con Marta, la sua fidanzata, o meglio la sua ex ragazza, almeno credo, poi con altre... insomma tante delusioni lo hanno molto provato. Ma sarà lui a parlartene. Per me è come un fratello e gli auguro tutto il bene del mondo».
Già, felice, pensò.
Quindi Marco non aveva detto nulla di ciò che aveva visto all' Oasi? Forse non era lui?
Annuì, anche se non capì del tutto cosa volesse dire Attanasio e chi fosse Marta.
La sua fidanzata, aveva detto Attanasio. Quindi Marco era impegnato? Ebbe ancora una fitta.
«Sei pallida, sei sicura di stare bene?» disse Attanasio alludendo alla smorfia che l'aveva costretta a reclinare il capo.
«Tranquillo, tutto bene.»
Chiese informazioni al cameriere circa la toilette e le fu indicato che ve ne erano due. Una in sala e l'altra situata poco più in là, all'esterno, più agevole da raggiungere, non dovendo costringerla a ripercorrere tutta la strada che aveva fatto per trovare i suoi amici. Si trovava in una piccola struttura, distaccata dalla principale.
Di fronte c'era un vecchio pozzo rivestito in pietra e valorizzato da tantissime piante grasse, poste per terra tutte intorno. Aveva una base rettangolare completata da una struttura in legno che fungeva da tetto. Su di esso s'inerpicava una pianta rampicante dalle belle foglie verdi e brillanti.
Si diresse in quella direzione, ringraziando il cameriere. Continuava ancora a pensare a Marta: quella rivelazione l'aveva lasciata di sasso. Non appena fu vicina al pozzo, da dietro sentì una risata. La riconobbe. Con un balzo Marco scese giù dal muretto. Indossava una camicia bianca che metteva ancora più in risalto il suo fisico possente. Sbalordita dalla intensità delle sensazioni che la colsero, si toccò la collanina che aveva al collo e rimase ferma a guardarlo, quasi a contemplarlo, godendo di quella visione. Era alto, prestante, una bella schiena forte e ampia. Aveva una strana luce negli occhi.
«E così ci sei riuscita!» battè le mani.
«Brava, complimenti. Sei davvero brava. Una recitazione perfetta. Una trasformazione sbalorditiva. E a cosa dobbiamo questa metamorfosi, dimmi? Ti ha consigliato lui, il tuo Fabio, o ha capito a che gioco stavi giocando e ti ha mollato? Ho visto come stringevi le mani poco fa ad Attanasio ... Ma vedi, io quelle come te le conosco. Arrampicatrici. A chi miri, eh? Dimmi?»
E mentre parlava, il suo sguardo si soffermò su di lei in un modo che a Sveva non piacque.
Si sentì nuda al suo cospetto. Il suo indugiare la fece arrossire.
Forse il suo abito era troppo attillato?
Tentò di non farsi cogliere, suo malgrado, dall'imbarazzo.
Era lì, immobile. Non capiva cosa lui volesse dire e non riuscì a proferire nessuna parola.
Poi lui le si avvicinò afferrandole il braccio.
«Lasciami, mi fai male!»
Aveva gli occhi che gli luccicavano.
La prese e la strinse a sé. Sveva avvertì un leggero sentore di alcol e lui respirò il suo profumo e quasi le sfiorò le labbra. Non erano mai stati così vicini.
«Vedi cosa mi fai fare?»
Intanto Attanasio, incredulo, aveva visto tutta la scena e li aveva raggiunti.
«Ma cosa diavolo fai, sei impazzito?»
Lui la lasciò, avvilito, e, dando loro le spalle, s'incamminò senza spiegazioni.
Sveva aveva le lacrime agli occhi. Non parlò. Uno spasmo violento e poi ancora un altro la fecero barcollare. Attanasio fece per reggerla e notò che qualcosa non andava.
«Ma tu scotti!»
Sveva si piegò per il dolore.
«Marco, presto. Vieni!»
Lui, capita la gravità della situazione, ritornò indietro e aiutò l'amico. Sveva si piegò per terra, assumendo quasi una posizione fetale. Marco l'aiutò ad alzarsi e le tastò l'addome contratto.
Poi guardò subito l'amico facendogli capire che non era cosa da poco. Non volle dire altro per non spaventare Sveva.
«Come ci comportiamo?»chiese l'amico visibilmente agitato.
«Chiedi a un cameriere quanto dista l'ospedale e se convenga o meno chiamare un'ambulanza. Fai presto, corri!»
Attanasio si avviò velocemente e chiese informazioni al cameriere, il quale gli suggerì che sarebbe stato meglio portare la macchina sul retro per avviarsi quanto prima, piuttosto che chiamare i soccorsi.
Così fece. Mille pensieri si affollavano nella sua mente...
Perché Marco si era comportato in quel modo?
Tuttavia cercò di distrarsi e non farsi prendere dal panico: adesso bisognava pensare a Sveva.
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